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la concentrazione

La concentrazione come attenzione a se stessi

La concentrazione è un’attenzione posta nel presente su qualcosa. Essa lo strumento principale per riuscire veramente ad entrare in contatto con una situazione o con un’altra persona e per conoscerla veramente. Erich Fromm ci spiega come la concentrazione rivolta a se stessi sia un efficace strumento per apprendere l’arte di vivere con consapevolezza oltre che per apprendere realmente a conoscere ciò che noi siamo.

“Concentrarsi significa vivere pienamente del presente, del momento attuale, senza pensare al prossimo impegno. (…) L’inizio della pratica della concentrazione è difficile, sembra di non riuscire mai a raggiungere lo scopo. In realtà ci vuole una grande pazienza. Se non si sa che ogni cosa dev’essere fatta a suo tempo, e si vogliono bruciare le tappe, allora non si riuscirà mai a concentrarsi veramente, nemmeno nell’arte d’amare. Per avere un’idea di cosa sia la pazienza, basti guardare un bambino che impara a camminare. Cade, si rialza, poi torna a cadere; eppure continua a provare e a riprovare, finché un giorno camminerà senza cadere. Che cosa non potrebbe raggiungere la persona adulta, se avesse la pazienza del bambino e la sua forza di volontà nel conquistare ciò che per lei è così importante? Non si può imparare a concentrarsi senza diventare sensibili con se stessi. Che cosa significa, ciò? Si dovrebbe forse pensare a se stessi tutto il tempo, “analizzarsi”? Se parlassimo di essere sensibili a una macchina, sarebbe facile spiegare ciò che s’intende. Chiunque guidi una macchina è sensibile ad essa. Rileva perfino il più piccolo, insignificante rumore, il minimo guasto. Nello stesso modo, il guidatore è sensibile ai cambiamenti del terreno, ai movimenti delle macchine davanti e dietro a lui. Eppure, non pensa a tutti questi fattori; la sua mente è in uno stato di rilassata vigilanza, aperta a tutti i cambiamenti rilevanti della situazione in cui è concentrata; quella di guidare con sicurezza l’automobile. Se consideriamo la questione della sensibilità verso un altro essere umano, troviamo l’esempio più ovvio nella sensibilità e nella responsabilità della madre nei riguardi del suo bambino. Ella nota certi cambiamenti fisici o d’umore, ancor prima che siano espressi. Si sveglia per il pianto del bambino, mentre un altro rumore, molto più forte, non la sveglierebbe. Tutto ciò significa che è sensibile alle manifestazioni di vita del suo bambino; non è né ansiosa né preoccupata, ma in stato di vigile equilibrio ricettivo ad ogni significativa comunicazione proveniente dal bambino. Nello stesso modo si potrebbe essere sensibili verso se stessi. Si è consci, per esempio, di un senso di stanchezza o depressione, ed invece di lasciarvisi andare, sopportandolo con pensieri deprimenti che sono sempre pronti, ci si chiede: “Che cos’è successo? Perché sono depresso?” Si fa lo stesso quando si nota se si è irritati o offesi, oppure se si ha la tendenza a sognare ad occhi aperti, o a indulgere ad altre attività di  “evasione”. In ognuno di questi casi, la cosa più importante è rendersene conto, senza lasciarsi andare; inoltre, ascoltare la nostra voce più intima, che ci dirà spesso quasi immediatamente – perché siamo ansiosi, depressi, irritati.”

