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scopo della vita

Qual è lo scopo della vita umana?

Secondo Sigmund Freud lo scopo della vita umana sarebbe regolato dal principio del piacere, ponendosi dunque come ricerca della felicità. Tuttavia, la domanda che intende indagare lo scopo della vita umana è probabilmente mal posta e allora con maggiore concretezza, quella che solitamente contraddistingue la lucidità del pensiero freudiano, occorre chiedersi cosa intendono raggiungere gli individui nella loro vita.

“Ci chiederemo quindi, meno ambiziosamente, che cosa, attraverso il loro comportamento, gli uomini stessi ci facciano riconoscere come scopo della vita e intenzione della loro esistenza, che cosa pretendano da essa, che cosa desiderino ottenere in essa. Mancare la risposta è quasi impossibile: tendono alla felicità, vogliono diventare e rimanere felici. Questo desiderio ha due facce, una meta positiva e una negativa: mira da un lato all’assenza del dolore e del dispiacere, dall’altro all’accoglimento di sentimenti intensi di piacere. Nella sua accezione più stretta la parola “felicità” viene riferita solo al secondo aspetto. Conformemente a questa bipartizione delle mete l’attività degli uomini si sviluppa in due direzioni, secondo che cerchi di raggiungere – in misura prevalente o addirittura esclusiva – l’uno o l’altro obiettivo. Come si vede, molto semplicemente, il programma del principio di piacere stabilisce lo scopo dell’esistenza umana. Questo principio domina il funzionamento dell’apparato psichico fin dall’inizio; non può sussistere dubbio sulla sua efficacia, eppure il suo programma è in conflitto con il mondo intero, tanto con il macrocosmo quanto con il microcosmo. È assolutamente irrealizzabile, tutti gli ordinamenti dell’universo si oppongono ad esso; potremmo dire che nel piano della Creazione non è incluso l’intento che l’uomo sia “felice”. Quel che nell’accezione più stretta ha nome felicità, scaturisce dal soddisfacimento, perlopiù improvviso, di bisogni fortemente compressi e per sua natura è possibile solo in quanto fenomeno episodico. Qualsiasi perdurare di una situazione agognata dal principio di piacere produce soltanto un sentimento di moderato benessere; siamo così fatti da poter godere intensamente soltanto dei contrasti, mentre godiamo pochissimo di uno stato di cose in quanto tale. Le nostre possibilità di essere felici sono dunque già limitate dalla nostra costituzione. Provare infelicità è assai meno difficile. La sofferenza ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo che, destinato a deperire e a disfarsi, non può eludere quei segnali di allarme che sono il dolore e l’angoscia, dal mondo esterno che contro di noi può infierire con forze distruttive inesorabili e di potenza immane, e infine dalle nostre relazioni con altri uomini. La sofferenza che trae origine dall’ultima fonte viene da noi avvertita come più dolorosa di ogni altra; propendiamo a considerarla in certo qual modo un ingrediente superfluo, quantunque possa essere non meno fatalmente inevitabile della sofferenza di provenienza diversa.”

