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il conflitto psicologico

Il conflitto psicologico

Il conflitto psicologico è per ogni persona una condizione fastidiosa anche se essa è presente costantemente nella vita di ognuno di noi. La vita di fatto ci propone sempre situazioni dove è necessario scegliere e quindi conflittuali. Nonostante questo il conflitto psicologico e la capacità di superarlo offrono l’occasione di crescere e rafforzare la consapevolezza di noi stessi. Il conflitto psicologico non va, quindi, evitato ma affrontato mettendoci tutta la nostra attenzione.

“Se la civiltà è in un periodo di rapida transizione, quando valori estremamente contraddittori e modi di vivere divergenti esistono fianco a fianco, le scelte che l’individuo deve fare sono numerose e difficili. Può conformarsi alle aspettative della comunità, oppure essere un individualista dissidente; accompagnarsi agli altri o vivere come un recluso, venerare il successo o disprezzarlo, aver fiducia in una stretta disciplina nei riguardi dei bambini, oppure lasciarli crescere senza molta interferenza; può credere in una legge morale diversa per l’uomo e per la donna , o ritenere che debbano valere per tutti e due le medesime aspettative sociali; considerare i rapporti sessuali come espressione di intimità umana oppure vederli separati dai legami affettivi; può sostenere la discriminazione razziale, oppure avere la convinzione che i valori umani non dipendono né dal colore della pelle né dalla forma del naso, e così via. Non c’è dubbio che alternative come queste vengono poste molto spesso alla gente che vive nella nostra civiltà, e ci si può aspettare quindi che i conflitti su queste basi debbano essere del tutto comuni. Ma il fatto che s’impone alla nostra considerazione è che la maggior parte della gente non è consapevole di tali conflitti, e quindi non li risolve con una decisione chiara. Accade più spesso che essa si lasci trascinare ed influenzare dal caso. La gente non si rende esatto conto della propria posizione, scende a compromessi senza accorgersene; rimane coinvolta in contraddizioni senza saperlo.”

COMMENTO – Un elemento fondamentale per affrontare una situazione conflittuale è quello di saper riconoscere le situazioni contraddittorie in grado di produrre in noi il conflitto psicologico. Solo allora saremo in grado di prendere decisioni in merito senza subirle passivamente. Una seconda precondizione importante è quella per cui, per affrontare il conflitto psicologico con efficacia, dovremmo essere consapevoli di quelli che sono i nostri desideri, i nostri sentimenti, i nostri valori. Domandiamoci sempre se certe nostre preferenze sono il frutto di nostri reali orientamenti oppure nascono da una semplice adesione alle circostanze e alla moda. Molte persone potrebbero trovare arduo rispondere a tale domanda semplicemente perché non sanno cosa in realtà sentono o desiderano. Il conflitto psicologico è sempre collegato alle convinzioni , credenze e valori morali che possediamo, per cui il riconoscimento di una situazione di conflitto presuppone il fatto che noi abbiamo sviluppato un nostro sistema di valori. Tale sistema di valori può essere più o meno solido per cui, come ricorda Karen Horney: “le credenze semplicemente adottate, senza  far parte di noi, difficilmente hanno forza sufficiente per condurre a conflitti o per servire di guida alle nostre decisioni. A contatto di nuove influenze, tali credenze saranno facilmente abbandonate a favore di altre. Se abbiamo semplicemente adottato i valori approvati dal nostro ambiente, i conflitti che potrebbero nascere per un nostro più preciso interesse, non sorgono.”

Si capisce come, allora, il conflitto psicologico sia esperienza normale e augurabile nella vita di ogni persona. Coloro che non vivono il conflitto psicologico sono individui a cui va bene tutto, ossia persone che non possiedono un proprio sistema di valori, dei gusti personali o dei desideri che li animano. Infine, dobbiamo considerare un aspetto determinante per la risoluzione di un conflitto: non solo dobbiamo riconoscerlo ma “dobbiamo avere la volontà e la capacità di rinunciare ad una delle due soluzioni contrastanti.” Purtroppo questa capacità non è così scontata perché come sottolinea Karen Horney la possibilità di attuare una rinuncia consapevole è rara, dal momento che spesso i nostri sentimenti, i nostri desideri e valori sono confusi. Per di più nella società odierna la maggior parte degli individui non è sufficientemente sicura e disposta a rinunciare a qualche cosa. Per finire, la possibilità di arrivare ad una decisione che risolva il conflitto psicologico richiede la volontà e la capacità di assumersi le responsabilità della scelta. Decidere vuol dire correre il rischio di prendere una decisione sbagliata, e la forza di sopportare personalmente le conseguenze di ciò senza dare la colpa gli altri. “Ciò implica il pensiero «Questa è la mia scelta, il mio dovere», e presuppone una forza interiore e una indipendenza maggiori di quanto ne abbia oggigiorno la maggior parte della gente.”