COMMENTO – La concentrazione è un’arte complicata da praticarsi nella nostra società dato che ogni cosa sembra remarvi contro. La velocità, l’esposizione continua a stimolazioni multiple, la richiesta di passare l’attenzione da una cosa all’altra, sono tutte situazioni contrarie alla concentrazione. Il primo consiglio che ci offre Erich Fromm per sviluppare la concentrazione è quello di apprendere a star soli senza impegnarsi in attività che richiedono attenzione e che ci portano lontano da noi stessi. Proviamo a stare senza leggere, guardare la TV o mangiare snack o bere. In questo modo riusciremo a fare esperienza di cosa voglia realmente dire “stare soli con se stessi”. La nostra attenzione verrebbe portata solo su di noi, riusciremmo a “guardarci” e ad avere una piena sensazione di esserci. Ma come nota Fromm: “chiunque tenti di stare solo con se stesso scoprirà quanto difficile sia. Comincerà a sentirsi irrequieto, nervoso, a provare un’ansia incontenibile. Si accorgerà di non poter andare avanti in questa pratica, convinto di non valer niente, di essere sciocco, che ci vuole troppo tempo, e così via. Si accorgerà pure che ogni sorta di pensieri gli verrà in mente, cercando d’impadronirsi di lui.” Così oltre a possibili sensazioni di disagio inizieremmo a pensare qualunque cosa per tenere occupata la mente anziché consentirle di svuotarsi. Per aiutarci potrebbe essere utile mettere in pratica piccoli esercizi per rilassarci: sedere in una posizione comoda, chiudere gli occhi per evitare stimoli distraenti, ridurre i rumori che potrebbero attirare la nostra attenzione. A questo punto proviamo a seguire il nostro respiro senza pensarci o sforzandolo ma semplicemente assecondando il suo normale ritmo e sentirlo. In questo modo la concentrazione sarebbe totalmente su di noi e potremmo sperimentare la piena sensazione di noi stessi. Tuttavia, oltre a portare la concentrazione su se stessi, è un utile esercizio imparare a puntarla su ciò che facciamo, per esempio mentre ascoltiamo la musica, leggiamo un libro o conversiamo con qualcuno. Anche in questo caso Fromm ci fornisce una utile osservazione: “l’attività, in quel preciso momento, dev’essere la sola cosa che conti, alla quale darsi completamente.”

Questi semplici esercizi possono aiutarci ad aumentare la sensibilità verso noi stessi, ad ascoltarci e ad osservarci. In genere questo tipo di concentrazione la pratichiamo facilmente quando abbiamo a che fare con la nostra corporeità. Siamo abili a percepire i cambiamenti nel nostro fisico, i dolori che possiamo provare. Come già detto questa sensibilità fisica è abbastanza facile da osservarsi nelle persone. Al contrario è molto più difficile riscontrarla quando la concentrazione ha come oggetto la nostra psiche sia per la sua immaterialità sia perché molte persone non hanno idea di cosa voglia dire funzionare mentalmente bene.

Erich Fromm, L’arte di amare, Mondadori

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dare

Dare ovvero amare l’altro

Dare, per Erich Fromm, è l’azione fondamentale di ogni atto d’amore. Dare rende l’esistenza di ogni essere umano qualcosa di attivo e al tempo stesso capace non solo di arricchire chi riceve il dono ma anche chi dona all’altro. Pur essendo il dare un’azione da compiere in maniera disinteressata, nei fatti essa comporta sempre un ritorno per chi la compie: il benessere dato dalla capacità di andare al d là di noi stessi.

“La sfera più importante del dare, tuttavia, non è quella delle cose materiali, ma sta nel regno umano. Che cosa dà una persona a un’altra? Dà se stessa, ciò che possiede di più prezioso, dà una parte della sua vita. Ciò non significa necessariamente che essa sacrifichi la sua vita per l’altra, ma che le dà ciò che di più vivo ha in sé; le dà la propria gioia, il proprio interesse, il proprio umorismo, la propria tristezza, tutte le espressioni e manifestazioni di ciò che ha di più vitale. In questo dono di se stessa, essa arricchisce l’altra persona, sublima il senso di vivere dell’altro, sublimando il proprio. Non dà per ricevere; dare è in se stesso una gioia squisita. Ma nel dare non può fare a meno di portare qualche cosa alla vita dell’altra persona, e colui che riceve si riflette in essa; nel dare con generosità, non si può evitare di ricevere ciò che le viene dato di ritorno. Dare significa fare anche dell’altra persona un essere che dà, ed entrambi dividono la gioia di sentirsi vivi. (…) Ma non soltanto in amore dare significa ricevere. L’insegnante impara dai suoi discepoli, l’attore è stimolato dal suo pubblico, lo psicoanalista è curato dal paziente.”

