Archivi tag: relazioni interpersonali

amori tossici

Gli amori tossici

Gli amori tossici sono quegli amori sbagliati in cui si verificano al contempo due situazioni: da una parte la presenza di un estremo bisogno di amore e riconoscimento che nasce da una fragilità interiore della persona, dall’altra la presenza di una persona che consapevolmente o meno vuole approfittarsi di questa debolezza per trarne un vantaggio psicologico per sé. Analizziamo al femminile queste illusorie scelte d’amore che rischiano di creare pericolose situazioni di sofferenza…

“Alice, la famosissima protagonista di Alice nel paese delle meraviglie, può bene rappresentare alcune situazioni che inducono all’innamoramento che ho definito una scelta illusoria. (…) Ritornando ad Alice, questa corre dietro al Coniglio bianco e, precipitando dentro il lungo cunicolo dove questi è sparito, si trova in un atrio con diverse porte e da una serratura scorge “un bellissimo giardino, il più delizioso giardino che avesse visto in vita sua”. Immediatamente sorge in lei il desiderio di entrare in quel luogo, vissuto come incantato, dove i suoi sogni si potranno avverare. Questo tipo di sentimento corrisponde a ciò che viene chiamato innamoramento, il desiderio prepotentissimo di entrare nello spazio psicologico e fisico dell’altro. Il Coniglio bianco che induce Alice a seguirlo nel giardino può essere una persona “innocente” che non ha nessuna intenzione negativa verso di lei. Nella vita, però, molte persone approfittano dell’emozione destata per cercare di soddisfare il proprio bisogno; questo avviene quando il Coniglio bianco è egocentrico, narcisista, predatore e “attira la vittima nel suo territorio” inviando segnali ingannatori. (…) Nella realtà il Coniglio bianco (…), compagno di lavoro e di scuola, incontrato in treno o al bar, può benissimo inviare ad Alice questi segnali, ma non per “giocare insieme nel giardino”, bensì per strappare ad Alice le cose che a lui servono, del tutto incurante di quanto esse siano insostituibili per lei. E questo viene fatto a volte a livello conscio, altre volte, ed è più pericoloso, a livello inconscio. Come abbiamo detto questi inganni oggi sono più facili nella realtà virtuale in quanto, mancando la comunicazione visiva, quella analogica (del corpo) non è percepibile e con le parole sono nate le menzogne. Anche le Alici però “hanno desideri e limiti”! Spesso le Alici sono persone che, oltre che di amare e di provare sensazioni nuove, hanno bisogno di essere amate e accettate perché hanno sperimentato situazioni di rifiuto che le hanno indotte ad avere un’immagine di sé svalutata. Può trattarsi di persone poco attraenti o che credono di essere tali, rifiutate, più o meno consciamente, dalla madre. Questo tipo di “vittima” non è mai in grado, per l’intensità del suo bisogno d’amore, di valutare correttamente l’altro.

COMMENTO – Tutte le relazioni comprese quelle d’amore, sia sane sia tossiche, si costruiscono in due. Questa è la premessa necessaria per parlare degli amori tossici e per non cadere nell’errore di analizzare solo il comportamento narcisistico ed egocentrico del cosiddetto carnefice. Questo anche per ridare alle vittime di questi amori tossici gli strumenti per sottrarsi a tali situazioni senza indulgere in analisi dei loro carnefici senza però trovare la forza di sottrarsi ali loro giochi. Sicuramente uomini che irretiscono con l’inganno le proprie compagne, con promesse di amori perfetti, ce ne sono e continueranno ad esserci: chiamiamoli narcisisti, manipolatori, egocentrici, comunque continueranno a tessere la loro tela sperando che qualche donna vi rimanga intrappolata. Spostiamo però l’accento sulla vittima, consapevole o meno, di queste trame per comprendere che se una donna riesce in primo luogo a non subire le proprie fragilità, pensando di cercare conferme a se stessa con il “fidanzato” di turno, riuscirà a ben guardarsi dalle promesse di simili corteggiatori. Sicuramente il desiderio di vivere un amore appagante è presente in ognuno di noi e le allettanti promesse che vengono apparecchiate per trarre in inganno sono trappole in cui è facile cadere. Ma se una donna non è resa insicura da fragilità che ne minano il giudizio e la capacità di valutazione, saprà presto riconoscere questi amori tossici e sarà in grado di prendere le distanze da essi. E qualora avessero cominciato relazioni di questo genere avrà la forza di separarsi da esse, smascherando così e annullando il pericoloso gioco. Gli amori tossici non danno nulla ma rubano solo la vita di chi al loro interno ha il ruolo più debole. Gli amori tossici travestiti da illusori rapporti  affettivi conducono alla perdita della propria identità attraverso comunicazioni confusive, promesse non mantenute, ricatti affettivi.

