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la psicoterapia

La psicoterapia cosa aiuta a fare

La psicoterapia è un processo estremamente concreto che può fornire un aiuto a vivere sentendoci in contatto con noi stessi nella complessità della società attuale. Essa non è quindi la panacea in grado di risolvere tutti i nostri mali e di portarci ad una condizione di beatitudine. La psicoterapia è, come suggerisce Alexander Lowen, un modo per ricomporre il puzzle della nostra vita per ritrovare noi stessi proiettandoci verso il futuro.

“Nel processo terapeutico giriamo senza fine intorno al ciclo della vita dell’individuo, dal passato al presente e di nuovo al passato. Ogni circuito svela i ricordi del paziente e i suoi sentimenti su persone e avvenimenti del suo passato e li collega al comportamento e alla situazione attuale. Quando si completa un circuito, il risultato è una maggiore consapevolezza delle sensazioni più profonde e un livello di energia più alto e si è pronti a intraprendere un altro circuito con più energia e con una consapevolezza maggiore. Questi cerchi che si allargano gradatamente rappresentano la crescita della personalità attraverso l’espansione dell’essere. Ma il processo non termina mai: è impossibile analizzare tutti i problemi o risolvere tutte le tensioni. Le ferite provocate dai traumi della nostra vita possono guarire, ma le cicatrici rimangono. Non possiamo ritornare al nostro stato originario di innocenza. Ci sarà sempre qualche limitazione al nostro essere. L’essere umano è un animale imperfetto e un dio inferiore. (… )C’è un altro modo di considerare il processo terapeutico – come se fosse un tentativo di risolvere un puzzle. Noi terapeuti cerchiamo di aiutare il paziente a dare senso alla sua vita e a vederla nel suo insieme. Ho detto prima che la terapia è un viaggio alla scoperta di sé. Come in un puzzle, all’inizio non abbiamo tutti i pezzi, ma, con il progresso della terapia, vengono alla luce ricordi sempre più numerosi. Ogni volta che una parte di informazione si adatta e si congiunge ai pezzi vicini, l ‘immagine diventa più chiara, e il paziente riesce a vedere più profondamente dentro di sé; comincia a conoscersi. Anche se il puzzle non è mai completamente concluso, l’immagine diventa più chiara e la terapia progredisce.”

COMMENTO – La psicoterapia aiuta le persone che vi si rivolgono. Questo è un dato di fatto accertato da molti studi. Ma qual è, con onestà, il tipo di sostegno che la psicoterapia riesce a dare. Alexander Lowe psicoterapeuta e fondatore dell’approccio bioenergetico, prova a rispondere a tale quesito con la solita “concretezza” e lucidità che contraddistingue il suo pensiero. Quando si dice che dovrebbe fornire un aiuto concreto vuol dire che essa non porterà la persona né in paradiso, né la innalzerà ad uno stato di trascendenza; tantomeno libera gli individui da ogni forma di rimozione o inibizione. Come sostiene Alexander Lowen: “la terapia non è una panacea per le malattie umane ; non è la risposta al dilemma umano.” Bisogna partire dalla semplice constatazione che al giorno d’oggi gran parte della gente ha un gran bisogno di un aiuto per vivere la propria esistenza con un minimo di facilità e di piacere. Questa situazione è la diretta conseguenza del modo in cui è strutturata la cultura attuale: più una società diventa industrializzata e complessa, più problematiche diventano le condizioni di vita delle persone al suo interno. Inoltre, nel momento in cui per aspetti di sviluppo della cultura stessa, vengono a indebolirsi quei processi educativi e di supporto sociale tipici di società meno complesse ma più “umanizzate”, accade che gli individui abbiamo sempre più la necessità di un aiuto per affrontare la vita. Come giustamente nota Lowen: !a psicoterapia è un complemento necessario alla vita moderna, come, sembra, lo sono i sedativi e i tranquillanti. È un segno del “progresso.” Tale situazione pone degli evidenti limiti alla psicoterapia dal momento che essa deriva dalla stessa cultura che genera le problematiche che essa dovrebbe risolvere. Così, senza troppe illusioni la psicoterapia deve porsi l’obiettivo di favorire nelle persone l’adattamento alla propria cultura anche se questa presenta molte contraddizioni e aspetti disfunzionali. Le deve mettere nella condizione di poter vivere e lavorare all’interno di questo sistema con un atteggiamento critico ma mai tendente all’estraniamento. Secondo Lowen, infatti, “isolare una persona dalla sua cultura o dirigerla contro di essa, può essere più distruttivo. Noi, pertanto, cerchiamo di aiutare una persona a ridurre la tensione della sua vita all’interno di una situazione culturale che la sottopone giornalmente a una tensione analoga.” Come fare tutto ciò senza creare degli individui automi, ovvero perfettamente integrati e senza anima? La risposta sta tutta nel favorire nelle persone il riconoscimento dei propri vissuti, pensieri ed emozioni spesso rinnegati e repressi che, continuando a esistere nel proprio inconscio come forze dissociate ed estranee, finiscono per creare disagio e sofferenza. In questo modo la psicoterapia non crea degli individui robot acriticamente integrati: la nostra società, infatti, spesso ci impone di rinunciare e di non riconoscere aspetti di noi che la cultura giudica sbagliati o sconvenienti. Tramite i processi educativi ci insegna a rigettare da noi queste parti al punto tale che molte persone perdono qualunque contatto con esse, finendo per vivere in maniera distante da se stesse. La psicoterapia, allora, punta al loro recupero, favorendo negli individui il contatto e il reintegro di queste parti al fine di permettere loro di essere un po’ più se stessi.