COMMENTO – Seguendo le osservazioni di Freud, ciò che regola il principale scopo della vita degli individui, ossia la felicità, è il principio di piacere, una tendenza biologicamente innata nell’essere umano. É questa tendenza a guidare il nostro agire, anche se essa entra spesso in conflitto con le condizioni del mondo esterno, sia inteso come società in cui viviamo sia come ambiente naturale in cui siamo nati. Infatti, seppure l’individuo naturalmente tenderebbe al piacere, la “natura” è totalmente indifferente a questo suo bisogno, non curandosi minimamente di favorirlo. Stando così le cose, la felicità non può essere altro che un fenomeno episodico e breve, che viene goduto solo nel contrasto con la sua assenza, all’interno di una condizione esistenziale dell’essere umano fatta prevalentemente di infelicità, consistente in uno stato dell’essere che ci minaccia da più parti. Spesso così accade che lo scopo della vita possa essere quello per cui lo stato di felicità è dato solo dalla scampata infelicità. La sopportazione della sofferenza e l’evitamento il dolore relegano in secondo piano il perseguimento del piacere. Secondo Freud la vita è per sua costituzione così piena di affanni e dura che diventa impossibile sopportarla senza trovare qualche tipo di strategia per sostenerne il peso. “sopportare la vita: questo è pur sempre il primo dovere d’ogni vivente. (…) Se vuoi poter sopportare la vita, disponiti ad accettare la morte”. Pur restando il perseguimento del piacere e della felicità l’impulso base che muoverebbe lo scopo della vita degli esseri umani, è pur vero che l’individuo ha bisogno di alcuni aggiustamenti mentali per riuscire a far fronte all’esistenza, laddove le circostanze impediscano il perseguimento dello scopo originario. Freud elenca alcune di queste modalità con cui l’essere umano cerca di alleviare la sofferenza o almeno l’impossibilità, talvolta, di essere felice-

La prima di queste è l’intossicazione, un metodo per certi versi “semplicistico” di influire chimicamente sulle persone. In questo modo ogni sostanza, a partire dall’alcol’ capace di alterare la percezione del dolore o delle difficoltà diventa uno scaccia affanni. In questo modo Freud ipotizza molto tempo prima della loro scoperta il ruolo degli psicofarmaci e la loro funzione nell’alleviare il disagio psichico e nel creare dipendenza e abuso.

La seconda strategia, considerato il carattere frustrante della realtà e il suo essere fonte di continua e non evitabile sofferenza, sta nell’agire sui moti pulsionali interni rivolti alla ricerca del piacere. Lo scopo della vita diventa allora la mortificazione delle pulsioni per cui così facendo ci si risparmierebbe il dolore del loro mancato soddisfacimento. In questa strategia l’individuo farebbe prevalere il principio di realtà secondo cui l’importanza delle condizioni esterne alla persona avrebbe sempre la meglio rispetto alla ricerca del piacere e della felicità (vale come esempio il motto “prima il dovere poi il piacere”, dove tutto diventa un dovere con buona pace del piacere). Così facendo la coloritura dell’esistenza è fortemente sacrificata preferendo ad essa la quiete come condizione di felicità.

Altra tecnica per evitare il dolore consiste nel cambiare nel mondo esterno le mete originarie delle nostre pulsioni al piacere, indirizzandole verso obiettivi che di per sé possono fornire un piacere o una felicità sostitutiva. Questo metodo è chiamato da Freud sublimazione e si sostanzia, per esempio, nella capacità di provare gioia e piacere attraverso attività quali  il proprio lavoro o, tramite attività creative grazie alle quali dare forma alle immagini della propria fantasia, oppure attività centrate nel risolvere problemi e nella ricerca della verità. Questa tecnica, applicata nella vita di un individuo, acquista un’importanza particolare in quanto permette di legare la persona profondamente al proprio contesto sociale, rinsaldando i legami all’interno della comunità. A questo proposito risulta interessante e fa riflettere un’osservazione di Freud a proposito del lavoro e della felicità: “il lavoro come cammino verso la felicità è stimato poco dagli uomini. Non ci si rivolge ad esso come alle altre possibilità di soddisfacimento. La grande maggioranza degli uomini lavora solo se spinta dalla necessità, e da questa naturale avversione degli uomini al lavoro scaturiscono i più difficili problemi sociali.”

Infine un ulteriore modo di “sfuggire” o attenuare le conseguenze dolorose nel rapporto con la realtà ottenendo un soddisfacimento per mezzo di illusioni riconosciute come tali, è quello realizzabile attraverso il ricorso alla vita fantastica, specie nel suo miglior impiego nell’arte e il suo relativo godimento. L’arte in questo senso, sia per chi la realizza  sia per chi ne fruisce, rappresenta un regno intermedio tra la realtà esterna e le richieste derivanti dal principio del piacere, divenendo una rilevante fonte di grande piacere in grado di dare consolazione agli individui.

Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, in Opere Complete, Boringhieri

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lo psichico 1

Lo psichico, un mix di conscio e inconscio

Lo psichico è un aspetto della vita dell’essere umano che ancora oggi, spesso, viene associato solo alla vita mentale conscia. In realtà lo psichico è composto di due qualità: il conscio e, soprattutto, l’inconscio. Ecco alcune prove su questa seconda qualità della vita mentale dell’individuo, nelle parole di Sigmun Freud. Sigmund Freud, “Alcune lezioni elementari di psicoanalisi”, In “Opere”, Bollati Boringhieri

Anche la psicologia è una scienza naturale. Che altro mai dovrebbe essere? Eppure il suo caso è diverso. Non tutti si azzardano a esprimere un giudizio su temi di fisica, e tutti invece – il filosofo come l’uomo della strada – hanno un loro parere da esternare su problemi di psicologia, e si comportano come se fossero quantomeno psicologi dilettanti. E succede una cosa ben strana: che tutti, o quasi tutti, sono d’accordo nel dire che ciò che è psichico ha in effetti un carattere comune, nel quale si esprime la sua essenza. E questo carattere unico e indescrivibile (ma non c’è alcun bisogno di descriverlo) è il carattere della consapevolezza. Tutto ciò che è conscio sarebbe psichico e, viceversa, tutto ciò che è psichico conscio. Questo sarebbe ovvio e non avrebbe senso contraddirlo. (…) No, la consapevolezza non può essere l’essenza de lo psichico, essa è soltanto una sua qualità e anzi una qualità incostante, che talvolta c’è ma assai più spesso non c’è. Lo psichico in sé, quale che sia la sua natura, è inconscio, e probabilmente è di specie analoga a tutti gli altri processi della natura di cui siamo venuti a conoscenza. Per motivare la propria asserzione la psicoanalisi chiama a raccolta parecchi fatti di cui diamo un saggio nel testo che segue. Si sa cosa si intende quando si parla di “idee improvvise”: pensieri che d’un tratto affiorano belli e fatti alla coscienza, senza che nulla si sappia della loro preparazione, che pure dev’esser consistita in atti psichici. Addirittura può accadere che si pervenga in questo modo alla soluzione di un difficile problema intellettuale sul quale prima, invano, si era riflettuto a lungo.

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il sentimento di colpa 2

Il sentimento di colpa dove nasce?

Il sentimento di colpa è un vissuto che fa parte della nostra organizzazione mentale e che, nella sua genesi, serve a regolare il vivere sociale. Sigmund Freud spiega come nasce il sentimento di colpa e come si struttura nella nostra mente. Sigmund Freud, “Il disagio della civiltà”, In Opere, Bollati Boringhieri

Che mezzi usa la civiltà per frenare la spinta aggressiva che le si oppone, per renderla innocua, magari per abolirla? (…) Che cosa avviene nell’individuo a rendere innocuo il suo desiderio di aggressione? Qualcosa di assai curioso, che non avremmo indovinato e che pure è assai semplice. L’aggressività viene introiettata, interiorizzata, propriamente viene rimandata là donde è venuta, ossia è volta contro il proprio Io. Qui viene assunta da una parte dell’Io, che si contrappone come SuperIo al rimanente, e ora come “coscienza” è pronto a dimostrare contro l’Io la stessa inesorabile aggressività che l’Io avrebbe volentieri soddisfatto contro altri individui estranei. Chiamiamo coscienza della propria colpa la tensione tra il rigido Super-io e l’Io ad esso soggetto; essa si manifesta come bisogno di punizione. La civiltà domina dunque il pericoloso desiderio di aggressione dell’individuo infiacchendolo, disarmandolo e facendolo sorvegliare da una istanza nel suo interno, come da una guarnigione nella città conquistata. (…) Innanzitutto, quando si chiede come uno giunga ad avere un sentimento di colpa, si riceve una risposta inconfutabile: uno si sente colpevole (i devoti dicono: in peccato) quando ha fatto qualcosa che riconosce come un “male”. Ma poi si vede quanto poco ci dica questa risposta. Forse dopo qualche esitazione si aggiungerà che anche chi non ha commesso questo male, ma semplicemente riconosce in sé stesso l’intenzione di commetterlo, può ritenersi colpevole, e allora sorge la domanda sul perché in questo caso l’intenzione venga considerata equivalente all’attuazione. Ambedue i casi presuppongono che il male sia stato già riconosciuto come riprovevole, come qualcosa da non fare. Come si giunge a questo giudizio? Va scartata l’ipotesi d’una originaria, per così dire naturale capacità discriminatoria tra bene e male. Il male spesso non è quel che danneggia o mette in pericolo l’Io, anzi può essere anche qualcosa che l’Io desidera, da cui trae diletto. Qui agisce dunque un influsso estraneo, il quale decide che cosa debba chiamarsi bene o male.