Come riconoscere un amore tossico? Valga a proposito questa breve considerazione: sono tossici quei rapporti in cui le persone coinvolte non si sostengono e supportano a vicenda ma dove l’una tende a manipolare a proprio vantaggio l’altra; sono tossiche quelle relazioni in cui c’è mancanza di rispetto e di coesione tra i partner, in cui vengono agiti comportamenti di controllo e in cui si sperimentano spesso sentimenti di risentimento, stress e vissuti depressivi. In questi casi la prima cosa da fare è quella di non nutrire la falsa attesa e speranza che gli amori tossici possano cambiare in relazioni sane. Piuttosto è fondamentale che la donna abbia il coraggio di ascoltare se stessa e che sappia vedere con oggettività la trappola in cui è caduta, rifiutandosi di continuare a partecipare al gioco, mettendo una distanza tra se stessa e il partner. In questi casi può essere determinante l’appoggio o il sostegno di persone fidate e anche di psicoterapeuti che aiutino a rafforzare l’intenzione di chiudere il rapporto, cercando ad analizzare le proprie debolezze che hanno reso possibile quella relazione.

Jole Baldaro Verde, “Illusioni d’amore”, Raffaello Cortina Editore

Leggi altri pensieri sul narcisismo: Il narcisista, che fare?

Leggi sul narcisismo

dare

Dare ovvero amare l’altro

Dare, per Erich Fromm, è l’azione fondamentale di ogni atto d’amore. Dare rende l’esistenza di ogni essere umano qualcosa di attivo e al tempo stesso capace non solo di arricchire chi riceve il dono ma anche chi dona all’altro. Pur essendo il dare un’azione da compiere in maniera disinteressata, nei fatti essa comporta sempre un ritorno per chi la compie: il benessere dato dalla capacità di andare al d là di noi stessi.

“La sfera più importante del dare, tuttavia, non è quella delle cose materiali, ma sta nel regno umano. Che cosa dà una persona a un’altra? Dà se stessa, ciò che possiede di più prezioso, dà una parte della sua vita. Ciò non significa necessariamente che essa sacrifichi la sua vita per l’altra, ma che le dà ciò che di più vivo ha in sé; le dà la propria gioia, il proprio interesse, il proprio umorismo, la propria tristezza, tutte le espressioni e manifestazioni di ciò che ha di più vitale. In questo dono di se stessa, essa arricchisce l’altra persona, sublima il senso di vivere dell’altro, sublimando il proprio. Non dà per ricevere; dare è in se stesso una gioia squisita. Ma nel dare non può fare a meno di portare qualche cosa alla vita dell’altra persona, e colui che riceve si riflette in essa; nel dare con generosità, non si può evitare di ricevere ciò che le viene dato di ritorno. Dare significa fare anche dell’altra persona un essere che dà, ed entrambi dividono la gioia di sentirsi vivi. (…) Ma non soltanto in amore dare significa ricevere. L’insegnante impara dai suoi discepoli, l’attore è stimolato dal suo pubblico, lo psicoanalista è curato dal paziente.”