COMMENTO – La capacità di amare è per Erich Fromm un aspetto fondante dell’esperienza umana e una via molto importante per lo sviluppo di ogni individuo. L’amore necessità da parte della persona un atteggiamento attivo nei confronti degli altri e non passivo; la capacità di amare rappresenta, dunque, una conquista che richiede soprattutto un “fare” da parte di chi vuole amare e non si configura come attesa di ricevere qualcosa. Questo carattere attivo da parte dell’amore può essere sintetizzato dicendo che amare è soprattutto dare. e non ricevere. Erich Fromm specifica cosa voglia dire quando afferma che la capacità d’amare è capacità di dare. In questo senso il verbo dare può creare molteplici malintesi e ambiguità. Prima di tutto, in questo discorso, dare non vuol dire cedere qualcosa, quindi privarsi o sacrificarsi. Le persone aride avvertono il proprio dare come un impoverimento personale, non solo di tipo materiale ma anche umanamente parlando. “Se do perdo qualcosa di mio” e quindi tali persone si rifiutano di dare. Altri ancora ritengono che dare se stessi agli altri voglia dire sacrificarsi. Come sottolinea Fromm: “sentono che solo per il fatto che è penoso dare, si dovrebbe dare; la virtù, per loro, sta nell’accettare il sacrificio. Per loro, la regola che è meglio dare anziché ricevere significa che è meglio soffrire la privazione piuttosto che provare la gioia.” È chiaro che questa concezione dell’amore, per quanto diffusa, sia profondamente insana perché apre la strada a rapporti che possono divenire ricattatori, colpevolizzanti e poco inclini all’autonomia individuale. Al contrario per la persona che vive la propria vita in maniera attiva dare ha un significato del tutto diverso. Dare, al contrario dell’impoverimento e del sacrificio, diventa una manifestazione di potenza da parte dell’individuo. Nel mentre che dà la persona manifesta la propria forza e la propria ricchezza. Tale vitalità nel gesto di dare riempie la persona di gioia, la fa sentire traboccante di vita e di felicità. In questo senso dare stimola più gioia dell’atto di ricevere perché è un arricchimento della propria vitalità.

In che forme questo dare si può concretizzare nell’amore. Il carattere attivo dell’amore si fonda su determinati aspetti comuni a tutte le forme d’amore: la premura dell’altro, la responsabilità, il rispetto e la conoscenza dell’altro. Dare si concretizza, allora, in tutte quelle azioni che vanno in queste direzioni perché amare qualcuno vuol dire avere nei suoi confronti un interesse attivo per la sua vita e la sua crescita. Come ribadisce Erich Fromm: “là dove manca questo interesse, non esiste amore.” Proviamo allora a vedere cosa significano nel concreto queste azioni che declinano il dare in una rapporto d’amore.  La cura e l’interesse per l’altro implicano responsabilità nei suoi confronti. Ma non una responsabilità intesa come un dovere, che ci viene imposto dall’esterno, ma come un atto strettamente volontario. Si tratta allora della nostra risposta bisogno espresso o inespresso da parte di un essere umano e che noi riusciamo a cogliere e che decidiamo di fare nostro.” Essere responsabile significa essere pronti e capaci di rispondere. La persona che ama risponde.” Al tempo stesso il rispetto per l’altro non vuol dire timore o paura dell’atro; esso si basa, nel senso etimologico della parola (respicere = guardare), sulla “capacità di vedere una persona com’è, di conoscerne la vera individualità. Rispetto significa desiderare che l’altra persona cresca e si sviluppi per quello che è.” Questo modo di intendere il rispetto dell’altro richiede che la persona che ama abbia raggiunto la propria indipendenza perché solo se abbiamo appreso a “stare in piedi o camminare senza bisogno di grucce, senza dover dominare o sfruttare un’altra persona” siamo in grado di amare, quindi, rispettare qualcuno.

Erich Fromm, L’arte di amare. Mondadori

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arte di vivere

Arte di vivere e il coraggio di crescere

L’ arte di vivere – secondo lo psicoanalista Erich Fromm – dovrebbe essere quella pratica che porta ciascun individuo, secondo una propria strada, a sviluppare se stesso in una esistenza piena e completa, di realizzazione del proprio essere una persona. L’ arte di vivere non è allora un accumulo di beni o il raggiungimento di determinati status, ma la vera possibilità di vivere una vita  realmente libera dai falsi miti della società attuale.