Continua a leggere su: Sigmund Freud, “Il disagio della civiltà”, In Opere, Bollati Boringhieri

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principio di realtà 1

Principio di realtà e principio del piacere

Il principio di realtà è una importante modalità di funzionamento del nostro apparato psichico che nello sviluppo dell’individuo va ad affiancarsi e a modificare il più antico principio del piacere… Sigmund Freud, “Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico”, Bollati Boringhieri

Nella psicologia fondata sulla psicoanalisi, ci siamo abituati a prendere come punti di partenza quei processi psichici inconsci le cui proprietà ci son divenute note attraverso l’analisi. Li consideriamo come i processi più antichi, primari, come residui di una fase di sviluppo nella quale essi costituivano l’unica specie di processi psichici. La suprema tendenza a cui obbediscono questi processi primari è facilmente riconoscibile; essa può venir indicata come principio di piacere-dispiacere (o più brevemente come principio di piacere). Questi processi mirano a ottenere piacere; dagli eventi che possono provocare dispiacere l’attività psichica si ritrae (rimozione). (…) Mi rifaccio a considerazioni che ho sviluppato in altra sede (nel capitolo generale dell’Interpretazione dei sogni)quando suppongo che lo stato psichico di quiete è stato in origine turbato dalle imperiose esigenze dei bisogni interni. In questo caso ciò che era pensato (desiderato) era semplicemente realizzato in guisa allucinatoria, così come ancor oggi accade ogni notte coi nostri pensieri onirici. Solo la mancanza dell’atteso soddisfacimento, la disillusione, ha avuto per conseguenza l’abbandono di questo tentativo di appagamento per via allucinatoria. L’apparato psichico ha dovuto risolversi a rappresentare a sé stesso, anziché le condizioni proprie, quelle reali del mondo esterno, e a sforzarsi di modificare la realtà. Con ciò si è instaurato un nuovo principio di attività psichica: non è più stato rappresentato quanto era piacevole, ma ciò ch’era reale anche se doveva risultare spiacevole. on questa instaurazione del principio di realtà è stato compiuto un passo denso di conseguenze. (…) Il dissolversi del principio di piacere mediante il principio di realtà, con tutte le conseguenze psichiche che da esso derivano – qui condensato schematicamente in un’unica proposizione – non si effettua in realtà in una volta sola e contemporaneamente su tutta la linea.