Alexander Lowen, Paura di vivere, Astrolabio

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capacità di critica

Capacità di critica e crescita personale

La capacità di critica è un fattore importante per costruire la propria individualità. Tale capacità si basa sul fatto che la persona sappia far proprie le informazioni e gli stimoli provenienti dall’esterno, portandoli nella propria esperienza e acquisendoli a modo proprio. La capacità di critica fa sì che ogni apprendimento non sia fondato su dogmi o pregiudizi ma sulla possibilità di sviluppare un pensiero autonomo.

“La facoltà critica e lo scetticismo non comportano l’essere negativi e sfiduciati. La vera critica richiede una visione personale radicata nell’esperienza e sostenuta da un chiaro ragionamento oggettivo. L’esperienza dalla quale dipende la facoltà di critica deve riguardare l’individuo e non un dogma stabilito da altri. (…) Il pensiero creativo non può fare a meno della critica. Ogni passo in avanti nell’acquisizione di conoscenze è dovuto alle domande e alla negazione di concetti già stabiliti. Non si può fare nessun passo in avanti senza trascendere e, quindi, cambiare formule e modi di pensare precedenti. (…) Ogni individuo ha qualcosa da aggiungere al sapere comune perché il suo contributo si basa sull’unicità delle sue esperienze personali. Non esistono due persone che vedono il mondo con gli stessi occhi. Ognuno possiede un corpo unico e vive un’esistenza unica. Possiamo quindi essere tutti pensatori creativi, se accettiamo la nostra individualità. La rifiutiamo, invece, quando subordiniamo il nostro pensiero all’opinione dell’autorità. Dobbiamo imparare ciò che l’autorità conosce, ma ci riusciamo soltanto quando ascoltiamo sfruttando le nostre capacità critiche. Si acquisisce conoscenza quando le informazioni vengono analizzate e assimilate nella personalità. Finché ciò non accade, le informazioni sono come un utensile che non può essere usato perché la persona non sa come tenerlo in mano. L’apprendimento non è una semplice acquisizione di informazioni. La persona colta sa come applicare queste informazioni alla vita, e in special modo alla sua vita. Le ha confrontate con le sue sensazioni e le ha integrate con la sua esperienza. (…) Non possiamo insegnare a un bambino come vivere. L’insegnamento fornisce informazioni che, per essere utili, devono essere tramutate in conoscenza. Il punto catalizzatore di questa trasformazione è l’esperienza personale. Le informazioni che coincidono con la propria esperienza diventano conoscenza; il resto non viene assimilato, passa attraverso la mente ed è presto dimenticato.”

COMMENTO – Le considerazioni di Alexander Lowen non necessitano di aggiunte particolari essendo chiare ed esplicative di per sé rispetto alla necessità di sviluppare una propria capacità critica, in grado di evitare all’individuo di cadere nel conformismo. A corollario di ciò proponiamo alcune considerazioni che Lowen fa a proposito del gusto, strumento fondamentale per poter sviluppare e mantenere una capacità di critica rispetto al mondo che ci circonda. Ogni persona, dice Lowen, è in grado di stabilire ciò che le piace o meno, basandosi sui propri sentimenti e le proprie sensazioni. Riuscire a discernere ciò che piace e ciò che non piace è la base della conoscenza soggettiva. Per sviluppare il proprio gusto è necessario utilizzare la propria esperienza, ossia quell’insieme di apprendimenti metabolizzati e depositati in noi stessi. Sono queste esperienze che, accumulatesi come apprendimenti veri, costituiscono il vero strumento per lo sviluppo del proprio gusto e quindi la propria capacità di critica. È a partire da questa considerazione che Lowen afferma che: “di una persona che ha gusto si può dire che conosce la sua mente. Se inoltre riesce a dire il perché delle sue preferenze, ovvero se riesce a basare i suoi gusti su motivi pratici, è un individuo che possiede la capacità di critica.” Il senso del gusto è innato in ogni individuo (“dalla nascita siamo in grado di distinguere il dolore dal piacere”) e quindi esso non va creato ma lo si può solo sviluppare e affinare. Inutile sottolineare che dire di un individuo che ha gusto, non significa che quell’individuo apprezzi le cose che una qualche maggioranza o gruppo di riferimento valuti come belle, buone o giuste. Spesso avere il proprio gusto vuol dire apprezzare cose o avere idee anche in contrasto con quello che è il gusto dominante. In questo caso non saremmo persone prive di gusto solo perché non confermiamo l’orientamento della maggioranza. Sperimentare questa libertà di giudizio significa affinare il proprio gusto ed esprimere la capacità di critica. Sono queste le basi per vivere un’esistenza veramente autentica, ossia una vita che non sia diretta da norme o comandi o ideologie di qualunque tipo, ma che sia guidata da una capacità di giudizio individuale in grado di stabilire che cosa sia autentico e che cosa non lo sia.

