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seconda parte della vita

La seconda parte della vita

La seconda parte della vita non è solo una fase di declino. Essa è a tutti gli effetti parte integrante dell’esistenza di ogni essere umano e come tale andrebbe vissuta: in maniera attiva ed esplorando le molteplici opportunità di scoperta di se stessi che offre… La seconda parte della vita offre, allora ad ogni individuo la possibilità di una ulteriore ricerca di senso per il proprio vivere, oltre che costituire un tempo per portare a compimento il proprio processo di individuazione. Anche se spesso il passaggio verso la seconda parte della vita coincide con una crisi dell’individuo, è opportuno comprendere che tale disagio – peraltro normale – è sollecitato dal sopraggiungere di un nuovo atteggiamento psicologico a cui finora non si era abituati. Infatti, se nella prima parte della vita il nostro atteggiamento psichico è per lo più estroverso, orientato al mondo e alla conquista di un nostro posto in esso, nella seconda parte della vita si tende a concentrare l’attenzione su se stessi a diventare più introversi scoprendo dentro di noi spinte, desideri e inclinazioni prima inascoltate o del tutto sconosciute. Così questa parte della vita, trovandoci più liberi dagli impegni mondani, è realmente l’occasione per diventare sempre più noi stessi.

“Il passaggio alla seconda metà della vita si apre con un primo tentativo di bilancio, e soprattutto con il bisogno di conoscere la nostra più intima natura. Quello che a uno sguardo superficiale può apparire uno stanco ripiegamento su se stessi, un inaridirsi progressivo delle proprie capacità, è invece indice di qualcosa di importantissimo: è l’inizio di un lento processo di concentrazione dell’energia libidica verso una meta differente da quella “estroversa” del semplice adattamento al mondo esterno. (…) Purtroppo a questa fase di crisi si arriva non solo impreparati ma, ancor peggio, con un bagaglio di pregiudizi, di convenzioni, di “valori” mutuati acriticamente dal “gruppo” o dalla fascia sociale cui si appartiene; ma, ci ricorda Jung: “ non è possibile vivere la sera de la vita seguendo lo stesso programma del mattino, poiché ciò che fino ad allora aveva grande importanza ne avrà ora ben poca, e la verità del mattino costituisce l’errore della sera.” Adesso si comincia a riflettere su come si è vissuto, su quali sono state le proprie scelte. Questo determina una fase di introversione, con tutti i pericoli ma anche le potenzialità che ogni viaggio nelle proprie profondità comporta e offre.”

Aldo Carotenuto, “Oltre la terapia psicologica”, Bompiani

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la seduzione

La seduzione ovvero ciò che ci attrae

La seduzione è qualcosa che pervade non solo la nostra vita sentimentale: è un registro che regola il fenomeno dell’attrazione sia quando siamo noi ad esercitarla sia quando ne siamo oggetto. Continuamente l’uomo è sedotto da forze che vogliono condurci verso “un altrove”, e la seduzione assume i mille volti del desiderio. Così è possibile parlare di seduzione non solo amorosa, ma di una seduzione delle idee, di una seduzione dello spirito, della seduzione del male o delle immagini…

“Perché domandiamo l’amore che unendo pacifica e cerchiamo invece ciò che ci separa e ci travaglia? Perché, se ambiamo all’armonia, ci ritroviamo incamminati verso luoghi sconosciuti e minacciosi? (…) Ciò che si presenta al nostro sguardo nelle sembianze allettanti di una promessa di compimento – sia esso un essere umano, sia esso un sogno utopico, sia esso il richiamo a un percorso particolare di ricerca – genera in noi un turbamento che ci disorienta, che seducendoci ci conduce “altrove” rispetto ai nostri precedenti progetti, fuori dal perimetro dell’ordinata quotidianità. All’inizio tale richiamo ci trascina facilmente, perché ci lusinga, accende la nostra immaginazione, si prospetta come occasione di rinnovamento, di realizzazione; e sarà davvero così, ma mai nei modi che sognavamo, mai senza tremore, errori, sofferenza.(…) “Si ama solamente ciò in cui si persegue qualcosa di inaccessibile, quel che non si possiede”(Proust). Tradotto in termini psicologici (ahimè meno poetici) ciò significa che noi, attraverso l’incontro con l’altro, entriamo in contatto con zone ignote e oscure della nostra psiche, che possono essere contattate solo attraverso una loro proiezione sull’essere che ci sta davanti, foriero di cambiamenti. L’altro incarna allora l’occasione unica e irripetibile di un confronto con l’inconscio: del poter contemplare una dimensione ignota del nostro essere che chiede di venire integrata dalla coscienza, esplorata e riconosciuta. L’abbaglio in cui cadiamo consiste nel ritenere che ciò che attraverso il volto dell’altro si palesa è l’immagine migliore di noi, e non è mai così. L’obliquità della seduzione di cui scrive Baudrillard consiste proprio in questo abbaglio: siamo sedotti da un’immagine che riteniamo ideale, salvo poi accorgerci che ha il volto dei nostri più riposti fantasmi.”