COMMENTO – La capacità di amare è per Erich Fromm un aspetto fondante dell’esperienza umana e una via molto importante per lo sviluppo di ogni individuo. L’amore necessità da parte della persona un atteggiamento attivo nei confronti degli altri e non passivo; la capacità di amare rappresenta, dunque, una conquista che richiede soprattutto un “fare” da parte di chi vuole amare e non si configura come attesa di ricevere qualcosa. Questo carattere attivo da parte dell’amore può essere sintetizzato dicendo che amare è soprattutto dare. e non ricevere. Erich Fromm specifica cosa voglia dire quando afferma che la capacità d’amare è capacità di dare. In questo senso il verbo dare può creare molteplici malintesi e ambiguità. Prima di tutto, in questo discorso, dare non vuol dire cedere qualcosa, quindi privarsi o sacrificarsi. Le persone aride avvertono il proprio dare come un impoverimento personale, non solo di tipo materiale ma anche umanamente parlando. “Se do perdo qualcosa di mio” e quindi tali persone si rifiutano di dare. Altri ancora ritengono che dare se stessi agli altri voglia dire sacrificarsi. Come sottolinea Fromm: “sentono che solo per il fatto che è penoso dare, si dovrebbe dare; la virtù, per loro, sta nell’accettare il sacrificio. Per loro, la regola che è meglio dare anziché ricevere significa che è meglio soffrire la privazione piuttosto che provare la gioia.” È chiaro che questa concezione dell’amore, per quanto diffusa, sia profondamente insana perché apre la strada a rapporti che possono divenire ricattatori, colpevolizzanti e poco inclini all’autonomia individuale. Al contrario per la persona che vive la propria vita in maniera attiva dare ha un significato del tutto diverso. Dare, al contrario dell’impoverimento e del sacrificio, diventa una manifestazione di potenza da parte dell’individuo. Nel mentre che dà la persona manifesta la propria forza e la propria ricchezza. Tale vitalità nel gesto di dare riempie la persona di gioia, la fa sentire traboccante di vita e di felicità. In questo senso dare stimola più gioia dell’atto di ricevere perché è un arricchimento della propria vitalità.

In che forme questo dare si può concretizzare nell’amore. Il carattere attivo dell’amore si fonda su determinati aspetti comuni a tutte le forme d’amore: la premura dell’altro, la responsabilità, il rispetto e la conoscenza dell’altro. Dare si concretizza, allora, in tutte quelle azioni che vanno in queste direzioni perché amare qualcuno vuol dire avere nei suoi confronti un interesse attivo per la sua vita e la sua crescita. Come ribadisce Erich Fromm: “là dove manca questo interesse, non esiste amore.” Proviamo allora a vedere cosa significano nel concreto queste azioni che declinano il dare in una rapporto d’amore.  La cura e l’interesse per l’altro implicano responsabilità nei suoi confronti. Ma non una responsabilità intesa come un dovere, che ci viene imposto dall’esterno, ma come un atto strettamente volontario. Si tratta allora della nostra risposta bisogno espresso o inespresso da parte di un essere umano e che noi riusciamo a cogliere e che decidiamo di fare nostro.” Essere responsabile significa essere pronti e capaci di rispondere. La persona che ama risponde.” Al tempo stesso il rispetto per l’altro non vuol dire timore o paura dell’atro; esso si basa, nel senso etimologico della parola (respicere = guardare), sulla “capacità di vedere una persona com’è, di conoscerne la vera individualità. Rispetto significa desiderare che l’altra persona cresca e si sviluppi per quello che è.” Questo modo di intendere il rispetto dell’altro richiede che la persona che ama abbia raggiunto la propria indipendenza perché solo se abbiamo appreso a “stare in piedi o camminare senza bisogno di grucce, senza dover dominare o sfruttare un’altra persona” siamo in grado di amare, quindi, rispettare qualcuno.

Erich Fromm, L’arte di amare. Mondadori

Leggi altri pensieri di Erich Fromm: La responsabilità delle parole dette

Leggi: Come amare gli altri

ascoltare gli altri

Ascoltare gli altri

La capacità di ascoltare gli altri è di primaria importanza per la creazione di relazioni sane e soddisfacenti. Spesso però anche le persone più capaci di ascoltare se stesse trovano difficoltà nell’ascoltare gli altri perché in genere siamo troppo presi da noi stessi e “comprendiamo” tutto quello che ci arriva sempre in riferimento a noi stessi, trovando grande difficoltà a metterci nei panni dell’altro.

