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La profondità come atteggiamento per la vita

La profondità è atteggiamento mentale che, al giorno d’oggi sembra essere in disuso: la velocità, la moltitudine di stimoli a cui siamo esposti genera, infatti, uno stare al mondo più superficiale. Ma tutto questo ci rende infinitamente più deboli nell’affrontare le sfide che la vita ci sottopone…

“La profondità, è una forza. Perché per essere profondi dobbiamo resistere a seduzioni, intimidazioni e distrazioni. Dobbiamo attraversare la noia e l’incertezza, conservare la memoria, tollerare il nulla. Senza lasciarci distrarre o scoraggiare. Solo allora la relazione in cui siamo ci rivelerà tutta la sua bellezza; solo allora il soggetto che stiamo studiando ci mostrerà tutta la ricchezza del suo significato; o il progetto che abbiamo iniziato, sia esso preparare una vacanza o scrivere una sinfonia, incomincerà a dare i suoi frutti. (…)  Dunque la via della profondità è costellata (anche) di noia, di frustrazioni, di difficoltà. È un cammino arduo. Però è anche pieno di sorprese e capovolgimenti. Davanti agli ostacoli possiamo rinunciare o cambiar rotta, ma allora tutto ciò che raccogliamo è rimpianto e insoddisfazione. Invece proprio là dove ci verrebbe di lasciar perdere, possiamo imparare e crescere. (…) C’è, nel concetto di profondità, un elemento di forza che non si arrende, di combattività pronta ad affrontare mille ostacoli. A un certo punto si incontra la morte: nel senso di sconfitta, fallimento, disintegrazione, confusione, o vicolo cieco. Allora vacilliamo. Ci sentiamo scoraggiati. Ci vengono pensieri del tipo: “Non ce la faccio”, “Così non si va avanti”, “Questo non fa per me”, “Meglio gettare la spugna”. Ma questo avviene in ogni avventura degna di questo nome. È solo dopo che c’è stata una ‘morte’ che si può capire davvero la natura di una relazione, di un soggetto che si studia, di un’impresa in cui ci si impegna. Allora le nostre emozioni sono state evocate in profondità, le nostre risorse sono state stimolate e allenate. Solo allora abbiamo davvero avuto l’opportunità di capire. E abbiamo raggiunto la profondità.”

Commento – La profondità è una disposizione della nostra mente e del nostro animo che potremmo accostare alla resistenza: per essere profondi dobbiamo apprendere a “stare fermi”, a non cedere alle distrazioni, a concentrarci, a saper aspettare osservando e dando tempo alle cose di emergere o manifestarsi. Per fare questo ci vuole forza perché le tentazioni e le distrazioni che inducono un atteggiamento diverso dall’esser profondi sono molte. Ci vuole forza per coltivare la profondità ma da essa sarà possibile trarre forza interiore per affrontare ogni cosa nella vita. Amica della profondità è, infatti,  la volontà che ne è sia supporto sia emanazione. Per sviluppare un atteggiamento profondo occorre la forza della volontà ma a sua volta essa stessa ne uscirà rafforzata. La persona profonda è anche volitiva perché capace di persistere nei propri intenti e di resistere al “canto” delle tante sirene capaci di distrarre.

La profondità per essere esercitata ha bisogno del tempo, come per un pane che deve lievitare. Essa deve portarci al di là delle apparenze di ciò con cui entriamo in contatto e di ciò che ci accade e per fare questo ci vuole tempo perché le risposte o le reazioni veloci non ci danno l’opportunità di accedere ad altri aspetti della vita e molto spesso sono dettate dalla regola “fai la cosa più facile”. E la cosa più facile è per lo più l’evitamento della fatica, delle difficoltà, della possibile frustrazione. La profondità è un impegno con noi stessi perché è con se stesso che un individuo deve, in primis, essere profondo, cercando di essere sincero con se stesso nell’osservarsi per capire “chi è”, “cosa desidera”, “dove sta andando”. Se non si accede a questa conoscenza profonda non è possibile neppure sviluppare un atteggiamento-guida rispetto alle migliaia di stimolazioni che si ricevono, finendo così per comportarsi come una bandiera al vento, reagendo solo a quanto accade, incapace di resistere per perseverare nella direzione che ci si è dati. Come ricorda Piero Fanucci: “l’atteggiamento consumistico è una delle peggiori cose che lo spirito della modernità, pur così dinamico e variegato, ha portato con sé. Il grande ostacolo in tutto questo risiede proprio nel nostro strumento più prezioso: la nostra mente, che non solo è capace di approfondire, ma si distrae con grande facilità, e di continuo si sdoppia e accoglie parassiti di ogni sorta. (…) Per ovviare alla superficialità e alla distrazione il rimedio è uno solo: sviluppare la perseveranza e la concentrazione.”