Karen Horney. I nostri conflitti interiore, Martinelli Editore

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Il tipo aggressivo e la sua psicologia

Quali sono le caratteristiche del tipo aggressivo? Su quali credenze si basa la sua psicologia? Una attenta analisi dei principali tratti che contraddistinguono la persona aggressiva, condotta con la sua solita chiarezza dalla psicoanalista Karen Horney. Karen Horney, “I nostri conflitti interni”, Marinelli Editore

Proprio come il tipo conciliante rimane attaccato alla credenza che la gente sia “simpatica”, ed è continuamente sconcertato dall’evidenza del contrario, così il tipo aggressivo dà per scontato che tutti siano nemici e si rifiuta di ammettere che non lo siano. La vita, per lui, è una lotta di tutti contro tutti. Si salvi chi può. Se ammette delle eccezioni, lo fa con riluttanza e con riserva. Il suo atteggiamento è, talvolta, del tutto chiaro, ma più spesso è mascherato sotto una vernice di soave cortesia, equanimità e socievolezza. Questa “facciata” può rappresentare una concessione machiavellica all’opportunismo. Di regola, comunque, è un insieme di pretese, sentimenti genuini e bisogni nevrotici. Il desiderio di far credere agli altri di essere una brava persona può andare unito ad una certa dose di effettiva benevolenza, purché gli altri non abbiano alcun dubbio che è lui al comando. (…) Per apprezzare il fatto che i bisogni del tipo aggressivo sono altrettanto coatti di quelli del tipo conciliante, dobbiamo capire che i secondi sono dettati dall’ansietà di base quanto i primi. Questo fatto deve essere messo bene in rilievo perché la componente di paura, così evidente nel tipo precedente, non viene mai ammessa o manifestata nel tipo che stiamo ora esaminando. In lui tutto è disposto per essere, diventare, o almeno apparire, inflessibile. I suoi bisogni derivano principalmente dalla sua sensazione che il mondo è un’arena dove, nel senso darwiniano, sopravvive soltanto il più capace, ed il forte sconfigge il debole. Ciò che è sentito contribuire di più alla sopravvivenza dipende molto dal tipo di civiltà in cui la persona vive; ma in ogni caso la legge dominante è la ricerca spietata del proprio interesse. Quindi il suo bisogno primario è quello del controllo sugli altri. Le varietà nel significato di controllo sono infinite. Vi può essere un aperto esercizio di potere, vi può essere una manipolazione indiretta attraverso una ipersollecitudine o mettendo la gente in condizione di sentirsi obbligata. Egli può preferire di esseri il “potere all’ombra del trono”. L’approccio può essere di tipo intellettuale, nell’implicita convinzione che con il ragionamento e la preveggenza si arriva a tutto.

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L’individuo distaccato e la sua psicologia

Quali sono le caratteristiche dell’individuo distaccato? La psicoanalista Karen Honey traccia il profilo psicologico dell’ individuo distaccato sottolineando quelle che sono le sue nevrosi. Dall’alienazione di sé al senso di superiorità: questi sono i tipici tratti dell’individuo distaccato insieme ad altre caratteristiche che ne evidenziano la difficoltà al contatto con gli altri. Karen Horney, “I nostri conflitti interni”, Marinelli Editore