“Quando avviamo un dialogo con qualcuno, non troviamo ascolto e non ne diamo, perché nella comunicazione con gli altri siamo portati a ricercare prevalentemente l’eco delle nostre parole e il riverbero delle nostre percezioni. Ascoltiamo noi stessi e non siamo in grado di recepire veramente i messaggi dei nostri interlocutori. Interpretiamo i loro discorsi e i loro comportamenti secondo le nostre esigenze e i nostri propositi, fuorviati dal pressante bisogno – oltre che magari di ottenere eventuali vantaggi concreti – di trovare conferme, di ricevere attestazioni di affetto e apprezzamento. Anche se la diversità ci attrae e ci incuriosisce, soprattutto nell’ambito delle relazioni stabili e significative, siamo alla ricerca della somiglianza e delle analogie. Il disaccordo delle opinioni e la dissonanza degli intenti ci disturbano e ci predispongono a un atteggiamento di chiusura e di sospetto.”

COMMENTO – È esperienza comune il fatto che le persone veramente capaci di ascoltare gli altri siano veramente rare. Naturalmente parliamo di coloro che non “sentono” solo ciò che gli altri dicono ma che sono in grado di comprendere in maniera corretta gli stati d’animo dell’interlocutore, le sue intenzioni e le sue richieste contenuti nel suo esprimersi. Le persone che sanno fare ciò riescono a cogliere la densità di significato nel discorso degli altri, riescono a vedere realmente il proprio interlocutore. Soprattutto chi sa ascoltare gli altri è sinceramente interessato “a colmare la distanza emotiva che spesso separa gli esseri umani e a cercare uno spazio di condivisione, facendoci sentire non più viaggiatori solitari e dispersi nel vasto mondo, ma depositari di un comune destino che ci affratella.” Per queste persone gli altri sono veramente un valore e non solo “una scocciatura” nel momento in cui l’incontro chiede anche attenzione e compenetrazione.

All’opposto l’incomprensione creata da un ascolto carente tende a generare chiusure e ostilità tra gli interlocutori; e se a tale frattura non si pone subito un rimedio essa può diventare definitiva, portando a situazioni di rottura del rapporto o, forse peggio, a condizioni di alta conflittualità. Ne troviamo traccia specie in quelle due tipologie di rapporti più fondamentali e al tempo stesso più soggette a complesse patologie della relazione. Nelle coppie, dove l’incapacità di ascoltare l’altro non consente di “preservare l’integrità del loro rapporto attraverso la capacità di confronto e rinnovamento continuo”. Nei rapporti genitori e figli in cui i due attori in gioco sembrano talvolta parlare linguaggi  incompatibili, in grado di creare allontanamenti  enormi dove ascoltare l’altro diventa sempre più impossibile fino a rendere la relazione irrecuperabile. Alla domanda sul perché nei rapporti affettivi, soprattutto quando essi sono problematici, è così difficile cambiare, la risposta sta sempre nella scarsa disponibilità che ciascuno di noi ha nell’ascoltare gli altri, di prendere in considerazione le loro richieste e i loro bisogni. La maggior parte di noi è sintonizzata solo sulle proprie esigenze e sui propri punti di vista.  

Siamo così concentrati “sulle nostre convinzioni, sulle nostre pretese e sulle nostre aspettative che le parole dei nostri interlocutori rischiano di diventare solo un fluire ininterrotto di suoni che neppure ci scalfisce. É una sorta di rassicurante rumore di fondo che ci tiene compagnia e ci trasmette la consolante, per quanto illusoria, sensazione di non essere soli, di essere in contatto con altri essere umani, integrati in un sistema sociale che ci rimanda un gratificante, seppur precario, senso di appartenenza. Con tali presupposti, verrebbe da concludere che siamo almeno capaci di comunicare con noi stessi. Eppure questa autoreferenzialità, questa centratura sulla nostra personale visione del mondo e sulla nostra peculiare esperienza affettiva, non ci deve illudere. L’attenzione che rivolgiamo a noi stessi non va confusa con un’effettiva capacità di ascolto, non significa necessariamente essere in contatto con se stessi, con la propria sfera più intima e genuina.”