“I nostri contemporanei vorrebbero vivere felici senza prima sapere come si fa. Già Meister Eckhart si chiedeva come si pretendesse di imparare l’arte di vivere e di morire senza gli insegnamenti necessari. Questa è la domanda cruciale: oggi invece la gente sogna una grande felicità, ma non ha la più pallida idea sulle condizioni indispensabili per poter essere felici o condurre una vita in qualche misura soddisfacente. Io ho una chiara convinzione etica e una precisa idea su come debba configurarsi una cultura che miri al benessere umano. Col che non intendo dire di avere un piano dettagliato su come la società dovrebbe essere esattamente. (…) Rispetto ai valori-guida della nostra cultura io ho un’idea molto precisa: lo scopo principale della vita deve essere lo sviluppo completo dell’uomo, e non le cose, la produzione, la ricchezza o gli averi; lo stesso processo vitale deve essere davvero visto come un’opera d’arte. La vita è il capolavoro di un singolo individuo che deve mirare al massimo di forza e di crescita. La vita del singolo è da considerarsi la cosa più importante. Ma che cosa è davvero importante? (…) Oggi l’uso che si fa della propria vita non ha più una grande importanza. Quello che conta è avere successo, conquistare potere e prestigio, salire nella scala sociale, saper usare le macchine. Ma quanto a umanità, le persone si atrofizzano, tendono a regredire. Anche se aumenta la capacità di guadagnare denaro e di manipolare gli altri, dal punto di vista umano non si migliora di certo. Non si impara nulla e non si ottiene alcun risultato se non si è convinti che ciò che si intraprende sia la cosa più importante. Chi vuole apprendere qualcosa «perché sarebbe bello…» non imparerà mai nulla di serio. Solo chi ogni giorno si esercita per ore al piano può diventare un buon pianista. Lo stesso vale vuoi per la ballerina vuoi per il carpentiere. Sia l’uno che l’altra si esercitano ogni giorno per ore perché ciò che hanno scelto è diventato per loro la cosa più importante. Il Talmud lo spiega in modo molto convincente: quando gli Ebrei attraversarono il mar Rosso, Dio disse a Mosè di sollevare la sua verga e l’acqua si sarebbe aperta davanti a lui. Questo è ciò che racconta la Bibbia. Ma il Talmud dice: quando Mosè sollevò la verga, le acque non si aprirono. Le acque si ritirarono solo quando il primo Ebreo si fu gettato in mezzo ai flutti. Il punto cruciale è che non avviene nulla finché non si ha il coraggio di buttarsi.”

Commento – L’ arte di vivere potremmo dire che al suo interno contempli il fine di essere felici, ma tale traguardo non può essere raggiunto semplicemente parlando o leggendo libri su cosa fare. Al fine di arrivare a tale obiettivo è necessario operare in noi un vero cambiamento rispetto ai dettami che abbiamo appreso attraverso i condizionamenti culturali e tale cambiamento per essere realizzato deve essere supportato da una ferma volontà nell’individuo in grado di spingerlo a farlo. Ma questo non è facile anche se desiderato da molti e così davanti al fallimento di questo obiettivo – la nostra felicità –  ci scarichiamo della responsabilità addossandola agli altri. Quando si parla di responsabilità e non di “colpa” è proprio perché il primo termine rimanda alla possibilità di osservarci e provare a fare meglio, mentre il secondo comporta frustrazione e demotivazione. Quindi l’ arte di vivere ci richiede soprattutto di aumentare il nostro senso di responsabilità e la ferma volontà di sviluppare il nostro essere per stare meglio. Come ci ricorda Erich Fromm: “Finché ci si limita a guardare da lontano ciò che si intende raggiungere, non si comprende assolutamente nulla”. Tutto ciò che apprendiamo deve diventare nostro, metabolizzato: deve acquisire per noi un peso reale altrimenti rischia di rimanere soltanto come qualcosa di piacevole senza veramente incidere nella nostra esistenza. Così se leggiamo libri su come migliorare noi stessi o seguiamo delle conferenze sullo sviluppo personale dobbiamo poi impegnare noi stessi a usare quelle informazione e indicazioni con cui siamo venuti in contatto per altrimenti “ciò che non ha un significato diretto per la vita non merita di essere appreso. É meglio andare a pesca, in barca a vela o a ballare, piuttosto che apprendere cose che non hanno alcuna conseguenza diretta o indiretta sulla nostra esistenza.”

