Essere presenti a noi stessi è l’unico modo per riuscire a coltivare una reale consapevolezza di sé. Inoltre questo tipo di stato – la presenza – favorisce ogni processo di auto osservazione e, nei suoi sviluppi è la principale condizione per poter migliorare e controllare il nostro comportamento.
La tendenza delle persone è quella di essere proiettate in un “tempo” differente dal presente. Tale abitudine non consente di approcciarci e di conoscere le situazioni in essere per quelle che sono e, di conseguenza, di agire in modo conforme alla realtà del momento. L’unica realtà ad essere esistente è il “qui ed ora” dal momento che il passato è già stato e il futuro deve ancora essere. Se con la nostra mente (mondo interiore) ci proiettiamo verso il passato o verso il futuro, non consideriamo il tempo presente e, dunque, non potremo “fare” quello che deve e può essere fatto nel “qui ed ora”. Naturalmente il futuro e il passato sono dimensioni temporali importanti, ma è utile porle sempre in relazione al presente. Infatti se consideriamo il futuro, esso si costruisce a partire dal presente, e quindi a tal fine è bisogna comprendere cosa porti con sé la situazione contingente, concentrandosi sulle sue variabili e caratteristiche. Analogamente il passato deve essere considerato come il contenitore delle esperienze fatte che entrano in gioco, in quanto bagaglio che ci portiamo dietro, nel presente e che spesso determinano solo una visione limitata di quello che è il momento.
Per essere in grado di vivere il momento presente dobbiamo sforzarci di non dare forza e spazio agli Io che ci portano in momenti diversi, fantasticando il futuro o perdendoci nel passato. Facciamo caso, per esempio, che trovandoci impegnati in un compito possa capitare che una parte di noi già si proietti alla sua conclusione e a quello dobbiamo fare dopo, innescando un senso di affaticamento; oppure che una parte di noi si rivolga al passato, riandando a quando abbiamo già affrontato una difficoltà simile e creando, anche in questo caso, un sovraccarico dato che interiormente quel problema già lo avevamo già vissuto. Questo proiettarsi nel futuro o nel passato fa parte delle risposte automatiche e meccaniche che noi diamo agli eventi, senza imparare così facendo a vivere le situazioni per ciò che sono, attenti a quanto esse portano con sé. In che modo iniziare ad essere parte del momento che stiamo vivendo e, quindi, a stare nel nostro presente? I due concetti chiave nella psicologia della Quarta Via sono: la presenza e il Ricordo di Sé. Partiamo dal primo concetto e chiediamoci cosa voglia dire essere presenti a noi stessi e come si faccia.
In via generale, possiamo dire che ciascuno di noi dovrebbe “essere presente” ad ogni esperienza o fatto della propria vita dal momento che soltanto così è possibile dire di stare realmente vivendo, anziché lasciare che le cose accadano. Tuttavia, spontaneamente questa presenza non ci è data ma richiede uno sforzo che per essere compiuto richiede che noi desideriamo di essere presenti alle cose; il che, a sua volta, necessita del fatto che dobbiamo sapere che, desiderando e compiendo uno sforzo in tale direzione, otterremo qualcosa. Il sistema psicologico basato sulla Quarta Via ci dà informazioni per sapere cosa possiamo ottenere lavorando in un certo modo – per esempio il fatto di arrivare ad essere padroni del nostro vivere – tuttavia sta poi a noi attuare i suggerimenti, verificando personalmente i benefici che possiamo trarre dal cambiamento del nostro livello d’essere. Essere presenti a se stessi vuol dire osservare le nostre manifestazioni (modi d’essere), così come quelli degli altri e la realtà che ci circonda. Questo tipo di attenzione nel “qui ed ora” portata su noi stessi, sugli altri e sul mondo intorno a noi dilata la nostra percezione, portandoci alla consapevolezza che gli eventi sono molto più ricchi e vasti di come ci appaiono inizialmente. La conoscenza che ne deriva muta naturalmente il nostro rapporto con noi stessi, gli altri e il mondo.