Ivana Castoldi, Piccolo dizionario delle emozioni. Feltrinelli

Leggi altri pensieri sull’ascoltare gli altri: La comunicazione interpersonale

Leggi articolo sull’Ascolto Attivo

John Bowlby

John Bowlby: la sana dipendenza

John Bowlby, psicoanalista inglese, ci spiega che “la base sicura” non è solo avere intorno a sé persone in grado di prendersi cura di noi all’occorrenza, ma anche la capacità di sapere individuare intorno a sé persone fidate con cui instaurare legami di attaccamento reciproci e solidi. Tutto questo è alla base di  rapporti interpersonali sani…

“Una personalità sana, a qualunque età, ri­flette per prima cosa la capacità individuale di riconoscere le figure appropriate, volonterose e capaci di fornire una base sicura e, in se­condo luogo, la capacità di collaborare con tali figure in un rappor­to reciprocamente gratificante. Al contrario, molte forme di perso­nalità disturbata riflettono una capacità “menomata” di individua­re figure appropriate e volonterose e/o una capacità “menomata” di collaborare in relazioni gratificanti con tali figure, una volta tro­vate. Questa “menomazione” può essere di vario grado ed assume­re molte forme, come: l’aggrapparsi ansioso, richieste eccessive o sproporzionate ad età e situazioni, il distacco disimpegnato e l’indi­pendenza provocatoria. Paradossalmente la personalità sana, se considerata in quest’otti­ca, non si rivela assolutamente indipendente, come indicano invece gli stereotipi culturali. Gli elementi essenziali sono dati da una ca­pacità di far fiduciosamente conto sugli altri quando l’occasione lo richieda e di sapere su chi è giusto far conto. Una persona “sana” dunque è capace di cambiare ruolo se la situazione cambia. In un dato momento essa offre una base sicura per l’azione di un suo compagno o dei suoi compagni, mentre in un altro momento è con­tenta di poter far conto su uno dei suoi compagni che le offra a sua volta un’analoga base. (…) Al fine di fornire la continuità di un potenziale sostegno, che è l’essenza di una base sicura, i rapporti tra gli individui coinvolti de­vono persistere per un periodo di tempo valutabile in termini di an­ni.”

COMMENTO: John Bowlby, nei suoi studi, osserva che tutti gli esseri umani a tutte le età manifestano maggiori livelli di serenità e sono in grado di utilizzare al meglio le proprie capacità e qualità per trarre da esse il maggiore profitto se sono nella condizione di avere accanto a sé persone fidate sul cui aiuto, in caso di difficoltà, possono far conto. Tali persone fidate sono definite anche come figure di attacca­mento dal momento che esse forniscono la propria compagnia funzionando come base sicura da cui operare. John Bowlby ci fa notare che la necessità di avere accanto a sé figure di attaccamento come base sicura personale non va circoscritta solo nell’infanzia, anche se proprio in quel periodo il bisogno di simili figure è basilare e urgente, ma va estesa anche in altre fasi della vita degli individui. Infatti, secondo John Bowlby tale esigenza va riferita anche agli adolescenti e agli adulti maturi. Sicuramente in tali altre fasi il bisogno delle figure di attaccamento è meno evidente rispetto all’infanzia e differisce nelle persone sia a seconda del sesso che delle età. Tuttavia, nonostante tali evidenze, per questioni legate alla tipologia di valori presenti nella cultura occidentale, questa esigenza specie negli adulti tende spesso ad essere dimenticata e denigrata come segno di debolezza. Ma sappiamo bene che ciò è profondamente fonte di un pregiudizio e che proprio la capacità di sapere avere intorno a sé figure di attaccamento e di saper collaborare con esse, rappresenta una delle variabili più importanti per il nostro equilibrio psichico.