Alexander Lowen, Il piacere. Un approccio creativo alla vita. Astrolabio

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Il passato o il futuro: le influenze su di noi

Il passato e il futuro sono le due dimensioni temporali che determinano il nostro presente. Da quali di queste due variabili dipendono le scelte che facciamo: dal passato delle nostre esperienze o dallo sguardo verso il futuro. È innegabile che il passato ci influenza ma anche le proiezioni verso il futuro giocano un ruolo. Il dilemma tra determinismo legato al passato e il libero arbitrio può essere risolto come ci spiega Lowen. Alexander Lowen, “Paura di vivere”, Astrolabio

Non è triste essere rifiutati quando non ci si apre. È triste solo quando ci si apre, si stendono le braccia verso gli altri e poi si è rifiutati. Finché una persona sarà rigida, non c’è né speranza né dolore, solo solitudine. Si può parlare di scelta in un caso come questo? Una persona ha la scelta di mettere o no la mano sul fuoco? Se si è bruciata toccando una stufa calda, starà attenta a non toccarla di nuovo. Solo uno sciocco corre il rischio anche se è stato bruciato due volte. Le esperienze passate strutturano il nostro comportamento per assicurarci la sopravvivenza. Non ci chiudiamo, non ci corazziamo o non ci ritiriamo per scelta, ma per necessità. Nessuno sceglie deliberatamente uno stile di vita nevrotico, poiché è una limitazione dell’essere. Il processo di corazzatura è un mezzo di sopravvivenza, un modo di evitare un dolore intollerabile. (…) La psicologia è un aiuto relativamente modesto in questa situazione. Si può far capire a una persona che nella sua condizione di chiusura si sentirà sempre rifiutata ; che se non si apre, necessariamente gli altri la rifiuteranno. Ma non può cambiare il suo modo di essere prendendo una decisione. Questo perché il controllo conscio del comportamento è limitato alle azioni volontarie. Il pensiero cosciente, agendo tramite l ‘Io, comanda i movimenti volontari del corpo. Ma questo comando non ha presa sui movimenti relativi alle sensazioni represse. (…) Si consideri il caso di una persona che lotta con un bisogno eccessivo di potere e di controllo. Invariabilmente, l’analisi mostrerà che nell’infanzia soffriva di un senso di debolezza e di impotenza che sentiva minaccioso per la sua sopravvivenza. La sua pulsione al potere può quindi essere considerata un mezzo per assicurarsi la sopravvivenza. Di nuovo non è questione di scelta , ma di necessità. Oppure prendiamo il caso di una persona il cui comportamento è sottomesso e passivo. Si tratta del risultato di una scelta? Una volta di più l’analisi rivelerà che non fu una scelta, che questo modello di comportamento fu adottato per sopravvivere. Nella situazione familiare il bambino doveva sottomettersi e sopravvivere, o ribellarsi ed essere distrutto. Questa non può essere considerata una scelta.

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Individualità e piacere

L ‘ individualità, ci spiega Alexander  Lowen padre fondatore della bioenergetica, si fonda sul piacere in grado di generare una sorta di “eccitazione” capace di far sentire vivi gli individui. Alexander Lowen, “Il piacere”, Astrolabio