Piero Fanucci, “La nuova volontà”, Astrolabio

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Il cambiamento: tra volontà e sforzo

Il cambiamento è un processo conseguente ad una consapevolezza di noi stessi. Esso è al tempo stesso strumento e risultato del lavoro su se stessi. Solo chi è disposto a mettere impegno, volontà e fatica in tale processo potrà accedere a una diversa coscienza del proprio stare al mondo. Il cambiamento è da intendersi come crescita del nostro Essere grazie alla conquista di una maggiore coscienza di sé.

Il lavoro su se stessi, se adeguatamente condotto, porta ad un cambiamento nella qualità del nostro essere che, nei fatti, si rifletterà in un mutamento nel modo in cui affrontiamo le situazioni che viviamo, i rapporti con gli altri e, soprattutto la relazione con noi stessi. Sarà proprio la maggiore consapevolezza acquisita con l’osservazione di sé a condurci ad una nuova sensibilità e ad una visione di noi completamente diversa. Possiamo provare a delineare una sequenza di momenti tra loro concatenati: lavoro su di sé, osservazione di se stessi, consapevolezza, cambiamento.

Nella precedente lezione avevamo proposto un semplice esercizio, senza dare in merito alcuna spiegazione. Esso consisteva nel prendere, per un certo periodo, l’impegno per cui ogni volta che si doveva bere bisognava farlo usando la mano contraria a quella usata abitualmente. Questo esercizio elementare contiene in sé una lezione molto importante circa il cambiamento. Prima di tutto ogni cambiamento richiede di andare “contro natura”, ossia contro gli schemi abituali che fino a quel momento abbiamo utilizzato. Se non andassimo “contro natura” continueremmo a comportarci come sempre, ossia evitando il cambiamento. È per questo che il cambiamento richiede una forzatura, generando un attrito tra ciò che “naturalmente” faremmo e ciò che, invece, desideriamo fare. Senza questo attrito – che deve essere sperimentato e che dobbiamo riuscirne a sentire in noi l’azione – non ci sarebbe cambiamento.

Un altro elemento in gioco in questo esercizio è quello della volontà. Nel momento in cui avete letto le istruzioni e avete deciso di assumerle, voi avete espresso la volontà di fare il compito. Senza la volontà non c’è cambiamento; senza il profondo desiderio di cambiare noi stessi non c’è impegno nel lavorare su di noi. Chiaramente la volontà di cui stiamo parlando dovrà essere sostenuta nel tempo, rinnovata per poter supportare l’impegno preso. Non sempre questo avviene in maniera così assoluta, seppure in un primo momento eravamo stati sinceri nel voler impegnarci nel compito. Ecco allora che è possibile aver fatto l’esperienza che in noi albergano più di un Io – malgrado la nostra illusione di unità e coerenza – che di volta in volta può prendere il comando e determinare il nostro comportamento. Uno dei più grandi errori che possiamo commettere è quello di pensare di essere sempre “uno” e di essere sempre lo stesso individuo. In realtà ogni singola persona non riesce ad essere sempre la stessa persona per molto tempo. Muta continuamente eppure immagina di essere sempre lo stesso “Io”. Così, potrebbe essere capitato che una delle tante volte in cui vi accingevate a fare il compito una “vocina” abbia iniziato a dire: “ma chi te lo fa fare”, oppure “che stupidaggine è questa”. In questi casi per mantenere fede alla volontà precedentemente espressa, avrete dovuto richiamare sulla scena quell’Io che in precedenza aveva intravisto nell’opportunità di questo percorso l’occasione di acquisire consapevolezza, ed allearvi di nuovo con lui.

Un ulteriore aspetto evidenziato dall’esercizio è quello del ricordo: per poter svolgere tale esercizio abbiamo dovuto ricordarci di farlo e soprattutto abbiamo dovuto ricordarci di noi. Cosa significa questo? Il fatto di esserci dovuti ricordare dell’esercizio è abbastanza semplice da comprendere; lo è un poco di meno il concetto di ricordo di se stessi. Proviamo a esemplificarlo ricorrendo all’ordinaria esperienza che ognuno di noi può fare: in genere, siamo talmente presi emotivamente ed intellettualmente dalla vita e dalle questioni che affrontiamo che nella maggior parte del tempo perdiamo consapevolezza di noi come individuo ed Essere, tanto da dimenticarci di noi. Ricordarsi di sé vuol dire allora rientrare in noi stessi, sentirci agire, avere a mente gli scopi che ci muovono senza farci prendere di volta in volta dalle correnti di impegni e interessi che ci attraversano. Si arriva così ad avere la consapevolezza che si può continuare a fare tutto (anche bere ricordandosi di farlo con la mano diversa rispetto all’abitudine) senza scordarci di noi stessi.