Per certi versi le esperienze che una persona fa nell’infanzia sono in grado di strutturare il tipo di aspettative che poi l’adulto avrà di trovare o meno una sicura base personale, dal momento che tali esperienze precoci possono influenzare la capacità di stabilire e mantenere, quando c’è il bisogno, un rapporto reciprocamente gratificante con le figure di attaccamento. Infatti la qualità delle aspettative che una persona possiede, unitamente alla sua capacità di stabilire legami, svolge un ruolo ri­levante nella scelta del tipo di persone a cui ci si accosterà, e nel modo in cui queste con lei. Se questi fattori sono presenti, avremo personalità ben adattate in cui è possibile osservare un equilibrio tra la capacità di prendere iniziativa e fiducia in se stessi, e la capacità di chiedere aiuto nel caso sia necessario. Individui che presentano tali personalità, nota John Bowlby, sono cresciuti in famiglie molto unite, nelle quali i genitori hanno sempre fornito appoggio e incoraggiamenti. Si tratta di famiglie che sono state capaci di strutturare un contesto stabile di rapporti sociali con gli altri e in tali contesti il bambino è ben accolto, potendo stabilire rapporti con altri adulti e con coetanei a lui familiari.

Le ricerche, dunque, mostrano l’importanza di avere avuto una solida base familiare dalla quale il bambino prima, l’adolescente dopo possono fiduciosamente allontanarsi per compiere “esplorazioni” via via più ampie. Infatti, in tali famiglie l’autonomia è incoraggiata senza essere mai imposta. Inoltre, in questa tipologia di rapporti famigliari, i legami con la famiglia anche se si attenuano non vengono mai rotti.

John Bowlby, Costruzione e rottura dei legami di attaccamento. Raffaello Cortina Editore

Leggi altra citazione di John Bowlby

Leggi su John Bowlby

attaccamento 1

Attaccamento e autonomia

Autonomia e attaccamento sono processi relazionali antitetici e, seppure, compaiano evolutivamente in momenti diversi poggiano, in realtà, l’uno sull’altro… Anna Oliverio Ferraris, “Psicologia della paura”, Bollati Boringhieri

In un processo evolutivo normale si ha un passaggio graduale da uno stato iniziale di completa dipendenza dalla madre a stati di sempre maggiore autonomia caratterizzati da una crescente fiducia in se stessi. L’individuo acquista fiducia nelle proprie possibilità in tempi che sono scanditi dalla maturazione. La progressiva padronanza dei movimenti e del linguaggio, la possibilità di acquisire competenze che rendono indipendenti e inseriscono socialmente, sono eventi che infondono fiducia. Con il sopraggiungere de l’autonomia molte delle paure infantili scompaiono: il ragazzo che fa affidamento sulle proprie forze è immediatamente più coraggioso e più fiducioso nelle proprie possibilità. Se dunque la dipendenza è totale nelle prime fasi della vita, lo è sempre meno con il trascorrere degli anni, sia pure nel quadro di alternanze legate al tipo di esperienze che si fanno, alle caratteristiche individuali, alla cultura in cui si è inseriti. Esistono, come è noto, differenze apprezzabili tra le diverse culture – alcune incoraggiano più di altre e più precocemente l’autonomia -; tuttavia la spinta verso l’emancipazione è universalmente incoraggiata, né sarebbe pensabile una società costituita esclusivamente da adulti psicologicamente dipendenti. Per non considerarli antitetici, e per sgomberare il campo da possibili confusioni, è opportuno dedicare qualche riga alla definizione dei concetti di «attaccamento-dipendenza» e di «emancipazione-distacco». Che i due concetti non siano in opposizione risulta dal fatto che il distacco dalle figure protettive e di attaccamento si verifica tanto più serenamente quanto più l’attaccamento nei primi anni di vita è stato soddisfacente: l’emancipazione-distacco non ha inizio là dove termina l’attaccamento-dipendenza; si tratta bensì di processi contemporanei che restano presenti in varie forme per tutta la vita.