Erich Fromm, L’arte di ascoltare. Mondadori

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Erich Fromm

Erich Fromm e l’arte d’amare

Cosa vuol dire amare? Erich Fromm psicoanalista e con la sua profonda analisi del fenomeno amoroso, ci fa comprendere con le sue argomentazioni che la capacità di amare non è innata negli individui ma la sua maturazione richiede prima di tutto una crescita personale

“È l’amore un’arte? Allora richiede sforzo e saggezza. Oppure l’amore è una piacevole sensazione, qualcosa in cui imbattersi è questione di fortuna? Questo volumetto contempla la prima ipotesi, mentre è fuor di dubbio che oggi si crede alla seconda. La gente non pensa che l’amore non conti. Anzi, ne ha bisogno; corre a vedere serie interminabili di film d’amore, felice o infelice, ascolta canzoni d’amore; eppure nessuno crede che ci sia qualcosa da imparare in materia d’amore. Questo atteggiamento si basa su parecchie premesse: la maggior parte della gente ritiene che amore significhi “essere amati”, anziché amare; di conseguenza, per loro il problema è come farsi amare, come rendersi amabili, e per raggiungere questo scopo seguono parecchie strade. (…) Il primo passo è di convincersi che l’amore è un’arte così come la vita è un’arte: se vogliamo sapere come amare dobbiamo procedere allo stesso modo come se volessimo imparare qualsiasi altra arte, come la musica, la pittura, oppure la medicina o l’ingegneria.”

COMMENTO: Secondo Erich Fromm la costante ricerca d’amore da parte dell’individuo è un bisogno che nasce dalla consapevolezza della propria solitudine esistenziale, dalla percezione della nostra separatezza da tutti gli altri esseri umani. Da qui nasce la motivazione a ricercare quell’unione con l’altro di cui abbiamo bisogno per annullare quel vissuto congenito della distanza tra noi e il mondo. Tuttavia, in virtù della natura di tale bisogno, l’interpretazione che ne viene data ci porta ad una concezione e ad una pratica dell’amore in termini egoistici ed egocentrici. Così accade che le persone, per lo più, pensano inconsapevolmente all’amore declinandolo come personale bisogno di essere amato? Infatti, quando cerchiamo l’amore siamo portati a compensare il nostro bisogno di essere amati e non di amare qualcuno. Di conseguenza una siffatta interpretazione egoistica dell’amore, secondo Erich Fromm, ci porta a contaminare l’amore stesso e il nostro porci in rapporto con l’altra persona con gli aspetti della possessività e del controllo. L’altro è, dunque, percepito in termini di possesso e solo in relazione a ciò di cui noi abbiamo bisogno.

Secondo Erich Fromm esistono fondamentalmente due possibilità di vivere l’amore e il rapporto con l’altro. Il primo modo è rappresentato dell’amore simbiotico: nonostante la coppia sia formata da due persone con due corpi separati e due diverse individualità, la relazione che viene creata è di profonda interdipendenza. Nessuno dei due partner si sente mai solo dal momento che nessuno dei due è in grado di esserlo, dal momento che non sono dotati di una propria autonomia. Viene così a crearsi secondo Erich Fromm un rapporto di dannosa dipendenza. Il contrario della simbiosi sta nell’amore maturo che sa costruire una relazione in cui nonostante l’unione i due partner mantengono la propria individualità. Questo è possibile solo se entrambi i membri della coppia hanno raggiunto una vera indipendenza individuale, ossia quando i due partner sono capaci di camminare nel mondo da soli senza l’aiuto di altri e senza avere il bisogno di dominarli.