Non siamo abituati a pensare al piacere come al fondamento dell’ individualità. La gente pensa che l’individuo si quella persona che si erge al di sopra della folla. Ma non conosce la persona, è solo a conoscenza della sua immagine. Ingigantita dai mass media, l’immagine sembra grande e solenne. È traumatico rendersi conto che la persona reale non è affatto simile all’immagine che se ne ha. Si scopre che l’autore famoso è un conservatore timido e insicuro. L’attrice di fama, al di fuori del palcoscenico, dà prova di essere riservata ed emotivamente bloccata. Il famoso uomo d’affari ha poco da dire, a parte i dettagli della sua vita di lavoro, e così via. Se non ci lasciamo accecare dall’immagine, ci rendiamo subito conto che manca qualcosa nella vita di questi individui. Non di rado il loro successo è una compensazione della mancanza di significato delle loro vite private. A livello personale, non riescono a trasmetterci il senso della loro individualità. (…) Ho conosciuto anche gente che provava “eccitazione” per la vita. Non erano individui entusiasti che proclamavano la loro devozione per la vita (tali affermazioni sono sospette, sembrano tentativi di convincere se stessi che la vita valga la pena di essere vissuta); non erano seguaci di qualche causa o fanatici di qualche credo; non se erano consacrati a grandi mete. Il fatto significativo è che, quando li incontravi, sapevi immediatamente di essere di fronte a degli individui. Non era ciò che dicevano o facevano a darti questa impressione, ma qualcosa che riguardava le loro persone, qualcosa di fisico. Irradiavano una forte sensazione di piacere: gli occhi erano luminosi e le loro maniere pronte; ti guardavano con interesse e ti ascoltavano con attenzione; quando parlavano, esprimevano i loro sentimenti e ciò che dicevano aveva un senso; si muovevano agevolmente, perché i loro corpi erano rilassati. Osservando i corpi eri consapevole di una vitalità interiore che si manifestava con un buon tono muscolare e una bella pelle. Sapevi intuitivamente che quelle erano persone che apprezzavano la vita. Ovviamente, questa gente non aveva bisogno di alcuna terapia.

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Terapia psicologica come aiuto per vivere bene

La terapia psicologica non è qualcosa di astratto ma un concreto aiuto a vivere bene nella complessità della società attuale. Terapia psicologica come lavoro per togliere dalla nostra mente la colpa per restituire un senso di innocenza. Terapia psicologica come ricostruzione del puzzle della nostra vita. Alexander Lowen, Paura di vivere, Astrolabio

Credo che la terapia mi abbia enormemente aiutato, ma non mi ha portato in paradiso o innalzato a uno stato di trascendenza, sebbene io abbia passato la maggior parte della mia vita impegnato in questo processo. Credo anche di aver aiutato la maggior parte dei miei pazienti ma nessuno di loro è stato liberato totalmente dalla rimozione o dalla inibizione. La terapia non è una panacea per le malattie umane ; non è la risposta al dilemma umano. Che la maggior parte della gente oggi abbia bisogno di un aiuto per funzionare con un minimo di facilità e di piacere, è una triste conseguenza della nostra cultura, ma è vero. Più una cultura diventa industrializzata e sofisticata, più problemi pone alle persone e più esse hanno bisogno di aiuto semplicemente per affrontare la vita. La terapia è un complemento necessario alla vita moderna, come, sembra, lo sono i sedativi e i tranquillanti. È un segno del “progresso” . I limiti della terapia derivano, in una certa misura, dal fatto che essa appartiene alla cultura che produce i problemi che essa si propone di risolvere. La terapia deve aiutare l’individuo ad adattarsi alla sua cultura; deve aiutarlo a vivere e a lavorare all’interno di questa cultura. Isolare una persona dalla sua cultura o dirigerla contro di essa, può essere più distruttivo. Noi, pertanto, cerchiamo di aiutare una persona a ridurre la tensione della sua vita all’interno di una situazione culturale che la sottopone giornalmente a una tensione analoga. È come dire a una persona di stare calma e tranquilla mentre i cannoni della guerra tuonano intorno a lei, o di rimanere mentalmente sana e razionale vivendo in un manicomio. Da questo punto di vista il terapeuta moderno può essere paragonato allo stregone della società primitiva.