Questo esercizio consiste, nella semplicità delle sue istruzioni, nel costringerci a mettere in atto comportamenti che si muovono nella direzione contraria rispetto alla nostra inclinazione naturale. Decidere di imporci, per un certo lasso di tempo, di agire dei comportamenti che violano le nostre abitudini, la “naturalità” o la spontaneità del nostro modo di essere, è funzionale a farci sperimentare la difficoltò del cambiamento volontario. Questo esercizio, allora, non serve a modificare le nostre abitudini ma a farci prendere coscienza che ogni processo di cambiamento comporta fatica (si tratta di un lavoro) e, soprattutto, non si verifica spontaneamente dato che esso va contro le abitudini apprese che “gestiscono” a nostra vita. Tale esercizio, quindi, è sia preparatorio al lavoro su di sé (dal momento che ci fa capire in cosa consista), sia è già parte del cambiamento.

Riprenderemo tutti questi elementi (attrito, volontà, ricordo di sé, molteplicità degli Io) in lezioni successive approfondendone la trattazione e stimolandone l’esperienza con degli esercizi. Intanto alla luce di quanto specificato in questa lezione, provate a ripetere lo stesso esercizio anche per la settimana successiva. Inoltre, iniziate a portare con voi nel corso della vita di tutti i giorni le osservazioni che avete letto provando a farne diretta esperienza.

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Questo post è parte di un percorso per stimolare in chi legge un lavoro su di sé ispirato alle idee della Quarta Via riviste nell’ottica della psicologia attuale. Nel corso dei post verranno fornite anche le indicazioni per una serie di esercizi volti a focalizzate l’attenzione sull’osservazione di se stessi al fine di acquisire una consapevolezza maggiore. Ogni post è di per sé esaustivo, ma chi intendesse usare questa risorsa per cominciare a lavorare su di sé, è importante seguire la cronologia dei post come progressione logicadegli argomenti.

Leggi lezione n. 1

Leggi lezione n. 2

Leggi su come lavorare sulla consapevolezza

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Controllo cosciente e libertà

Il controllo cosciente della nostra mente è sicuramente un obiettivo importante per garantire la nostra libertà di scelta. Tuttavia non è facile lavorare nella direzione di questo controllo cosciente e gli ostacoli sulla strada sono molti. Esistono tuttavia alcune strategie che possono aiutarci… John Bargh, “A tua insaputa”, Bollati Boringhieri.

Per migliaia di anni siamo stati così speciali che più speciali non si poteva. Non solo la Terra, ma l’intero Universo ruotava intorno a noi. Secondo il pensiero occidentale la Terra era il centro del cosmo e l’uomo rappresentava il fulcro della vita sulla Terra. Tutto era stato creato ed esisteva unicamente perché noi ne godessimo. E il nucleo di tutto era la mente cosciente, la nostra anima, il fulcro di ognuno di noi, il nostro collegamento soprannaturale con Dio e con l’eternità. Poi iniziarono centinaia di anni di inarrestabile detronizzazione. Prima arrivarono Copernico e Galileo con le loro teorie e poi, arrivò la prova che la Terra in effetti non era il centro dell’Universo. Non era neanche il centro del Sistema solare, visto che eravamo noi a girare intorno al Sole e non viceversa. A seguire, arrivò un colpo ancora più devastante. Darwin dimostrò che gli esseri umani non sono il punto più alto raggiunto dalla vita terrestre e che tutte le creature, grandi e piccole, non sono state create nella forma in cui le vediamo oggi, ma sono diventate così in modo graduale, nel corso di tempi lunghissimi e attraverso processi totalmente naturali, e che questo valeva anche per noi. (…)Ed ecco Freud e Skinner che danno il colpo di grazia. Non solo il nostro pianeta, la grande roccia su cui ci troviamo, non è che un puntino in un angolo remoto dell’Universo; non solo non abbiamo nulla di diverso né di speciale rispetto alle piante e a tutti gli altri animali, ma non abbiamo neanche il controllo cosciente della nostra mente, dei nostri sentimenti e delle nostre azioni. Freud affermava che forze nascoste agiscono dentro di noi e ci controllano, anche se non ce ne accorgiamo. Skinner, poi, ci ha tolto anche quel minimo potere di azione.

Continua a leggere su: John Bargh, “A tua insaputa”, Bollati Boringhieri.