COMMENTO: La seduzione non nella sua essenza non si configura come un’attrazione armoniosa verso qualcosa che esercita su di noi un determinato fascino; essa non è, un avvicinamento a qualcosa o qualcuno nell’ottica di una unione perfetta al raggiungimento della meta; non è un processo al termine del quale sperimenteremo la pace nel nostro animo. La seduzione fin dal suo apparire e nelle sue conseguenze è una esperienza “insidiosa, subdola, pericolosa, apre ferite, scardina gli equilibri, getta l’anima nelle tenebre”. Non a caso i tragici greci suggerivano di non farsi toccare da essa, dal momento che la seduzione una volta subita e dopo averci soggiogato non ci lascia indenni. La seduzione raccontata porta con sé “rovina, porta distruzione e perdita”. Gli esempi  narrati dal mito e nella letteratura sono molti e ricalcano vicende che spesso sono anche quotidiane: Saffo per amore si butta in mare da un rupe, Edipo ne viene accecato, Tristano e Isotta si lasciano consumare per la loro passione, Orlando perde la ragione. Eppure sembra che la seduzione non possa smettere di agire sull’animo dell’essere umano, che comunque rimane cieco rispetto all’oggetto di questa seduzione. Infatti come ricorda Aldo Carotenuto: “la qualità perturbante dell’oggetto desiderato è data proprio dal fatto che non ci è possibile vederlo nella sua realtà obiettiva, perché il suo volto, come accade per i personaggi del sogno, è formato dalla sovrapposizione di nostre immagini interne, dalla condensazione di più volti.” Siamo e restiamo ciechi, quindi, non solo rispetto alle conseguenze della seduzione ma anche rispetto a ciò da cui ci facciamo sedurre o che desideriamo sedurre.

Aldo Carotenuto, Riti e miti della seduzione. Bompiani

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Aldo Carotenuto

Aldo Carotenuto: cosa siamo, coppia o diade?

Aldo Carotenuto, psicoanalista junghiano, traccia una differenza profonda nei rapporti amorosi, tra l’essere coppia o una semplice diade. La superficialità di molte relazioni tende a non considerare questa diversità, con il rischio che sempre di più i rapporti amorosi sono vissuti in maniera veloce e disimpegnata.

“Nonostante che il termine “rapporto” sia oggi abusato e supersfruttato, in realtà non esiste una conoscenza approfondita e completa di questo concetto. Uomo e donna si incontrano, instaurano legami e relazioni, spesso si sposano e hanno dei figli, e in ogni caso danno vita a ciò che dovrebbe definirsi “coppia” ma che, in realtà, altro non è se non una diade. La differenza che rende questi due termini non sovrapponibili è enorme, giacché per dar vita a una diade non sono necessari sentimenti autentici e profondi, non è indispensabile un coinvolgimento emotivo intenso, e lo stesso dicasi per il desiderio di dare senza aspettarsi nulla in cambio. La coppia, invece, è tutto questo e molto di più, è condivisione della vita, di idee e valori, è un volere affrontare insieme a un’altra persona il cammino dell’esistenza. La dimensione relazionale è sì una possibilità che viene offerta a tutti noi, ma si configura come una conquista difficilissima, come l’impresa più ambiziosa che ogni uomo e ogni donna dovrebbero cercare di realizzare. Si tratta però di un compito più gravoso e impegnativo di quanto si possa pensare, un compito a cui tutti siamo chiamati ma che solo pochi riescono a portare a termine. I fallimenti all’interno della sfera relazionale sono i più frequenti e dolorosi di cui sia possibile fare esperienza. Quando un rapporto fallisce o quando addirittura non riesce a concretizzarsi in niente altro che un disastro, è molto difficile ammettere di avere sbagliato, riconoscere i nostri errori, assumerci il peso delle nostre responsabilità. E così, mentendo a noi stessi ancora prima che agli altri, ci ostiniamo senza esitare a definire “coppia” o “rapporto” ciò che in realtà non è altro che un mero vivere insieme a un’altra persona.”