Continua a leggere su: Sigmund Freud, “Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico”, Bollati Boringhieri

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Morte e psicoanalisi

La morte è sempre stato un tema tabù, di cui non parlare e da evitare accuratamente. Sigmund Freud prova a farne una lucida analisi mettendo a nudo le inconsce paure ad essa collegate. Sigmund Freud, “Considerazioni attuali sulla guerra e la morte”. Editori Riuniti

Il secondo elemento che, a mio avviso, fa sì che oggi ci sentiamo così estranei in un mondo che una volta appariva talmente bello e familiare, sta nel perturbamento intervenuto nel nostro tradizionale modo di porci di fronte alla morte. Questo nostro atteggiamento non era certo sincero. A sentir noi, eravamo ovviamente pronti a sostenere che la morte è l’esito necessario di ogni esistenza, che tutti noi abbiamo contratto questo debito con la natura e dobbiamo dunque esser pronti a pagarlo, insomma: che la morte è un fatto naturale, innegabile ed inevitabile. In realtà, però, di solito ci comportavamo come se le cose stessero in modo completamente diverso. Abbiamo mostrato una chiara tendenza a mettere da parte la morte, ad eliminarla dalla vita. Abbiamo cercato di soffocarne la voce; anzi, abbiamo perfino un modo di dire a riguardo: pensare a qualcosa come alla morte. Come alla propria, naturalmente. E, in effetti, non è possibile figurarsi la propria morte, e ogniqualvolta tentiamo di farlo possiamo constatare che restiamo comunque sempre nella posizione dello spettatore.

Continua a leggere su: Sigmund Freud, “Considerazioni attuali sulla guerra e la morte”. Editori Riuniti

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umorismo 1

Umorismo : i suoi meccanismi psichici

L’ umorismo da dove nasce? In che modo la nostra mente arriva a costruire questa particolare visione delle vicende umane e a che cosa l’ umorismo serve? Sigmund Freud, L’umorismo. (In Opere vol.10. Boringhieri

Il processo umoristico può compiersi in due modi: o coinvolge una sola persona che assume direttamente l’atteggiamento umoristico, mentre una seconda persona fa la parte dell’osservatore e del fruitore; oppure le persone coinvolte sono due, e mentre una non partecipa affatto al processo umoristico, l’altra fa della prima l’oggetto della sua considerazione umoristica. Prendiamo l’esempio più grossolano: quando il delinquente che viene condotto alla forca di lunedì sbotta nell’osservazione: “Questa settimana comincia proprio bene!”, fa lui stesso dell’umorismo, ossia il processo umoristico si compie sulla sua stessa persona recandogli evidentemente un certo compiacimento. Quanto a me, ascoltatore che non partecipa, vengo colpito in certo modo alla lontana dalla prodezza umoristica del delinquente: mi accorgo cioè, in maniera forse analoga alla sua, di ottenere un piacere umoristico. Il secondo caso si verifica per esempio quando un poeta o un narratore descrive con umorismo il comportamento di persone reali o inventate. Non è necessario che queste persone si dimostrino a loro volta dotate di umorismo, l’atteggiamento umoristico riguarda esclusivamente colui che le prende per oggetto e, come già nel caso precedente, il lettore o l’ascoltatore è reso partecipe del godimento provocato dall’umorismo. Riassumendo si può quindi affermare che l’atteggiamento umoristico – in qualunque cosa consista – può essere assunto o verso sé stessi o verso gli altri; ed è giusto supporre che chi fa dell’umorismo ottenga un piacere e che un analogo piacere tocchi all’ascoltatore che non partecipa.

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Sofferenza psicologica : i rimedi per Freud

La sofferenza psicologica è qualcosa che l’uomo cerca di evitare in molti modi. Freud ci descrivere con la sua solita lucidità i modi in cui l’essere umano cerca di tenere a bada la sofferenza psicologica talvolta cadendo anche nell’illusione… Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, in Opere Complete, Boringhieri