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Il fato è qualcosa a cui non possiamo sfuggire. Ma il fato non è qualcosa di astratto ma lo si può identificare con il nostro carattere a cui non possiamo ribellarci. Ne nascerebbe una lotta contro noi stessi autodistruttiva. Solo accettando ciò che siamo riusciremo a liberare quelle energie necessarie alla guarigione di noi e alla crescita. Alexander Lowen, Paura di vivere, Astrolabio Ho studiato a lungo la storia di Edipo, ma recentemente le ho prestato un rinnovato interesse per via del ruolo che il fato ha nel mito. Si consideri il fatto che sia Laio. il padre, che Edipo, il figlio, consultarono l'oracolo in diverse occasioni, fu predetto loro lo stesso fato, e che entrambi presero provvedimenti per evitarlo. Laio legò il suo bambino in un campo affinché morisse; Edipo lasciò Corinto per evitare di uccidere il padre. Tuttavia, malgrado questi sforzi per evitare il loro fato, la predizione dell'oracolo si avverò. La domanda che mi viene in mente è: ciò successe proprio perché essi cercarono di evitare il loro fato? Questa domanda mi colpisce con particolare intensità, da quando ho capito che uno degli aspetti del carattere nevrotico è l'incapacità del nevrotico di accettare se stesso. Mi sono reso conto che l'individuo nevrotico lotta per evitare un fato temute, ma è proprio questo sforzo che rende possibile proprio quel fato cui egli tenta di sfuggire. Ammettiamo, ad esempio, che Laio avesse accettato il fato predetto dall'oracolo. La storia sarebbe stata diversa? (Una simile accettazione poteva esser indice di un atteggiamento religioso. Se è volontà degli dei, cosi sia). Se Laio avesse educato Edipo come un figlio, almeno uno degli incidenti della storia avrebbe potuto essere evitato: Laio non sarebbe stato uno straniero per suo figlio e cosi non sarebbe stato ucciso in un incontro casuale sulla strada maestra. Se Edipo avesse accettato il suo fato e fosse rimasto a Corinto ubbidendo alla volontà degli dei, non avrebbe potuto sposare sua madre. I 'se' possono cambiare una storia, ma è proprio perché i fatti andarono in quel modo che noi abbiamo una storia significativa di esperienza umana. (…) Diciamo spesso che il fato coglie o sorprende le persone, Ho detto che queste azioni garantiscono il fato. Ma garantire può essere una parola troppo forte. Invitare sembra più adatta. Per esempio, se qualcuno assume un atteggiamento provocatorio, ci si può aspettare che qualcun altro raccolga la provocazione. Certi atteggiamenti per natura suggeriscono agli altri risposte di un certo tipo. Ecco un semplice esempio clinico. Ho avuto come paziente una donna che si lamentava di non riuscire mai a "farsi un uomo". Tutte le sue relazioni con gli uomini duravano poco. Un giorno, durante la seduta disse “Mia madre mi diceva sempre, Nessun uomo mai ti vorrà”. Era come se sua madre le avesse gettata una maledizione che determinava il suo fato, tanto che aveva raggiunto la mezza età senza aver trovato un uomo che volesse avere con lei una relazione seria. Ma la mia paziente aveva un ruolo attico, anche se inconscio, nel determinare il proprio fato. Credendo a ciò che le aveva detto sua madre, si aggrappava a ogni uomo che aveva interesse per lei. Non lo faceva in modo esplicito, ma scegliendo attentamente un modo di comportarsi utile all’uomo. Il risultato, tuttavia, era sempre lo stesso poiché non poteva nascondere la sua disperazione. L’uomo, messo in guardia, fiutava la trappola e se ne andava. Così la profezia della madre sembrava proprio avverarsi. C’è un altro modo di considerare l’azione del fato. Le difese che erigiamo per proteggerci creano proprio la condizione che cerchiamo di evitare. Così, quando qualcuno costruisce un castello per proteggere la sua libertà, finisce prigioniero del castello perché non osa lasciarlo. Analogamente, non si può garantire la pace accumulando le armi, perché gli eserciti, per la loro stessa natura, conducono alla guerra. Questo concetto è particolarmente evidente nelle difese psicologiche sviluppate dalle persone. Per esempio, l’individuo che, per paura del rifiuto, si difende non aprendosi o non scoprendosi agli altri, si isola e, con questo atteggiamento, si sentirà sempre rifiutato. In una situazione simile, nessuno può essere libero. Questo vale per i nevrotici, che innalzano barriere psicologiche e costruiscono corazze muscolari per proteggersi da eventuali ferite, e scoprono poi che la ferita temuta, con questo processo, si è strutturata nel loro essere. (…) Eppure, non cerchiamo forse tutti di superare la nostra debolezza, la nostra paura o i nostri sensi di colpa? Mettiamo in moto la volontà nel tentativo di sormontare gli ostacoli interni che ci bloccano nella realizzazione dei nostri sogni. Diciamo: "Se c'è la volontà, c'è una via d'uscita". Con uno sforzo di volontà sufficiente possiamo fare quasi l'impossibile. La volontà ha potere nelle azioni o nelle prestazioni, ma non per cambiare lo stato profondo del nostro essere. Le nostre sensazioni non sono soggette alla volontà. Non possiamo cambiarle con un'azione cosciente, ma possiamo reprimerle. Tuttavia la repressione di una sensazione non provoca la sua scomparsa; la spinge solo più profondamente nell'inconscio. In questo modo interiorizziamo il problema. Allora diventa necessario sottoporsi alla terapia per riportare alla coscienza il conflitto in un modo non nevrotico. La mia ipotesi è che un individuo non può superare un problema che è parte della sua personalità. La parola chiave di questa affermazione è superare. Il tentativo di fare questo mette una parte dell’Io contro l’altra; l’Io, con la volontà, si oppone al corpo e alle sue sensazioni. Invece dell'armonia tra questi due aspetti antitetici della natura umana si crea un conflitto che in definitiva distrugge la persona Questo è ciò che fanno tutti i nevrotici, imprigionandosi nel fato che cercano di evitare. L'alternativa, e la via alla salute, risiede nella comprensione, che porta all’auto accettazione, all'autoespressione e alla padronanza di sé. Ci sono dunque due modi in cui determiniamo il nostro fato. Primo, con il nostro atteggiamento e con il comportamento, cioè con il nostro carattere, provochiamo risposte di un certo tipo dagli altri. Se per paura del rifiuto, restiamo in disparte o ci ritraiamo, non dobbiamo stupirci se gli altri mantengono le distanze. Oppure se siamo paranoici, la nostra diffidenza provocherà l’ostilità degli altri e sperimenteremo la loro antipatia. Il secondo modo è perpetrare in noi stessi il fato che temiamo. Reprimendo le nostre sensazioni, creiamo un vuoto interiore; ci mettiamo in trappola da soli con tensioni sviluppate come resistenze a cedere alla paura di essere intrappolati. Ma questi due modi non sono privi di rapporto La persona che si sente vuota vive una vita vuota di significati in termini di relazioni e coinvolgimento. Chi si intrappola da solo è intrappolato dalle situazioni della vita. La situazione esterna deve combattere quella interna. Un piolo quadrato non si adatta a un buco tondo. Parlando in generale, ogni persona trova nel mondo il rifugio che le è adatto. Naturalmente è anche vero che una situazione esterna ne produce una interna, sebbene possa sembrare una contraddizione. Con la sua influenza sulla famiglia, la cultura plasma il carattere dei bambini. Se viviamo in un mondo alienato, ci alieniamo dal nostro corpo e da noi stessi. Una comprensione dei rapporti tra condizione interna e situazione esterna è essenziale per una comprensione della natura umana e del fato. La gente è estremamente a disagio quando si trova in situazioni diverse da quelle a cui è abituata. Mettete un mendicante in una bella casa e implorerà che gli sia permesso di ritornare sulla strada. Vestite un barbone con abiti da signore e non saprà come muoversi. Il contrario e altrettanto vero. Siamo esseri legati all'abitudine: i nostri corpi e il nostro comportamento si strutturano in situazioni definite e ci è molto difficile adattarci ad altre. Senza contare come siamo nati, è il modo in cui siamo stati educati che determina il nostro fato o la nostra sorte. Per esempio, i bambini che crescono con la televisione non possono vivere senza perché si sono abituati a questo tipo di stimolo.(…) Lottando contro il destino ci si avvolge solo più profondamente nelle sue spire. Come un animale preso in una rete, più uno si lotta, più si lega strettamente. Questo significa che siamo condannati? Siamo condannati solo se lottiamo contro noi stessi. La spinta principale data dalla terapia è l’aiuto a mettere di lottare contro se stessi. Questa lotta è autodistruttiva: esaurirà le energie di una persona e non approderà a nulla. Molte persone vogliono cambiare. Il cambiamento è possibile, ma deve cominciare con l’accettazione di sé: il cambiamento fa parte dell’ordine naturale. La vita non è statica; si sviluppa continuamente o declina. Non si deve fare qualcosa per crescere, la crescita avviene naturalmente e spontaneamente quando l’energia è disponibile. Ma quando utilizziamo le nostre energie in una lotta contro il nostro carattere (fato) non ci rimangono energie per la crescita o per il naturale processo di guarigione. Ho sempre constatato che appena un paziente accetta se stesso, si ha un cambiamento significativo nelle sue sensazioni, nel suo comportamento e nella sua personalità