Il miglior modo che può condurci ad essere nel presente è quello di ricordarci di desiderare di voler essere presenti a noi stessi. Senza il ricordo che il nostro scopo è quello di essere presenti ne ignoreremmo l’esistenza in un dato momento; infatti, gli Io attivi in una certa situazione – mentre lavoriamo, parliamo o facciamo altro – sono così identificati nelle loro attività che non sanno nulla dello scopo di “essere nel presente”. Per questo è utile ricorrere all’aiuto di Io che desiderano “l’essere nel presente”, introducendoli nella nostra quotidianità attraverso l’uso di esercizi. Essi sono uno strumento a cui ricorrere per determinare delle “rotture” e interruzioni volontarie nella meccanicità con cui si susseguono le cose, permettendoci di ricordare il nostro scopo “essere presenti”. Un tipo di esercizio è basato, per esempio, sull’uso intenzionale di un certo tipo di comportamento per ricordarci dell’essere presenti. Ad esempio, se nel parlare gesticoliamo potremmo imporci lo sforzo per cui ogni volta che gesticoliamo dobbiamo portare la nostra attenzione sui nostri gesti ed essere così presenti alla situazione; in questo modo, usando una nostra peculiarità, potremo ricordarci ogni volta che gesticoliamo di ritornare al presente, iniziando la nostra auto osservazione. È bene ricordare che ciò che ha valore non è l’esercizio in sé, per cui quello che conta non è la nostra abilità o meno nel farlo. Ciò che conta è l’esperienza a cui l’esercizio ci introduce dal momento che ogni esercizio è una pratica di un pezzo della conoscenza contenuta nella psicologia della Quarta Via. L’esercizio è, in questo caso, solo un allarme che ci segnala che dobbiamo ricordarci di qualcosa di cui ci siamo dimenticati (essere presenti il più a lungo possibile); così, se qualcuno ci fa notare che ci stiamo dimenticando di fare un esercizio, non ha senso scusarci per la nostra mancanza, ma è più utile usare l’osservazione fattaci per tornare al presente, riprendendo lo sforzo di osservarsi.
Ancora una volta abbiamo fatto accenno alla necessità di compiere uno sforzo al fine di ricordarci di “essere nel presente”. In cosa consiste tale sforzo e a cosa è indirizzato? Prima di tutto è giusto ribadire che lo scopo dell’essere nel presente è quello di osservare le nostre manifestazioni: cosa facciamo in determinate circostanze, le nostre reazioni agli stimoli, i nostri pensieri, i movimenti e gli stati emotivi. In sostanza la base di tali osservazioni, possibili solo se si è nel presente, è la nostra “macchina” e i suoi tre centri. Iniziando dalle osservazioni più semplici, quelle del centro motorio, passiamo poi ai nostri pensieri diventando consapevoli di cosa si sta occupando in un determinato momento il nostro centro intellettivo. In questo caso proviamo anche a ricostruire la catena di pensieri che ci ha condotto per associazione a quelli che stiamo facendo ora. Infine, passiamo a sentire il nostro centro emozionale, iniziando a chiederci semplicemente se stiamo in una condizione in cui proviamo piacere o di disagio, per poi imparare nel corso del tempo a fare differenziazioni più sottili dei nostri stati emotivi. Consideriamo che dal momento che questi tre centri sono sempre attivi, per ciò che riguarda le emozioni siamo sempre dentro uno stato emotivo. Non sempre tali stati emotivi sono simili a colori accesi e sgargianti; il più delle volte somigliano a tinte più tenui, ma non per questo capaci di influenzarci meno (provare una leggera irritazione, una sottile gioia, etc.).
Tutte le volte che ci ricordiamo di compiere questo sforzo, indirizziamo il nostro essere nel presente al riconoscimento dello stato in cui sono le nostre diverse parti, cercando di comprendere il legame che c’è tra le nostre manifestazioni con gli stimoli che riceviamo, considerandole così come risposte. Nelle fasi iniziali in cui compiamo lo sforzo di essere nel presente e, quindi, di osservare aspetti di noi, cerchiamo di non giudicare quanto osserviamo ma manteniamo un atteggiamento neutrale e limitiamoci a “registrare” il nostro funzionamento. Solo quando, con il tempo, avremo maturato per via delle osservazioni, dell’esperienza e della conoscenza un certo tipo di “visione” della realtà saremo in grado di contestualizzare i nostri giudizi, evitando che questi siano solo delle risposte meccaniche e automatiche. Solo in quella fase saremo in grado con oggettività di dare simili giudizi sui nostri comportamenti e potremo “fare” qualcosa volontariamente e non meccanicamente perché sarà per noi possibile avere un reale controllo su di noi. All’inizio queste capacità non esistono nell’individuo ordinario (che crede di averle) e esse devono essere costruite con un paziente lavoro.
Questo post è parte di un percorso per stimolare in chi legge un lavoro su di sé ispirato alle idee della Quarta Via riviste nell’ottica della psicologia attuale. Nel corso dei post verranno fornite anche le indicazioni per una serie di esercizi volti a focalizzate l’attenzione sull’osservazione di se stessi al fine di acquisire una consapevolezza maggiore. Ogni post è di per sé esaustivo, ma chi intendesse usare questa risorsa per cominciare a lavorare su di sé, è importante seguire la cronologia dei post come progressione logica degli argomenti.
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