COMMENTO: Aldo Carotenuto pone il problema del perché la dimensione relazionale pur essendo tanto importante per le persone, si presenta spesso come fonte di problematiche rilevanti per uomini e donne. La risposta che lo psicoanalista junghiano dà, parte dalla considerazione che le persone non hanno ancora compreso il profondo significato di quello che è un “rapporto”. Aldo Carotenuto definisce tale situazione come “analfabetismo relazionale” ed imputa a questo il fallimenti dei rapporti interpersonali. Le relazioni uomo-donna, tutt’oggi, presentano profonde disparità in grado di creare lacune non ancora sanate. Infatti, fino ad oggi il rapporto uomo-donna ancora risente fortemente della condizione di sudditanza, per ragioni culturali, in cui si trova la donna e che è stata determinata nel tempo dalla forte prevaricazione del maschile sul femminile. La donna nonostante i cambiamenti sociali e le battaglie culturali non è ancora riuscita a liberarsi dal pesante condizionamento della cultura patriarcale. Dal canto suo il maschile stesso è imprigionato nei dettami di questa cultura che lo rendono schiavo del potere, ossessionato e condizionato dal bisogno di averlo.

Secondo Aldo Carotenuto questa dinamica tra un maschile aggressivo e prevaricatore e un femminile spesso inconsapevolmente rassegnato a tale sottomissione, ha generato lo strutturarsi di ruoli distinti e rigidi per l’uomo e la donna. È sufficiente provare a immaginare cosa usualmente ci aspettiamo da un uomo o da una donna (ad esempio, l’uomo non deve piangere facilmente, mentre questo è più accettabile da una donna) per comprendere come a questi due esseri, solo per il fatto di essere biologicamente diversi, spettino meccanicamente destini differenti: vengono assegnati all’uno e all’altra compiti da svolgere fortemente connotati come maschili e femminili, senza che ci sia una sola ragione o razionalità per questo. Per tornare al rapporto uomo-donna, spesso proprio queste differenze imposte dalla cultura impediscono un vero incontro tra il maschile e il femminile dei partner, che dunque creano solo relazioni diadiche (stare insieme, senza la compenetrazione con l’altro/a) che non riescono a transitare verso un vero “stare con l’altro/a”.

Aldo Carotenuto, L’anima delle donne. Bompiani

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il narcisista 2

Il narcisista seduttore

Il narcisista in amore non rinuncia a manifestare la propria autoreferenzialità finalizzata a difendere la propria fragilità affettiva. Il narcisista lo fa improntando il rapporto con l’altro sesso sulla mera conquista e sulla superficialità per non intrecciare rapporti profondi che smaschererebbero il suo gioco. Inoltre, paradossalmente il narcisista non cerca il possesso dell’altro ma solo la conferma di se stesso attraverso la conquista.  Aldo Carotenuto, “Riti e miti della seduzione”, Bompiani

Don Giovanni è un particolare tipo di conquistatore: non è mai sazio, potremmo dire che soffre di bulimia erotica, più che goloso è vorace, quello che conta per lui è la quantità. Ma non solo: egli ha bisogno di enumerare le sue prede, farne cataloghi e lunghi elenchi. (…) Cosa significa questo bisogno di continue conquiste e la necessità di enumerarle? Essi rivelano aspetti diversi della psicologia del dongiovanni, un individuo che conosce l’arte della seduzione ma che è impossibilitato ad abbandonarsi all’amore. Sembra che enumerare sia innanzitutto compensatorio al non poter effettivamente possedere. Un surrogato, un premio di consolazione, per potersi illudere di avere in qualche modo realizzato certe fantasie di onnipotenza: averne conquistate ben mille e tre! Questa, afferma Kierkegaard, è una ricchezza apparente, che in realtà rivela una estrema povertà, dato che l’enumerazione mette in luce che si tratta di una folla anonima di passanti, numeri senza volto né storia. È un enumerare che “mette tutto nello stesso sacco”, e che rivela la sostanziale impossibilità di Don Giovanni di amare la singolarità, la particolarità, l’individualità dell’altro, proprio perché ogni nuova preda viene adocchiata soprattutto per incrementare il bottino. L’incapacità di approfondire il legame amoroso è frequente nelle personalità con disturbi narcisistici. I sentimenti che sembrano dominare questi individui sono l’impazienza e la frustrazione, qualora i loro oggetti di desiderio non siano subito disponibili. Essi diventano inquieti e scontenti, scontrosi e irritabili: come se stesse sfuggendo loro un’opportunità di vitale importanza. E in effetti per costoro riuscire a sedurre l’altro, cioè a conquistarlo e a sottometterlo, rappresenta una verifica positiva del loro stesso valore, una riprova della loro esistenza. Seduco, dunque sono.