Fato : carattere e accettazione di sé

Il fato è qualcosa a cui non possiamo sfuggire. Ma il fato non è qualcosa di astratto ma lo si può identificare con il nostro carattere a cui non possiamo ribellarci. Ne nascerebbe una lotta contro noi stessi autodistruttiva. Solo accettando ciò che siamo riusciremo a liberare quelle energie necessarie alla guarigione di noi e alla crescita. Alexander Lowen, Paura di vivere, Astrolabio

Ho studiato a lungo la storia di Edipo, ma recentemente le ho prestato un rinnovato interesse per via del ruolo che il fato ha nel mito. Si consideri il fatto che sia Laio. il padre, che Edipo, il figlio, consultarono l’oracolo in diverse occasioni, fu predetto loro lo stesso fato, e che entrambi presero provvedimenti per evitarlo. Laio legò il suo bambino in un campo affinché morisse; Edipo lasciò Corinto per evitare di uccidere il padre. Tuttavia, malgrado questi sforzi per evitare il loro fato, la predizione dell’oracolo si avverò. La domanda che mi viene in mente è: ciò successe proprio perché essi cercarono di evitare il loro fato? Questa domanda mi colpisce con particolare intensità, da quando ho capito che uno degli aspetti del carattere nevrotico è l’incapacità del nevrotico di accettare se stesso. Mi sono reso conto che l’individuo nevrotico lotta per evitare un fato temute, ma è proprio questo sforzo che rende possibile proprio quel fato cui egli tenta di sfuggire.