Il desiderio di una solitudine significativa non è in alcun modo nevrotico; al contrario, la maggior parte dei nevrotici rifugge dalle proprie profondità interiori, ed anzi, l’incapacità di una solitudine costruttiva è per se stessa un segno di nevrosi. Il desiderio di star soli è un sintomo di distacco nevrotico soltanto quando l’associarsi alla gente richiede uno sforzo insopportabile, per evitare il quale la solitudine diviene l’unico mezzo valido. (…)Un’altra caratteristica che è spesso considerata peculiare al distacco è l’alienazione da sé, cioè l’insensibilità all’esperienza emotiva, l’incertezza di che cosa uno sia, che cosa uno ami, detesti, desideri, speri, tema, risenta, creda. Anche questa alienazione – ora – è comune a tutte le nevrosi. Ogni persona, secondo il suo grado di nevrosi, è come un aeroplano teleguidato da un remoto centro di controllo, e perciò privo di autocontrollo. Le persone distaccate possono essere proprio come i morti risuscitati delle tradizioni di Haiti – morti, ma risuscitati dalla stregoneria; possono lavorare ed agire come persone vive, ma non c’è vita in loro. Altri, possono avere una vita emotiva relativamente ricca. Dal momento che esistono simili variazioni, non possiamo considerare l’alienazione-da-sé una caratteristica esclusiva del distacco. Ciò che tutte le persone distaccate hanno in comune è qualcosa di completamente diverso. È la loro capacità di guardare a sé stesse con una specie di interesse obbiettivo, come si guarda un’opera d’arte. Forse il miglior modo di descrivere questo fatto sarebbe di dire che hanno verso sé stesse il medesimo atteggiamento di “spettatore” che hanno nei riguardi della vita in generale. Possono essere spesso, perciò, eccellenti osservatori dei processi che si svolgono dentro di loro.

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limitazione all'autoanalisi 1

Limitazione all’autoanalisi

La limitazione all’autoanalisi consiste in una serie di fattori che si frappongono al lavoro analitico sia fiaccando le motivazioni iniziali al lavoro, sia come elementi che indeboliscono l’individuo nel corso dell’analisi stessa. Tuttavia la limitazione all’autoanalisi, presente in ogni tentativo fatto in tal senso, non va intesa in maniera assoluta ma semplicemente come un attrito più o meno forte che l’individuo può sperimentare accingendosi a tale fatica. Ancora una volta, come è nel suo stile, Karen Horney parla della limitazione all’autoanalisi con un profondo senso di umanità e comprensione. Karen Horney, “Autoanalisi”, Astrolabio

Qualsiasi fattore che diminuisca o paralizzi l’incentivo individuale ad affrontare se stesso, costituisce una possibile limitazione all’autoanalisi. Non vedo altra via che presentare questi fattori se non discutendoli separatamente, benché non si tratta di entità separate. Per cominciare, diremo che un sentimento di rassegnazione profondamente radicato costituisce una seria limitazione all’autoanalisi. Una persona può aver perso a tal punto la speranza di liberarsi dalle sue complicazioni psichiche, da non sentire più l’incentivo ad intervenire, sicché può al massimo fare convogliare qualche blando tentativo di superare le proprie difficoltà. Un disperato senso di impotenza è più o meno presente in ogni grave nevrosi. Se questo sentimento costituisca o non un serio ostacolo alla terapia, dipende dall’ammontare delle forze costruttive ancora viventi o ravvivabili nell’individuo; forze costruttive che sono spesso ancora presenti, anche quando sembrano essere state perdute. Talara, però, una persona è stata così completamente annientata fin dalla più tenera età, od è rimasta impigliata in così insolubili conflitti, da aver rinunciato da molto tempo ad ogni aspettativa e ad ogni volontà di lottare. Questa attitudine di rassegnazione può essere interamente conscia ed esprimersi con un sentimento diffuso di inutilità della propria vita, o con una filosofia più o meno elaborata circa l’inutilità della vita in genere. Spesso, un simile stato d’animo è rinforzato dall’orgoglio di essere tra i pochi privilegiati che hanno saputo accorgersi di questo “fatto”. In alcune persone, poi, non si è verificata tale elaborazione conscia; esse si mostrano semplicemente passive, sopportano stoicamente la vita e non sono più sensibili a prospettive di una vita maggiormente densa di significato. (…)

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Ansietà di base e le tre soluzioni possibili

L’ ansietà di base è un vissuto comune a tutti gli individui nella propria infanzia. A questa ansietà di base ciascuno di noi cerca di trovare una soluzione per fronteggiare adeguatamente il proprio ambiente. Andare verso, andare contro e allontanarsi da, sono le tre soluzioni che ognuno di noi può adottare rispetto all’ ansietà di base. Quando queste soluzioni all’ ansietà di base si strutturano troppo rigidamente possono dare origine a conflitti nevrotici. Karen Horney, I nostri conflitti interni. Martinelli Editore