I metodi più interessanti di prevenzione della sofferenza psicologica sono però quelli che cercano d’influire sullo stesso organismo che soffre. Dopo tutto ogni sofferenza non è che sensazione, sussiste nella sola misura in cui la proviamo e la proviamo solo perché il nostro organismo è fatto in un determinato modo. Il più rozzo, ma anche il più efficace metodo per influire sull’organismo è quello chimico: l’intossicazione. Non credo che qualcuno sia in grado di penetrarne il meccanismo, ma è un fatto che esistono sostanze estranee al corpo la cui presenza nel sangue e nei tessuti ci procura immediatamente sensazioni piacevoli, alterando in pari tempo le condizioni della nostra vita senziente al punto da renderci incapaci di accogliere moti spiacevoli. I due effetti non si limitano a essere simultanei, sembrano anche intimamente correlati. Anche nel nostro stesso chimismo devono però esserci sostanze che producono risultati simili; conosciamo infatti almeno uno stato patologico, la mania, in cui si produce tale comportamento affine all’ebbrezza senza che sia stato somministrato alcun tossico inebriante. La nostra vita psichica normale presenta inoltre delle oscillazioni: il piacere può sprigionarsi con maggiore o minore facilità cui si accompagna una diminuita o accresciuta recettività al dispiacere. È un vero peccato che questo aspetto tossico dei processi psichici si sia sottratto a tutt’oggi all’investigazione scientifica. Gli effetti prodotti dagli inebrianti nella lotta per conquistare la felicità e per difendersi dalla miseria vengono considerati talmente benefici che gli individui e i popoli hanno loro riservato un posto ben preciso nella loro economia libidica. Dobbiamo ad essi non solo l’acquisto immediato di piacere, ma anche una parte, ardentemente agognata, d’indipendenza dal mondo esterno. Con l’aiuto dello “scacciapensieri” sappiamo dunque di poterci sempre sottrarre alla pressione della realtà e trovare riparo in un mondo nostro, che ci offre condizioni sensitive migliori.

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scopo della vita umana 2

Scopo della vita umana per Freud

Lo scopo della vita umana quale è secondo lo psicoanalista viennese? Ha senso parlare di uno scopo per la vita umana o si tratta piuttosto di una domanda mal posta? Forse piuttosto che parlare di uno scopo della vita umana avrebbe più senso chiedersi cosa chiedano gli uomini per la loro vita. Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, in Opere Complete, Boringhieri

La domanda circa lo scopo della vita umana è stata posta innumerevoli volte; non ha ancora mai trovato una risposta soddisfacente, forse non la consente nemmeno. Alcuni di quelli che l’hanno posta hanno aggiunto che, se dovesse risultare che la vita non ha uno scopo, essa perderebbe ai loro occhi qualsiasi valore. Ma questa minaccia non cambia nulla. È verosimile, invece, che questa domanda possa essere legittimamente respinta. Sua premessa appare infatti quella presunzione umana di cui già conosciamo tante altre manifestazioni. Non si parla di uno scopo della vita degli animali, sempre che il loro destino non consista per caso nel porsi al servizio dell’uomo. Neanche questo tuttavia è sostenibile; di molti animali l’uomo non sa infatti che farsene, salvo descriverli, classificarli, studiarli; innumerevoli specie animali si sono sottratte persino a questa utilizzazione, essendo vissute ed essendosi estinte prima che l’uomo le vedesse. Ancora una volta, soltanto la religione sa rispondere alla domanda circa uno scopo della vita. Difficilmente potremo sbagliare nel giungere alla seguente conclusione: l’idea di uno scopo della vita sussiste e cade insieme con il sistema religioso. Ci chiederemo quindi, meno ambiziosamente, che cosa, attraverso il loro comportamento, gli uomini stessi ci facciano riconoscere come scopo della vita e intenzione della loro esistenza, che cosa pretendano da essa, che cosa desiderino ottenere in essa. Mancare la risposta è quasi impossibile: tendono alla felicità, vogliono diventare e rimanere felici.