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Facoltà di critica e individualità

La facoltà di critica è un prerequisito per la costruzione della propria individualità. Alla base della facoltà di critica c’è il gusto personale, vero e proprio strumento di differenziazione per l’essere umano. La facoltà di critica basa la propria forza non su dogmi e pregiudizi ma sulla capacità di sviluppare un pensiero autonomo basato sulla propria esperienza. La facoltà di critica può  favorita da una educazione che esalti il giudizio dei bambini senza imposizioni. Alexander Lowen, Il piacere. Un approccio creativo alla vita. Astrolabio

Nella sua piacevolissima serie di saggi Portraits from Memory, Bertrand Russel fa un’osservazione che riguarda se stesso: “È stato sempre l’intelletto scettico, quando ne avrei preferito uno silenzioso, a sussurrarmi dubbi, a tagliarmi fuori dal semplicistico entusiasmo altrui e a gettarmi in una desolata solitudine”. Sebbene fosse consapevole delle sofferenze che gli causava il suo scetticismo, Russel non riuscì a ridurlo al silenzio. Era sua parte integrante, e diventò anche parte integrante del suo lavoro. La sua affermazione pone due importanti quesiti: senza il suo spirito scettico, Russel sarebbe diventato quel pensatore che era? E in secondo luogo: si possono avere delle vere capacità intellettive se queste non includono lo scetticismo? La mia risposta a entrambi i quesiti è “No”. Lo scetticismo di Russel è l’espressione della sua individualità e della sua indipendenza. È la prerogativa di un libero pensatore che forma i propri giudizi in base alla sua esperienza. È la mente dell’uomo che riesce a dire di no. (…) Sarebbe un grave sbaglio credere che Russel mancasse di entusiasmo. Tutto ciò che si conosce di lui e ogni riga dei suoi scritti lo mostrano innamorato della vita, con una visione positiva dell’essere e con punti di vista costruttivi. Il suo scetticismo intellettuale rappresenta la limitazione e la moderazione esercitate da un Io sicuro per compensare una natura piena di entusiasmo. Al contrario, l’entusiasmo semplicistico dell’individuo medio è una disperata ricerca di significati e di sicurezza. Non avendo alcuna vera convinzione interiore, l’individuo di massa aderisce a qualsiasi idea nuova capace di sostenere momentaneamente il suo Io vacillante. I facili entusiasmi sono caratteristici degli amanti incostanti.

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Immagine di sé e autenticità

L’ immagine sembra essere nella società attuale l’aspetto maggiormente da valorizzare di se stessi. Ma questo è a discapito di ciò che di più autentico può essere un individuo e, soprattutto, crea una profonda confusione su ciò che ciascuno di noi realmente è. Alexander Lowen, Paura di vivere, Astrolabio

Poche persone nella nostra cultura hanno il coraggio di essere se stesse, la maggior parte interpreta un ruolo, gioca un gioco, assume una  maschera, si nasconde dietro una facciata. Non credono che il loro Io autentico ossa essere accettato, come non Io fu dai genitori. “Non apparire così triste”, dice la mamma, “nessuno ti amerà. Sorridi” . E il bambino allora si nasconde dietro l’apparenza di un sorriso. “Spalle in dentro e petto in fuori” , dice il padre al bambino, che subito si adegua assumendo un’apparenza virile. Di solito i ruoli e i giochi si sviluppano più sottilmente in risposta a domande inespresse dei genitori e alle loro pressioni. Maschere, facciate e ruoli si strutturano nel corpo, perché il bambino crede di ottenere, con questo atteggiamento, l’approvazione e l’amore dei genitori. I nostri corpi sono plasmati dalle forze sociali esistenti nella famiglia, che formano il nostro carattere e determinano il nostro fato … che sarà di cercare di piacere agli altri per ricevere amore e approvazione. Ma ciò non avviene: né allora, né oggi . L’amore non può essere conquistato o guadagnato, poiché è un’espressione spontanea di affetto e di calore in risposta all’esistenza di un’altra persona. ” Io ti amo”, non: “Amo ciò che fai” . L’amore implica accettazione, che fu negata al bambino. Una volta abbandonata l’autenticità del nostro Io per recitare una parte, siamo destinati a essere rifiutati, perché ci siamo già rifiutati da soli . Purtuttavia cerchiamo di migliorare il nostro ruolo, sperando di vincere il nostro fato, ma ne siamo sempre più coinvolti. Siamo presi in un circolo vizioso, che ci tiene prigionieri, alterando la nostra vita e il nostro essere. Perché non abbandoniamo il ruolo, non cessiamo il gioco, non lasciamo cadere la facciata o non gettiamo la maschera? La risposta è che non siamo consapevoli della mancanza di autenticità del nostro aspetto e del nostro comportamento. La maschera o la facciata sono diventate parte di noi; il ruolo è una seconda natura e abbiamo dimenticato la nostra vera natura.