Per accostarci al problema dal punto di vista genetico, dobbiamo tornare a ciò che ho chiamato ansietà di base, intendendo con questo la sensazione che un bambino ha di essere isolato ed impotente in un mondo potenzialmente ostile. Una vasta serie di fattori contrari nell’ambiente può generare questa insicurezza in un bambino: una dominanza più o meno diretta, indifferenza, comportamento instabile, mancanza di rispetto per le necessità individuali del bambino, mancanza di una vera guida, atteggiamenti denigratori, troppa ammirazione o assenza di questa, scarsità di genuina cordialità, dover parteggiare nei dissensi dei genitori, troppa o troppo poca responsabilità, protezione esagerata, isolamento dagli altri bambini, ingiustizia, discriminazione, promesse non mantenute, atmosfera ostile e cosi via. Il solo fattore sul quale vorrei richiamare una particolare attenzione in questo contesto, è l’intuizione del bambino della latente ipocrisia nell’ambiente: la sua sensazione che l’amore dei genitori, la loro carità cristiana, la loro onestà, generosità e così via possano essere solo un’ostentazione. Parte di ciò che il bambino sente a questo riguardo è veramente ipocrisia; ma può essere solo una sua reazione a tutte le contraddizioni che egli avverte nel contegno dei genitori. Comunque, abitualmente c’è una combinazione di fattori torturanti. Possono essere evidenti o del tutto nascosti, così che nell’analisi queste influenze sullo sviluppo del bambino possono venire alla luce solo gradualmente. Tormentato da queste inquietanti condizioni, il bambino cerca a tastoni il modo di andare avanti, il modo di adattarsi a questo mondo minaccioso. Nonostante la sua debolezza e i suoi timori, egli affina inconsciamente le sue tattiche per far fronte alle particolari forze che agiscono nel suo ambiente. Così facendo, sviluppa non soltanto strategie ad hoc, ma tratti permanenti di carattere che diventano parte della sua personalità. Ho chiamato questi tratti «tratti nevrotici».

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Rinuncia come meccanismo nevrotico

La rinuncia a vivere con pienezza la propria esistenza è un meccanismo nevrotico che solo apparentemente preserva dalla sofferenza, al prezzo di una vita incolore e priva di emozioni vere. Karen Horney, Nevrosi e sviluppo della personalità, Astrolabio

La rinuncia può avere un significato costruttivo; tutti conoscono molte persone attempate che hanno riconosciuto l’intrinseca futilità dell’ambizione e del successo, che hanno imparato a essere meno dominate dalle aspettative e dalle pretese e che, rinunciando a tutto ciò che non sia essenziale sono divenute 1molto più sagge. In molte religioni e in molte correnti filosofiche, si sostiene che la rinuncia a tutto ciò che non è essenziale costituisce la condizione per l’elevazione dallo spirito e per i1 conseguimento di una felicità che ci trascende: si deve rinunciare alle manifestazioni della volontà personale, ai desideri sessuali, all’aspirazione ai beni terreni, per poter essere più vicini a Dio. Si deve rinunciare all’ambizione di tutto ciò che è transeunte per amore della vita eterna. Si deve rinunciare a ogni lotta e a ogni soddisfazione personale pur di raggiungere quella forza spirituale che esiste, in potenza, in tutti gli esseri umani. Per la soluzione nevrotica di cui parliamo qui, tuttavia, la rinuncia . implica la ricerca di una pace che consiste esclusivamente nell’assenza di conflitti. Nella pratica religiosa da ricerca della serenità non esige la rinuncia alle lotte interiori, ma richiede, piuttosto, che si debba indirizzatile verso il conseguimento di scopi più elevati. Per il nevrotico, invece, cercare la serenità interiore significa rinunciare a ogni lotta e a ogni sforzo e accontentarsi di meno; la sua rinuncia è pertanto un processo di minimizzazione, di rimpicciolimento, di svalorizzazione dell’esistenza e dello sviluppo della personalità.