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gelosia 1

Gelosia : competitiva, proiettiva e delirante

La gelosia è una potente emozione che entra in gioco nelle relazioni interpersonali. Freud ne analizza le cause facendo una importante differenziazione fra tre tipologie. Sigmund Freud, “Alcuni meccanismi nevrotici nella gelosia, paranoia e omosessualità”. Opere vol.9 Boringhieri

La gelosia è uno di quegli stati affettivi che, al pari dell’afflizione, possono essere definiti normali. Quando sembra che essa manchi del tutto dal carattere e dal comportamento di una persona, è legittimo inferire che ha subito una forte rimozione e svolge quindi una parte tanto più importante nella vita psichica inconscia. I casi di gelosia anormalmente intensa che incontriamo nel lavoro analitico si rivelano disposti a tre diversi livelli. I tre livelli o gradi della gelosia possono essere chiamati: 1) gelosia competitiva o normale; 2) gelosia proiettata; 3) gelosia delirante. Sulla gelosia normale dal punto di vista analitico non c’è molto da dire. È facile costatare che essa è essenzialmente composta dall’afflizione, il dolore provocato dalla convinzione di aver perduto l’oggetto d’amore, e dalla ferita narcisistica, ammesso che questa possa esser distinta dal resto; infine, da sentimenti ostili verso il più fortunato rivale, e da una dose più o meno grande di autocritica che tende ad attribuire al proprio Io la responsabilità della perdita amorosa.

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psichico 1

Psichico : quali sono le sue caratteristiche

Psichico : quali sono le caratteristiche di ciò che definiamo con questo termine? Perché non possiamo limitare a ciò che è cosciente questa dimensione della vita mentale dell’uomo? Sigmund Freud, La natura dello psichico. In Opere vol. 11, Bollati Boringhieri

La psicoanalisi ha scarse prospettive di diventare beneamata o popolare. A parte che parecchi suoi contenuti offendono i sentimenti di molte persone, quasi altrettanto disturbante è il fatto che la nostra scienza comprende alcune ipotesi – non si sa se annoverarle fra i presuppostio fra i risultati della nostra ricerca – che certamente appaiono quanto mai stravaganti per il normale modo di pensare della maggior parte delle persone, e si pongono in radicale contraddizione con la mentalità imperante. (…) La psicoanalisi è una parte della scienza dell’anima, della psicologia. È chiamata anche “psicologia del profondo”, il perché lo vedremo in seguito. Se qualcuno dovesse domandare cosa sia in fin dei conti lo psichico, sarebbe facile rispondergli rinviando ai suoi contenuti. Le nostre percezioni e rappresentazioni, i nostri ricordi, sentimenti e atti di volontà: tutto ciò appartiene allo psichico. Ma se viene posto l’ulteriore quesito, se tutti questi processi non abbiano una caratteristica comune, che ci consenta di cogliere con più precisione la natura, o come anche si suol dire, l’essenza dello psichico, rispondere diventa più difficile. (…)Non tutti si azzardano a esprimere un giudizio su temi di fisica, e tutti invece – il filosofo come l’uomo della strada – hanno un loro parere da esternare su problemi di psicologia, e si comportano come se fossero quantomeno psicologi dilettanti. E succede una cosa ben strana: che tutti, o quasi tutti, sono d’accordo nel dire che ciò che è psichico ha in effetti un carattere comune, nel quale si esprime la sua essenza. E questo carattere unico e indescrivibile (ma non c’è alcun bisogno di descriverlo) è il carattere della consapevolezza. Tutto ciò che è conscio sarebbe psichico e, viceversa, tutto ciò che è psichico conscio. Questo sarebbe ovvio e non avrebbe senso contraddirlo. Ebbene, non si può dire che con questa soluzione si getti molta luce sull’essenza dello psichico (…). La psicoanalisi si è sottratta a queste difficoltà contestando energicamente l’equiparazione dello psichico con il cosciente. No, la consapevolezza non può essere l’essenza dello psichico, essa è soltanto una sua qualità e anzi una qualità incostante, che talvolta c’è ma assai più spesso non c’è. Lo psichico in sé, quale che sia la sua natura, è inconscio, e probabilmente è di specie analoga a tutti gli altri processi della natura di cui siamo venuti a conoscenza. Per motivare la propria asserzione la psicoanalisi chiama a raccolta parecchi fatti di cui diamo un saggio nel testo che segue.

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