Continua a leggere su: Anna Oliverio Ferraris, “Psicologia della paura”, Bollati Boringhieri

Leggi altro articolo: Amare troppo, le dipendenze affettive

Leggi sull’attaccamento

amori 3

Amori felici e amori infelici

Quali sono gli amori felici e quali sono gli amori infelici? Quante volte diamo lo stesso nome di “amore” a storie molto diverse tra loro in quanto al benessere che sanno darci. A volte saper distinguere un amore felice da uno infelice è moto semplice se solo sapessimo essere onesti con noi stessi… Paolo Crepet, “Gli incontri sbagliati. I volti dell’amore”, Mondadori

Anch’io, come tutti, ho avuto il mio apprendistato d’amore. Ricordo in particolare una storia piuttosto tormentata. Ero giovane, molto giovane, lei mi faceva soffrire ma ne ero innamorato e non sapevo decidermi se lasciarla o continuare a vederla. Ci pensavo giorno e notte, non combinavo più niente negli studi, mi sentivo addosso solo una grande tristezza e una grande confusione. Un giorno, durante una riunione di famiglia, incontrai una vecchia zia che non vedevo da tempo. Chissà perché, chiacchierando del più e del meno, mi venne voglia di parlarle di questa fidanzata. Lei ascoltò il mio lungo racconto con grande attenzione, con tutta la pazienza della sua età e alla fine mi disse, guardandomi dritto negli occhi: «Ma tu sei felice con quella ragazza?». Una domanda così semplice! Eppure io non me l’ero fatta (forse, inconsciamente, avevo paura della risposta?). Improvvisamente, di fronte a quelle parole, mi ritrovai con il bandolo della matassa in mano. Era una rivelazione. Una provocazione che fece subito luce dentro di me. No, non ero felice, quindi dovevo chiudere quella storia. Forse sarei anche potuto arrivare prima, e da solo, a questa conclusione, ma ero un ragazzo e mi perdevo nelle mie pene, senza trovare una soluzione. Ci sono momenti nella vita – e nell’amore più che mai – in cui precipitiamo in un grandissimo caos. Momenti in cui non sappiamo nemmeno più chi siamo, dove stiamo andando, come se fossimo avvolti in una fitta nebbia. Prendere decisioni allora è molto difficile. Per fortuna, la sorte a volte ci guida verso le persone giuste, quelle che con la loro saggezza, con una speciale capacità di intuizione, riescono a riportarci sulla nostra strada. Così una frase semplice come: Ma tu sei felice?» diventa una rivelazione che ci cambia l’esistenza.

Continua a leggere su: Paolo Crepet, “Gli incontri sbagliati. I volti dell’amore”, Mondadori

Leggi altro articolo sull’amore: Erich Fromm e i diversi tipi di amore

Leggi su Paolo Crepet

autorità 4

L’ autorità e i modi di opporci ad essa

L’autorità non sempre è spiacevole, anzi talvolta ricorriamo ad essa. Ma quando essa esercita un potere su di noi costringendoci a comportamenti contrari ai nostri bisogni, mettiamo in moto tutta una serie di azioni per fronteggiare la sua “prepotenza”. Thomas Gordon, “Relazioni efficaci”, Edizioni La Meridiana