Erich Fromm, L’arte di amare. Mondadori

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resistenza 4

La resistenza in terapia e nella vita quotidiana

La resistenza è un potente meccanismo di difesa che, manifestandosi in svariate modalità, ci mette al riparo dall’affrontare aspetti cruciali della nostra esistenza. Se da una parte essa è un potente strumento di equilibrio, d’altra parte ci impedisce di superare problematiche con maturità e coraggio. Erich Fromm, “L’arte di ascoltare”, Mondadori

La resistenza è una questione molto complessa, non solo in psicoanalisi, ma anche nella vita di quanti aspirano a crescere e a vivere. Nell’essere umano sembrano coesistere due tendenze molto forti. Una lo spinge in avanti; inizia con la nascita del bambino, con l’impulso ad abbandonare il grembo materno. L’altra è la grande paura di fronte a ogni novità, soprattutto a ciò che è diverso; è la paura della libertà e del rischio; emerge come tendenza a lasciarsi intimorire, a ritornare indietro, a non avanzare. Questa paura del nuovo, di ciò che non rientra nelle nostre abitudini, di ciò che non è sicuro in quanto non ancora sperimentato, si manifesta nelle resistenze, nelle manovre più diverse messe in atto per evitare di avanzare e di compiere un atto coraggioso. La resistenza è una questione che non riguarda solo la psicoanalisi. La maggior parte dei problemi che emerge nell’analisi – come la resistenza o il transfert – è ancora più importante sul piano umano in generale. Ai fini dell’analisi questi problemi hanno un’importanza relativa, non fosse altro perché solo un numero limitato di persone fa questo tipo di esperienza. In termini generali la resistenza e il transfert sono tra le forze emozionali più intense dell’individuo. In nulla siamo tanto abili come nel razionalizzare le nostre resistenze. E il fatto di star meglio non implica che la resistenza sia minore. Ogni miglioramento è da considerare non con gioia e soddisfazione, ma con grande sospetto.

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sadismo 1

Sadismo e masochismo: in cosa consistono

Il sadismo e il masochismo sono due differenti modi di perdere la nostra libertà legandoci, in maniera diversa, agli altri. Così il sadismo e il masochismo sono impulsi irrazionali alimentati da un senso di inferiorità o da un desiderio di potere che “sottomettono” l’individuo a rapporti rigidi con gli altri. Con il suo solito linguaggio “quotidiano” e attento alle sfumature Fromm traccia con maestria le caratteristiche salienti del sadismo e del masochismo Erich Fromm, “Fuga dalla libertà”, Mondadori

Il primo meccanismo di fuga dalla libertà che tratterò è la tendenza a rinunciare all’indipendenza del proprio essere individuale, e a fondersi con qualcuno o qualcosa al di fuori di se stessi per acquistare la forza che manca al proprio essere. (…) Le forme più chiare di questo meccanismo si riscontrano nella brama di sottomissione (masochismo) e di dominio (sadismo), o, come forse è preferibile dire, nelle tendenze masochistiche e sadiche che esistono in vari gradi tanto nell’individuo normale che in quello nevrotico. Dapprima descriveremo queste tendenze, e poi cercheremo di dimostrare che sono entrambe una fuga da una solitudine intollerabile. Le forme più frequenti in cui si manifestano le “tendenze masochistiche” sono i sentimenti di inferiorità, di impotenza, di insignificanza personale. L’analisi di persone che sono ossessionate da questi sentimenti dimostra che, mentre al livello di coscienza esse si rammaricano di questi sentimenti e vorrebbero liberarsene, qualche forza inconscia dentro di loro le spinge a sentirsi inferiori o insignificanti. Questi sentimenti sono qualcosa di più che la consapevolezza di reali manchevolezze o debolezze (benché di solito vengano razionalizzate come se lo fossero); queste persone mostrano la tendenza a diminuirsi, ad indebolirsi, e a non padroneggiare le cose.

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la fede 4

La fede nella vita e nell’amore

La fede è per Fromm una condizione fondamentale per l’essere umano soprattutto quando questo atto di coraggio viene rivolto verso la credenza che l’amore e la capacità di amare siano prerequisiti essenziali per una vita piena e degna di essere vissuta. Erich Fromm, “L’arte di amare”, Mondadori