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Il narcisista e gli altri

Nell’individuo narcisista l’azione è dissociata dal sentimento o dall’impulso ed è giustificata dall’immagine. Il narcisista in questo modo riesce ad avere nei confronti degli altri condotte altrimenti incomprensibili. La persona narcisista non considera il prossimo come se fosse una persona ma solo come una immagine, spogliandolo di ogni umanità Per questo stesso motivo, l’immagine di sé, il narcisista è così incline alla menzogna. L’individuo narcisista riesce a mentire con così grande facilità perché da tempo ha interrotto il suo legame con la realtà. Alexander Lowen, Il narcisismo Feltrinelli.

La negazione dei sentimenti che caratterizza l’individuo narcisista è evidentissima nel suo comportamento verso il prossimo. Possono essere spietati, sfruttatori, sadici o distruttivi nei confronti dell’altro perché sono insensibili ai suoi sentimenti e alle sue sofferenze. E lo sono perché sono insensibili ai loro stessi sentimenti. L’empatia, la capacità di sentire i sentimenti e gli stati d’animo delle altre persone, è una forma di risonanza. Possiamo sentire la tristezza di una persona perché ci rende tristi; possiamo condividere la felicità di un altro perché suscita in noi dei buoni sentimenti. Ma se siamo incapaci di provare tristezza o gioia, non possiamo reagire alla tristezza o alla gioia di un altro, magari dubitiamo addirittura che soffra o sia felice. Quando neghiamo i nostri sentimenti, neghiamo che gli altri ne abbiano. Solo su questa base si riesce a spiegare il comportamento spietato di alcuni narcisisti. Certi dirigenti privi di scrupoli, per esempio, creano tra i dipendenti un regime di terrore con la loro indifferenza e insensibilità e con i licenziamenti indiscriminati. Naturalmente sono altrettanto duri con se stessi; le loro mete di potere e successo richiedono il sacrificio della loro stessa sensibilità e dei loro sentimenti. Questi dirigenti si considerano come dei generali in una guerra dove la vittoria è il successo negli affari. Con questa immagine di se stessi possono trattare i loro subordinati come carne da cannone nella corsa verso la vittoria. Uno dei modi in cui la nostra cultura alimenta la personalità narcisistica è quello di dare troppa importanza alla vittoria. Uno slogan molto diffuso dice: vincere è la sola cosa che conta. Un atteggiamento del genere minimizza i valori umani e subordina i sentimenti degli altri all’unico vero scopo, quello di vincere, di arrivare in vetta, di essere il numero uno. Ma la dedizione a questo obiettivo richiede il sacrificio, la negazione dei sentimenti, perché nessun ostacolo deve intralciare il cammino verso il successo. L’immagine del successo, però, arriva a dominare il comportamento solo se vengono negati i sentimenti.

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Narcisismo : la follia del nostro tempo

Narcisismo : cosa contraddistingue il disturbo narcisistico. Come contribuisce la struttura dell’odierna società a creare le premesse per la moltiplicazione di personalità narcisistiche. La lucida analisi di Alexander Lowen getta una luce di umanità su un disturbo psicologico tra i più diffusi.
Alexander Lowen, Il narcisismo. Feltrinelli

Il termine narcisismo descrive una condizione sia psicologica che culturale. A livello individuale indica un disturbo della personalità, caratterizzato da un esagerato investimento nella propria immagine a spese del sé. I narcisisti sono più preoccupati di come appaiono che non di cosa sentono. In realtà negano i sentimenti che contraddicono l’immagine che cercano. Agendo senza sentimenti, tendono a essere seduttivi e manipolativi, aspirano a ottenere il potere e il controllo sugli altri. Sono egoisti e presi dai loro interessi. mancano dei veri valori del sé – cioè espressione e padronanza di sé, dignità, integrità. I narcisisti mancano del senso di sé che deriva dai sentimenti del corpo. Senza di esso la vita pare loro vuota e priva di significato. È una condizione desolata.
A livello culturale il narcisismo può essere visto come una perdita di valori umani: viene a mancare l’interesse per l’ambiente, per la qualità della vita. per i propri simili. Una società che sacrifica l’ambiente naturale al profitto e al potere rivela la sua insensibilità per le esigenze umane. La proliferazione delle cose materiali diventa la misura del progresso nel vivere. e l’uomo viene opposto alla donna, il dipendente al datore di lavoro, l’individuo alla comunità.
Quando la ricchezza occupa una posizione più alta della saggezza, quando la notorietà è più ammirata della dignità e quando il successo è più importante del rispetto di sé vuol dire che la cultura stessa. sopravvaluta l’immagine e deve essere ritenuta narcisistica. Il narcisismo dell’individuo corrisponde a quello della cultura . Noi modelliamo la cultura secondo la nostra immagine e a nostra volta siamo modellati dalla cultura. Possiamo capire l’una senza capire l’altra? Può la  psicologia ignorare la sociologia e viceversa?

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