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La profondità come atteggiamento mentale

La profondità come atteggiamento mentale è una inclinazione che al giorno d’oggi non solo è difficile da realizzare ma che viene costantemente messa a rischio dalle condizioni culturali, sociali in cui viviamo… Piero Fanucci, “La nuova volontà”, Astrolabio

Essere profondi non è facile. La nostra mente, di suo, ama vagabondare, è il suo mestiere. Le cose si fanno ancor più difficili nella nostra epoca distratta e affrettata. Un contadino del medioevo doveva magari lottare con le carestie, le invasioni, lo sfruttamento, o i capricci del tempo. Ma la sua vita era semplice, i fattori in gioco pochi. L’abitante del ventunesimo secolo si trova in ben altra condizione. È più sicuro e protetto da un punto di vista materiale (nelle società più ricche). Ma l’universo in cui vive è immensamente più complesso. (…) Inoltre la sua mente ha a che fare non solo con i suoi problemi, ed è tutto dire, ma con le difficoltà e le angosce del mondo: un terremoto in Turchia o un’inondazione nel Pacifico, una crisi finanziaria o un nuovo virus globale, il riscaldamento del pianeta o la disoccupazione giovanile. Infine è allettato da mille promesse di piacere: di cibo, di eleganza, di tecnologia, di sesso. È invaso, confuso, distratto. Uno studio famoso ha mostrato che se all’entrata di un supermercato si offrono tre campioni gratuiti di marmellata, è più probabile che i soggetti in seguito comprino dei vasetti di quella marmellata. Se però deve scegliere fra ventiquattro campioni anziché tre, l’effetto di persuasione è molto meno efficace. Probabilmente perché i potenziali acquirenti sono confusi e snervati. Lo stesso accade, si è scoperto, con i bambini: mettili di fronte a tre giocattoli e sapranno quale scegliere; ma offrigliene ventiquattro, e diventeranno svogliati e capricciosi. Sono esperimenti che simboleggiano la condizione umana del nostro secolo: siamo circondati da una sovrabbondanza di stimoli, e lo stato di irrequieta e distratta confusione che ne deriva rischia di diventare un modo d’essere, quindi non più riconosciuto come un disagio, ma dato per scontato, tanto è comune e universalmente condiviso.

Continua a leggere su: Piero Fanucci, “La nuova volontà”, Astrolabio

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Atto di volontà : cosa è e come compierlo

L’ atto di volontà sostiene molti processi della nostra vita psichica e del nostro comportamento. Quali sono le fasi che lo compongono e perché è fondamentale scoprirne le debolezze. Roberto Assagioli, “L’atto  di volontà”, Astrolabio

L’ atto di volontà consiste di sei fasi o stadi sequenziali. Essi sono:

  1. Lo Scopo, la Meta o il Fine, basati su Valutazione, Motivazione e Intenzione.
  2. Deliberazione
  3. Scelta e Decisione
  4. Affermazione: il Comando o il “Fiat” della Volontà
  5. Pianificazione e Programmazione
  6. Direzione dell’Esecuzione.

Questi sei stadi sono come gli anelli di una catena; dunque la catena stessa – vale a dire l’atto di volontà non ha che la forza del suo anello più debole. Così l’esecuzione di un atto di volontà sarà più o meno efficace e ben riuscito secondo l’efficacia e la riuscita con cui ciascuna fase viene effettuata. Lasciatemi osservare, tuttavia, che qui ci stiamo occupando dell’ atto di volontà nel suo stato ideale e completo; non come fac-simile di ogni atto di volontà ma piuttosto come guida ad un’azione completa, intenzionale. Mentre importanti atti di volontà assicurano una attenta considerazione e l’esecuzione passo passo di ogni stadio (…) richiederà maggior tempo e fatica. Altri stadi potrebbero risultare completamente soddisfacenti con un minimo di sforzo e di attenzione. Per esempio, il capo di una fondazione a cui è stato assegnato del denaro da investire in opere buone può impiegare molto tempo e fatica per chiarire a se stesso quali sono i suoi obiettivi. Dopo di che considererà attentamente le molte possibilità, soppesando i vantaggi e gli svantaggi delle proposte che gli vengono fatte. Ne sceglierà infine una e con un piccolo sforzo ulteriore deciderà di sovvenzionarla. Poi, come ha fatto molte altre volte, programmerà di chiedere alla sua segretaria di avvertire il destinatario, e ordinerà che gli venga intestato un assegno. Qui i primi due stadi sono particolarmente importanti, la decisione lo è di meno; l’affermazione può essere difficile da percepire, mentre la programmazione consiste semplicemente nel contare sulle prestazioni della sua segretaria; e la direzione dell’esecuzione si limita a far sì che la segretaria avverta e paghi il destinatario.

Continua a leggere su: Roberto Assagioli, “L’atto  di volontà”, Astrolabio

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