Aver fede richiede coraggio, capacità di correre un rischio e di accettare perfino il dolore e la delusione. Chiunque insista sulla sicurezza e sulla forza come mezzi principali non può aver fede; chiunque si rinchiuda in un sistema di difesa, in cui distacco e possesso siano i suoi mezzi di sicurezza, si rende prigioniero. Amare ed essere amati significa aver coraggio di giudicare certi valori e di aver fede in essi. Questo coraggio è diverso da quello di cui il famoso millantatore Mussolini parlò usando lo slogan “vivere pericolosamente “. Il suo tipo di coraggio è il coraggio del nichilismo. È basato su un atteggiamento distruttivo nei riguardi della vita, sulla volontà di respingere la vita perché si è incapaci d’amarla. Il coraggio della disperazione è l’opposto del coraggio dell’amore, così come la fede nel potere è l’opposto della fede nella vita. Esiste una pratica riguardo alla fede e al coraggio? In verità, la fede può essere praticata in ogni momento della vita. Ci vuol fede per allevare un bambino; ci vuol fede per prendere sonno; ci vuol fede per cominciare qualunque lavoro. Ma tutti noi siamo avvezzi ad avere tale genere di fede. Chiunque non l’abbia soffre di ansia per il proprio bambino, o d’insonnia, o dell’incapacità di fare qualsiasi genere di lavoro produttivo, oppure è sospettoso, non sa avvicinarsi al prossimo, o è ipocondriaco, o incapace di far piani per il futuro. Conservare il proprio giudizio su una persona, anche se la pubblica opinione o le circostanze sembrano minarla, rimaner fedeli alle proprie convinzioni anche se esse sono impopolari – tutto ciò richiede fede e coraggio. Accettare le difficoltà, le avversità e i dolori della vita come una sfida, superare la quale ci rende più forti, invece che come una punizione ingiusta, richiede fede e coraggio.

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realtà soggettiva 5

Realtà soggettiva e realtà oggettiva

La realtà soggettiva è un modo di percepire il mondo disinteressato, non direttamente collegato a coglierne l’utilità e la necessità. La realtà soggettiva ci dice cosa il mondo è per noi, il suo significato. Erich Fromm, “L’arte di ascoltare”, Arnoldo Mondadori

L’essere umano ha due modi di percepire la realtà: il primo è quello di giudicare la realtà in base alla necessità di viverci. Il bisogno umano di sopravvivere costringe l’individuo a questo. Chi ha in mano un pezzo di legno, se vuole fare un fuoco deve individuarne esattamente le proprietà. Se una persona si scaglia contro di me con un’arma in pugno e con intenzioni evidentemente ostili, e io credo invece che verso di me venga un angelo della pace con un ramoscello d’ulivo in mano, verrò ucciso. La conoscenza e la comprensione della realtà in cui viviamo sono una funzione umana biologicamente determinata. La maggior parte delle persone possiede questa facoltà, ragion per cui funziona anche sul piano sociale. Ma gli esseri umani hanno anche un’altra possibilità: invece di vivere la realtà secondo l’ottica della sua utilità, possono viverla anche da un punto di vista puramente soggettivo (realtà soggettiva). Se per esempio si osserva un albero, il proprietario dell’albero lo vedrà in funzione del suo valore economico. Ma è possibile osservarlo anche secondo un’ottica del tutto soggettiva, come qualcosa che si vede perché si hanno occhi per vedere, e che si percepisce come meraviglioso perché si possiede il senso della bellezza. Lo stesso vale per il rapporto con gli altri. Anche in questo caso si può avvicinare l’altro pensando: «A che cosa può essermi utile? Quali sono i suoi punti deboli? E quali i punti di forza?». In tal caso l’intera immagine dell’altro è subordinata all’intento di una sua utilizzazione. Ma se invece si parla con un altro e, simpatico o no, ci si limita a osservarlo senza porsi finalità di questo tipo, si prova magari un grande piacere, oppure un senso di avversione, o sentimenti di altro genere. Chi è capace di percepire la realtà in questo modo sa riconoscere nell’altro le sue radici più profonde e tutta la sua essenza.