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Unità: il mito della simbiosi di coppia

L’ unità fusionale all’interno della coppia è al tempo stesso una dimensione anelata e inconsciamente temuta. L’ unità simbiotica muove da desideri irreali e che, quando incontra il dato reale, naufraga miseramente rischiando di far colare a picco il rapporto se i partner non sono abituati a venire a patti con la vita reale per quello che è. L’ unità della coppia come nostalgia della primitiva e infantile unione con la madre, dimensione sempre presente nel nostro panorama psicologico… Aldo Carotenuto, “Amare, tradire”, Bompiani

Vediamo ora più da vicino quali siano le dinamiche su cui generalmente si costruisce e si mantiene un rapporto di coppia, privilegiando ovviamente l’angolazione che abbiamo scelto e nella luce cruda ma realistica che ci ha già consentito di mettere in evidenza l’esperienza del tradimento anche in fasi della nostra vita che a uno sguardo sommario ne sembrerebbero immuni. Il rapporto adulto di coppia è, invece, per lunga tradizione, il luogo “deputato” in cui il tradimento si arroga il ruolo di protagonista; quanto teatro, quanta narrativa, quante pagine di cronaca e persino di storia ruotano intorno a questo tema? Si tratterà di vedere se la nostra “chiave di lettura” sia in grado di consentirci una diversa messa a fuoco del problema e orientarci in direzione di qualche aspetto inedito o insospettato. In termini psicologici la premessa essenziale su cui si basa il rapporto di coppia è l’esistenza, al fondo, di un’attesa. Un’attesa di completezza, di riunificazione, di totalità. Ci riconduce a tale premessa essenziale, tra le altre, la versione platonica dell’antichissimo mito dell’androgino. Come si legge nel Simposio: “Esisteva allora l’unico androgino, partecipe di entrambi, maschio e femmina, sia nella forma sia nel nome, mentre oggi non esiste che il nome, attribuito per oltraggiare. […] Erano terribili per forza e per vigore, nutrivano pensieri superbi e perciò attaccarono gli dei. […] Zeus e gli altri dei, allora, dibattevano su cosa si dovesse fare ed erano in difficoltà, perché né potevano ucciderli e annientarne la specie fulminandoli come giganti – in tal caso sarebbero scomparsi gli onori e i sacrifici resi loro dagli uomini – né potevano lasciarli insolentire. Dopo faticosa riflessione Zeus allora disse: “Mi pare di avere un espediente per fare sì che continuino ad esistere uomini e, al tempo stesso, indeboliti cessino dalla loro tracotanza. Ora, continuò, li taglierà ciascuno in due e cosi saranno al tempo stesso, più deboli e più utili a noi, essendosi accresciuti di numero.”

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la vita 5

La vita dopo gli “anta”

La seconda parte del la vita lungi dall’essere una fase di declino. Essa è parte integrante dell’esistenza di ogni individuo, riservandoci compiti evolutivi fondamentali per il compimento della nostra realizzazione come esseri umani… Aldo Carotenuto, “Oltre la terapia psicologica”, Bompiani

L’errore in cui cadiamo è innanzitutto il pensare alla vecchiaia come a una fase di stagnazione, di malattia, di stasi psichica e di impoverimento delle potenzialità creative, e ciò deriva dal nostro errato concetto di “sviluppo”. Siamo cioè pervasi ormai da un’immagine di progresso che fa coincidere il massimo dello sviluppo con una nozione di “efficienza” equivalente all’efficienza della macchina. Progresso sembra significare capacità di prestazioni e produzioni di beni. In questa società del consumo, vince chi dimostra di poter produrre, di poter entrare nel mercato del consumo e di poter essere un anello della catena di produzione (da fruitore o da produttore). È chiaro che in questa logica l’anziano ha un ruolo irrilevante. È chiaro che il “pensionato” nulla sembra più avere da dare né da chiedere al mercato. Deve soltanto morire perché nel tempo si è trasformato in un essere patologico. Si pensi che la stessa psicoanalisi considerava coloro che avevano superato i quarant’anni quasi irrecuperabili, data la vischiosità della libido… Ma se il corpo invecchia non è così per lo sviluppo psichico, per la maturazione della personalità. Non esiste una fase del la vita in cui si arresti l’evoluzione psichica, perché non esiste età nella ricerca di senso. Heidegger, parlando dell’uomo “tragico”, lo definisce come “colui che usa violenza”. Usare violenza in questa accezione significa essere necessariamente proiettati sempre verso una dimensione di ricerca, tale per cui persino il contadino primitivo che apre dinanzi ai suoi passi la terra solcandola col vomere, in realtà sta “violando” l’esistente perché attraverso la sua azione esso esprima altri frutti. Questa ricerca di senso va avanti per tutta la nostra vita, non conosce età, perché la relazione della psiche con il mondo non conosce interruzioni e ciascuna età offre all’individuo la possibilità di accrescere la consapevolezza di sé come essere continuamente in divenire.