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Conflitto psicologico : un aiuto per crescere

Il conflitto psicologico è sicuramente un’esperienza quantomeno fastidiosa. Eppure il conflitto e la capacità di gestirlo ci offre la possibilità di crescere e rafforzare il nostro “stare al mondo”. Il conflitto psicologico non va, dunque, evitato ma portato consapevolmente alla nostra attenzione. Karen Horney, I nostri conflitti interiori. Martinelli Editore

Avere dei conflitti non vuol dire essere nevrotici. Prima o poi i nostri desideri, le nostre convinzioni, i nostri interessi, sono destinati a scontrarsi con quelli delle persone intorno a noi. E proprio come tali scontri fra noi e il nostro ambiente sono comuni, così anche i conflitti dentro di noi sono parte integrante della vita umana. Le azioni dell’animale sono in larga misura determinate dall’istinto. Accoppiamento, sollecitudine verso la prole, ricerca di cibo, difese contro il pericolo sono, più o meno, predeterminate, e al di là di una decisione individuale. Per contrasto, è prerogativa e, al tempo stesso, fardello dell’essere umano, la capacità di esercitare una scelta, di prendere decisioni. Possiamo trovarci a decidere fra desideri che conducono in direzioni opposte. Possiamo, per esempio, desiderare di stare soli, ma anche di stare con un amico; possiamo voler studiare medicina, ma anche studiare musica. Oppure può esserci un conflitto fra desideri e doveri; possiamo desiderare di stare con la persona amata mentre qualcuno che soffre ha bisogno delle nostre cure. Possiamo essere divisi fra il desiderio di essere d’accordo con gli altri e il timore di ciò che potrà comportare il manifestare un’opinione contraria. Possiamo infine trovarci in conflitto fra due scale di valori, come succede quando riteniamo di doverci assumere un compito rischioso in tempo di guerra, ma ci sentiamo anche legati al nostro dovere verso la famiglia. Il tipo, la portata e l’intensità di tali conflitti sono determinati in gran misura del tipo di cultura in cui viviamo. Se la civiltà è stabile e la tradizione saldamente fondata, la varietà delle alternative che ci si presentano è limitata, ed è ristretta la gamma dei possibili conflitti individuali. Anche in questo caso, però, non mancano.

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Autoanalisi occasionale : cosa svela di noi

Cosa è l’ autoanalisi occasionale ? Come funziona? Quali sono i limiti dell’ autoanalisi occasionale? La psicoanalista Karen Horney ci svela l’utilità dell’ autoanalisi occasionale , illustrandoci il modo in cui il suo uso può contribuire a comprendere meglio alcune nostre reazione. Fare una autoanalisi occasionale vuol dire soprattutto non accontentarci di risposte superficiali come spiegazione del nostro agire quotidiano. Karen Horney, Autoanalisi, Astrolabio

L’analizzare occasionalmente se stesso è relativamente facile ed a volte produce risultati immediati. In fondo, è ciò che ogni persona sincera fa, allorché cerca di spiegarsi i motivi reali che si nascondono dietro al suo modo di sentire o di agire. Pur senza sapere gran cosa in fatto di psicoanalisi, un uomo che si sia innamorato di una fanciulla particolarmente attraente e danarosa, potrebbe chiedere a se stesso se sia la vanità o l’interesse a motivare il suo sentimento. Un uomo che non ha voluto sostenere il proprio più esatto punto di vista in una controversia ed ha ceduto di fronte alle argomentazioni della moglie o dei colleghi, potrebbe mentalmente domandarsi se ha ceduto perché era convinto della relativa futilità della posta in questione, oppure se si era intimorito pensando ad un possibile conseguente conflitto. Suppongo che la gente si sia sempre esaminata in tal modo. Anche molte persone, che pure tendono a refutare completamente la psicoanalisi, sono solite regolarsi cosi. Il dominio principale dell’ autoanalisi occasionale non comprende le complicate involuzioni della struttura del carattere nevrotico, ma più specialmente la massa dei sintomi manifesti, i disturbi concreti ed usualmente acuti che colpiscono la nostra curiosità o richiamano la nostra immediata attenzione a causa del loro carattere angoscioso. Perciò, gli esempi riportati in questo capitolo si riferiscono ad un mal di capo, ad un attacco di ansia, al timore di un avvocato di esibirsi in pubblico, ad un grave sconvolgimento di stomaco. Però, anche un sogno impressionante, l’aver dimenticato un appuntamento, una eccessiva irritazione di fronte al furtarello volgare di un conducente di taxi, possono essi pure far sorgere il desiderio di comprendere noi stessi o, per essere più precisi, di scoprire le ragioni che hanno causato quei certi effetti. Quest’ultima distinzione potrà apparire forse una sottigliezza, ma essa esprime in realtà una importante differenza: quella che passa tra la trattazione occasionale di un problema ed un sistematico lavoro svolto su se stesso.

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