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concentrazione 4

Concentrazione, come fare per sostenerla

La concentrazione è un requisito fondamentale per apprendere l’arte di vivere con consapevolezza e l’arte di amare. Non esistono regole che possano insegnarci a vivere bene se non applichiamo il semplice principio della concentrazione. Il primo prerequisito per lavorare sulla propria concentrazione è quello della disciplina… Erich Fromm, L’arte di amare, Mondadori

La concentrazione è assai più difficile a praticarsi nella nostra civiltà in cui tutto sembra agire contro di essa. Il passo più importante per imparare a concentrarsi è imparare a star soli senza leggere, ascoltare la radio, fumare o bere. Infatti, esser capaci di concentrarsi significa essere capaci di stare soli con se stessi, e questa capacità è una condizione precisa per l’arte d’amare. Se io sono attaccato ad un’altra persona perché non sono capace di reggermi in piedi, lui o lei può essere un “salvagente”, ma il rapporto non è un rapporto d’amore. Paradossalmente, la capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità d’amare. Chiunque tenti di stare solo con se stesso scoprirà quanto difficile sia. Comincerà a sentirsi irrequieto, nervoso, a provare un’ansia incontenibile. Si accorgerà di non poter andare avanti in questa pratica, convinto di non valer niente, di essere sciocco, che ci vuole troppo tempo, e così via. Si accorgerà pure che ogni sorta di pensieri gli verrà in mente, cercando d’impadronirsi di lui. Si scoprirà a fare piani per il resto della giornata, oppure a riflettere su certe difficoltà incontrate nel lavoro intrapreso, oppure a domandarsi dove andrà a trascorrere la serata, e a pensare qualsiasi cosa che gli occuperà la mente, piuttosto che permetterle di svuotarsi. Sarebbe utile praticare pochi semplici esercizi, come ad esempio, sedere in una posizione di relax (né molle, né rigida), chiudere gli occhi e cercare di vedere uno schermo bianco davanti a sé respingendone figure e pensieri che possano oscurarlo; quindi cercare di seguire il proprio respiro; non pensarci né sforzarsi di farlo, ma seguirlo, e così facendo, sentirlo; inoltre, cercare di aver un senso dell’“io”; io, me stesso, come il centro dei miei poteri, come il creatore del mio mondo. Si dovrebbe, perlomeno, fare un simile esercizio di concentrazione ogni mattina per venti minuti (se possibile di più) e ogni sera, prima di coricarsi.(…)

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bisogni 1

Bisogni artificiali e nuova umanità

I bisogni artificiali indotti in noi dalla società dei consumi hanno creato un nuovo tipo di umanità che fa del consumismo la sua nuova religione. Inoltre i bisogni artificiali sono diventati uno strumento di controllo sociale…  Erich Fromm, “L’amore per la vita”, Oscar Mondadori

È opinione ampiamente diffusa, non solo tra i profani ma anche tra molti uomini di scienza, che l’individuo sia una macchina funzionante secondo determinati requisiti fisiologici. Ci sono fame e sete, la necessità di dormire, la sessualità, e via dicendo: bisogni fisiologici o biologici che devono essere soddisfatti; e, qualora non lo siano, l’individuo diviene nevrotico oppure, come nel caso della fame, muore. Se invece sono soddisfatti, almeno in apparenza tutto va per il meglio. È tuttavia evidente che le cose non stanno affatto così. Può infatti darsi che tutti i bisogni fisiologici e biologici dell’individuo siano soddisfatti, e che ciononostante egli non sia soddisfatto, e dunque non viva in pace con se stesso ma si senta come se fosse affetto da una grave malattia interiore, sebbene in apparenza abbia tutto ciò che gli occorre. Gli manca la spinta, gli manca l’impulso che ne promuove l’attività. Mi limiterò ad alcuni rapidi esempi. In questi ultimi anni, si sono compiuti interessanti esperimenti sulla totale abolizione di stimoli. A tale scopo, si chiude un individuo in una cella di isolamento, gli si fornisce cibo, temperatura e illuminazione sempre eguali, eccetera, ma gli si fanno mancare completamente gli stimoli, sicché l’individuo vive in un certo senso in un ambiente simile a quello del feto nell’utero materno. Bastano pochi giorni perché nell’individuo oggetto dell’esperimento si riscontrino manifestazioni decisamente patologiche, speso di tipo schizofrenico: sebbene le sue esigenze fisiologiche siano soddisfatte, dal punto di vista psicologico una simile condizione di passività è patogena al punto da poter causare la pazzia. La stessa situazione, che nel caso del feto è normale (sebbene anche in questo caso non si abbia un’abolizione di stimoli altrettanto totale che nell’esperimento) nell’individuo adulto si rivela, ripeto, patogena. (…)

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