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Io autentico tra individualità e creatività

L’ Io autentico è ciò che ci contraddistingue dalla massa informe degli “altri”. L’ Io autentico è l’espressione più profonda del nostro Sé. Per sviluppare un Io autentico l’individuo deve essere in grado di muoversi creativamente, rifiutando l’acritico spogliarsi della propria individualità. Carotenuto analizza quegli aspetti della vita moderna che spesso rappresentano una trappola per lo sviluppo di un Io autentico. In questa disamina la televisione e tutti i mass media rappresentano una facile tentazione di assumere su di noi i modelli proposti rinunciando così a sviluppare il nostro Io autentico. Aldo Carotenuto. “Oltre la terapia psicologica”, Bompiani

Oggi la “normalità” è frutto di statistiche, di medie da cui il singolo individuo più o meno si discosta, ma mi piace pensare che è proprio in quel più o meno che possiamo scorgere l’unicità e l’irripetibilità della persona (il suo Io autentico). Questo mi induce ad affermare che stiamo assistendo, in questo scorcio di millennio, al nascere e diffondersi di una nuova patologia. Personalmente concordo con Georges Canguilhem – a mio parere un epistemologo fortemente innovativo –  quando sostiene che “il malato è malato per non saper ammettere che una sola norma. La malattia è un modo di vita ristretto, senza generosità creatrice perché senza audacia, nondimeno rimane il fatto che per l’individuo la malattia è una nuova vita”. Le nuove scoperte nel campo della biologia molecolare e della genetica tendono a negare alla malattia ogni rapporto con la responsabilità individuale, addebitando ogni mancanza a un errore, a una “svista” impersonale e casuale, privando così l’essere umano di ogni sua possibilità trasformatrice e autocreatrice. Il termine “errore” coinvolge meno l’affettività di quanto non lo facciano i termini di “malattia” o “male”. Personalmente rifuggo anche da quei principi adattativi che ci vorrebbero tutti ugualmente assuefatti all’ambiente in cui viviamo; l’ambiente non è una costante data e fissata, esso rappresenta l’opera di un essere vivente che momento per momento sceglie di offrirsi o sottrarsi a certe influenze.

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Bellezza paradosso del femminile

La bellezza attributo femminile per eccellenza, rappresenta per le donne una pericolosa trappola se inconsapevolmente si fa ruotare il valore della persona solo su questo aspetto di sé. Aldo Carotenuto, L’anima delle donne, Bompiani

Fra le tante ingiustizie e i numerosi paradossi di cui il femminile è vittima, l’assurdità peggiore riguarda il compito che il corso della storia gli ha assegnato: la necessità, per una donna, di essere bella. L’ingiustizia viene in primo luogo determinata da un paragone importante, ove il termine di confronto è costituito dal ruolo che, invece, spetterebbe al maschile: la conquista del potere e del successo. Sebbene infatti, come abbiamo già avuto modo di osservare, al femminile venga richiesta una concreta realizzazione all’interno della sfera del sentimento, attraverso i canali del matrimonio, dei figli, e di una famiglia felice, è innegabile che l’imperativo categorico a cui ogni donna sente di essere sottoposta è: “devi essere bella”. Il maschile, dal canto suo, sembra essere socialmente dispensato da una realizzazione sentimentale, purché riesca a raggiungere nel minor tempo possibile i vertici della. realizzazione economica e sociale. Realizzarsi all’interno della sfera del sentimento costituirebbe per entrambi i sessi una sorta di vaccino efficace contro la maggior parte dei mali dell’anima, ma per un uomo accettare un simile presupposto può essere davvero molto difficile.

