La concentrazione è un’attenzione posta nel presente su qualcosa. Essa lo strumento principale per riuscire veramente ad entrare in contatto con una situazione o con un’altra persona e per conoscerla veramente. Erich Fromm ci spiega come la concentrazione rivolta a se stessi sia un efficace strumento per apprendere l’arte di vivere con consapevolezza oltre che per apprendere realmente a conoscere ciò che noi siamo.
“Concentrarsi significa vivere pienamente del presente, del momento attuale, senza pensare al prossimo impegno. (…) L’inizio della pratica della concentrazione è difficile, sembra di non riuscire mai a raggiungere lo scopo. In realtà ci vuole una grande pazienza. Se non si sa che ogni cosa dev’essere fatta a suo tempo, e si vogliono bruciare le tappe, allora non si riuscirà mai a concentrarsi veramente, nemmeno nell’arte d’amare. Per avere un’idea di cosa sia la pazienza, basti guardare un bambino che impara a camminare. Cade, si rialza, poi torna a cadere; eppure continua a provare e a riprovare, finché un giorno camminerà senza cadere. Che cosa non potrebbe raggiungere la persona adulta, se avesse la pazienza del bambino e la sua forza di volontà nel conquistare ciò che per lei è così importante? Non si può imparare a concentrarsi senza diventare sensibili con se stessi. Che cosa significa, ciò? Si dovrebbe forse pensare a se stessi tutto il tempo, “analizzarsi”? Se parlassimo di essere sensibili a una macchina, sarebbe facile spiegare ciò che s’intende. Chiunque guidi una macchina è sensibile ad essa. Rileva perfino il più piccolo, insignificante rumore, il minimo guasto. Nello stesso modo, il guidatore è sensibile ai cambiamenti del terreno, ai movimenti delle macchine davanti e dietro a lui. Eppure, non pensa a tutti questi fattori; la sua mente è in uno stato di rilassata vigilanza, aperta a tutti i cambiamenti rilevanti della situazione in cui è concentrata; quella di guidare con sicurezza l’automobile. Se consideriamo la questione della sensibilità verso un altro essere umano, troviamo l’esempio più ovvio nella sensibilità e nella responsabilità della madre nei riguardi del suo bambino. Ella nota certi cambiamenti fisici o d’umore, ancor prima che siano espressi. Si sveglia per il pianto del bambino, mentre un altro rumore, molto più forte, non la sveglierebbe. Tutto ciò significa che è sensibile alle manifestazioni di vita del suo bambino; non è né ansiosa né preoccupata, ma in stato di vigile equilibrio ricettivo ad ogni significativa comunicazione proveniente dal bambino. Nello stesso modo si potrebbe essere sensibili verso se stessi. Si è consci, per esempio, di un senso di stanchezza o depressione, ed invece di lasciarvisi andare, sopportandolo con pensieri deprimenti che sono sempre pronti, ci si chiede: “Che cos’è successo? Perché sono depresso?” Si fa lo stesso quando si nota se si è irritati o offesi, oppure se si ha la tendenza a sognare ad occhi aperti, o a indulgere ad altre attività di “evasione”. In ognuno di questi casi, la cosa più importante è rendersene conto, senza lasciarsi andare; inoltre, ascoltare la nostra voce più intima, che ci dirà spesso quasi immediatamente – perché siamo ansiosi, depressi, irritati.”
COMMENTO – La concentrazione è un’arte complicata da praticarsi nella nostra società dato che ogni cosa sembra remarvi contro. La velocità, l’esposizione continua a stimolazioni multiple, la richiesta di passare l’attenzione da una cosa all’altra, sono tutte situazioni contrarie alla concentrazione. Il primo consiglio che ci offre Erich Fromm per sviluppare la concentrazione è quello di apprendere a star soli senza impegnarsi in attività che richiedono attenzione e che ci portano lontano da noi stessi. Proviamo a stare senza leggere, guardare la TV o mangiare snack o bere. In questo modo riusciremo a fare esperienza di cosa voglia realmente dire “stare soli con se stessi”. La nostra attenzione verrebbe portata solo su di noi, riusciremmo a “guardarci” e ad avere una piena sensazione di esserci. Ma come nota Fromm: “chiunque tenti di stare solo con se stesso scoprirà quanto difficile sia. Comincerà a sentirsi irrequieto, nervoso, a provare un’ansia incontenibile. Si accorgerà di non poter andare avanti in questa pratica, convinto di non valer niente, di essere sciocco, che ci vuole troppo tempo, e così via. Si accorgerà pure che ogni sorta di pensieri gli verrà in mente, cercando d’impadronirsi di lui.” Così oltre a possibili sensazioni di disagio inizieremmo a pensare qualunque cosa per tenere occupata la mente anziché consentirle di svuotarsi. Per aiutarci potrebbe essere utile mettere in pratica piccoli esercizi per rilassarci: sedere in una posizione comoda, chiudere gli occhi per evitare stimoli distraenti, ridurre i rumori che potrebbero attirare la nostra attenzione. A questo punto proviamo a seguire il nostro respiro senza pensarci o sforzandolo ma semplicemente assecondando il suo normale ritmo e sentirlo. In questo modo la concentrazione sarebbe totalmente su di noi e potremmo sperimentare la piena sensazione di noi stessi. Tuttavia, oltre a portare la concentrazione su se stessi, è un utile esercizio imparare a puntarla su ciò che facciamo, per esempio mentre ascoltiamo la musica, leggiamo un libro o conversiamo con qualcuno. Anche in questo caso Fromm ci fornisce una utile osservazione: “l’attività, in quel preciso momento, dev’essere la sola cosa che conti, alla quale darsi completamente.”
Questi semplici esercizi possono aiutarci ad aumentare la sensibilità verso noi stessi, ad ascoltarci e ad osservarci. In genere questo tipo di concentrazione la pratichiamo facilmente quando abbiamo a che fare con la nostra corporeità. Siamo abili a percepire i cambiamenti nel nostro fisico, i dolori che possiamo provare. Come già detto questa sensibilità fisica è abbastanza facile da osservarsi nelle persone. Al contrario è molto più difficile riscontrarla quando la concentrazione ha come oggetto la nostra psiche sia per la sua immaterialità sia perché molte persone non hanno idea di cosa voglia dire funzionare mentalmente bene.
Erich Fromm, L’arte di amare, Mondadori
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