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Sedotto e non amato

Chi è sedotto sperimenta tutta una serie di dinamiche psicologiche tipiche dell’innamoramento ma, purtroppo, con esiti ben diversi… Aldo Carotenuto, Riti e miti della seduzione. Bompiani.

L’esperienza della seduzione, come è facilmente intuibile, è vissuta in maniera profondamente diversa dal seduttore e dalla sua vittima, da chi “estorce amore” e da chi lo dà. Perciò il lettore potrebbe rimproverarci di aver ingiustamente privilegiato, nella nostra trattazione, il primo dei due attori, e di aver quasi ignorato il secondo. Potrebbe, in definitiva, accusarci dello stesso reato che abbiamo attribuito a Don Giovanni e a tutti i dongiovanni di ieri e di oggi: quello di considerare la vittima un semplice “oggetto”, intercambiabile, niente più che un numero nella contabilità del seduttore. Il fatto è che nella nostra prospettiva, e cioè dal punto di vista della psicologia del profondo, il sedotto coincide con l’”innamorato”: chi è preso d’amore è sempre e comunque sedotto dall’amato. E sull’esperienza dell’innamoramento si è indagato e scritto abbastanza, da Stendhal a Proust a Barthes.

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Seduzione : incontrare noi stessi

Seduzione è qualcosa di più di un’esperienza saltuaria nella nostra vita sentimentale: esercitata o subita, è una costante della nostra intera esistenza, la trama stessa del nostro entrare in contatto, in sintonia col mondo. Sempre e continuamente l’uomo è sedotto. Da bambino, attraverso la sorpresa che ogni nuova acquisizione comporta, è la seduzione dei suoni, dei colori, dei profumi, di ogni cosa che accenda la sua fantasia. Da adolescente sono il potere del sogno e il richiamo dell’utopia le forze da cui lasciarsi “condurre altrove”, nella sensazione appagante e onnipotente che sia possibile conquistare il mondo e realizzare ogni aspirazione. Da adulti, la seduzione assume i mille volti del desiderio: le molteplici figure con le quali l’uomo popola il suo immaginario per padroneggiare la sua solitudine esistenziale, la sua condizione di individuo che forgia forme e simboli e che tesse racconti per darsi un’identità e una collocazione, per radicarsi nel mondo. Così è possibile parlare di seduzione non solo amorosa, ma di una seduzione delle idee, di una seduzione dello spirito, della seduzione del male o delle immagini. Dovunque si profili una promessa di riparazione, di appagamento, o l’illusione di una ricomposizione delle proprie tensioni, o anche dovunque si intraveda una possibilità di sentirsi più pienamente partecipi della vita, attraverso la sfida del perdersi e del ritrovarsi, lì è in atto la seduzione.
Aldo Carotenuto, Riti e miti della seduzione. Bompiani

C’è una forza sottile e imperscrutabile che attrae gli esseri l’uno verso l’altro, li avvicina e li avvince, che li consuma e li perde. Una forza che attraversa i singoli ma non appartiene alla coscienza: un impulso che, come accade alle traiettorie delle particelle, attira e orienta i percorsi degli uni verso gli altri, unendoli, facendoli interagire e proiettandoli oltre, dopo averli trasformati. Non sappiamo chi sia l’alchimista segreto che muove e combina gli elementi, se non attraverso gli effetti che produce.
La seduzione opera ovunque, ha molteplici sembianze e nomi, non possiamo ridurla al fenomeno dell’attrazione erotica tra due esseri, ma dobbiamo conferirle un significato molto ampio, che racchiude ogni ricerca mossa da Eros: da quella dello scienziato nel suo laboratorio, alle esplorazioni dei viaggiatori verso nuove mete, al pellegrinaggio perpetuo dei monaci, agli amorosi lamenti degli antichi trovatori. Ovunque c’è Eros, c’è seduzione.
Ma, come ci ricordano gli antichi, la seduzione non è un’attrazione armoniosa del simile per il simile, un movimento di avvicinamento che corona il sogno dell’unione perfetta, che acquieta i cuori e li sospinge l’uno verso l’altro beatamente. Essa è insidiosa, subdola, pericolosa, apre ferite, scardina gli equilibri, getta l’anima nelle tenebre. Meglio non essere toccati da lei, affermavano i tragici greci, perché non lascia indenni, al contrario, rovina, porta distruzione e perdita: Saffo per amore si lancia in mare da un’alta rupe, Pietro e Giovanni evangelista abbandonano le loro famiglie e il loro mestiere, Tristano e Isotta si lasciano morire, Orlando perde il senno, Edipo ne viene accecato.

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