Innanzitutto, esistono diversi tipi di autorità. Quella che scaturisce dall’esperienza gode di grande stima. Quando, ad esempio, si guasta un’automobile, senza dubbio vogliamo che venga riparata da un meccanico molto esperto, da una autorità nella meccanica automobilistica. Analogamente, ci si aspetta che il proprio medico sia un’autorità in materia di salute, diagnosi e terapia delle patologie; che i docenti e gli allenatori dei propri figli siano autorità nell’istruzione e nello sport. Per descrivere queste persone, utilizziamo espressioni quali: “E un’autorità nel campo dell’economia” oppure “Parla con grande autorevolezza”. Le persone dotate dell’autorità che deriva dalla loro conoscenza, competenza, esperienza, formazione, saggezza e istruzione sono molto ambite e spesso assai ben retribuite; e la loro autorità quasi mai suscita problemi relazionali. Esiste poi un secondo tipo di autorita conferita a precise figure professionali o riconosciuta e accordata a determinate funzioni lavorative. Ad esempio, la polizia è autorizzata a emettere multe, i presidenti dei comitati a dare inizio e porre fine alle riunioni, i giudici a pronunciarsi in merito alle leggi, i direttori dei quotidiani ad assegnare compiti, e via discorrendo. Anche l’autorità inerente l’ambito lavorativo suscita raramente problemi relazionali se le funzioni lavorative sono concordate e legittimare. Un terzo tipo ha a che vedere con i contratti e gli accordi, che possono variare dalla semplice stretta di mano alla ratifica formale di trattati internazionali. Certi avvocati si specializzano in giurisprudenza contrattualistica, diventando assai abili nel redigere documenti che precisano in modo inequivocabile i termini e le condizioni contrattuali. Tuttavia, per la maggior parte degli accordi non è necessario redigere contratti formali.

Continua a leggere su: Thomas Gordon, “Relazioni efficaci”, Edizioni La Meridiana

Leggi altro articolo: Sviluppo dell’individuo e responsabilità

Leggi sulla Psicologia Umanistica

situazione paradossale 1

Situazione paradossale come uscirne

Una situazione paradossale crea in chi la vive un profondo disagio. Paul Watzlawich ci spiega in cosa consista una situazione paradossale in cui ognuna delle alternative possibili sembra, in realtà, essere una soluzione sbagliata. Ciò accade perché l’unico modo di porre fine ad una situazione paradossale è quelo di violare le regole del gioco che la sostengono.
Paul Watzlawich e altri, Pragmatica della comunicazione umana. Astrolabio

In The Wife of Bath’s Tale ( Il racconto della comare di Bath) Chaucer narra la storia di un cavaliere di Re Artù che  “a spron battuto cavalcando un giorno verso casa di ritorno dalla caccia col falcone “s’imbatte per strada in una fanciulla a cui usa violenza”. Il crimine,  “che suscitò vivissimo scalpore“, quasi gli costa la vita, se non fosse per la regina e le sue dame che vogliono risparmiarlo, dal momento che Artù lascia decidere alla regina la sorte del cavaliere. La regina dice al cavaliere che gli concederà la vita se riuscirà a rispondere alla domanda  “Che cosa desiderano di più le donne?” Il cavaliere, che ha come unica alternativa una sentenza di morte, s’impegna di trovare la risposta e di ritornare al castello dopo un anno e un giorno (il tempo che la regina gli ha dato). Come si può immaginare, l’anno passa, arriva l’ultimo giorno, e il cavaliere è sulla strada del ritorno al castello senza aver trovato la risposta. Questa volta s’imbatte in una vecchia (“una strega tanto orrenda quanto può esserlo una invenzione della fantasia“) che sta seduta in un prato e gli dice una frase che suona come una profezia:  “Signor cavaliere, qui non c’è strada che passi “. Quando conosce la difficile situazione paradossale in cui il cavaliere si trova, gli dice di sapere la risposta e di essere pronta a svelargliela se egli giura che  “qualunque cosa io poi vi chieda, la farete se potrete farla”. Posto di nuovo di fronte a una scelta tra due alternative (essere decapitato o accondiscendere al desiderio della strega, qualunque possa essere), naturalmente il cavaliere sceglie questa seconda alternativa e la strega gli rivela il segreto (“Più di tutto è il dominio che desiderano le donne, sopra i loro mariti e nelle cose d’amore“). La risposta soddisfa pienamente le dame di corte e la strega chiede al cavaliere di sposarla. Ha mantenuto la sua promessa e· il patto esige che il cavaliere mantenga la sua. Giunge la notte del matrimonio e il cavaliere giace al fianco della strega disperato e incapace di sopraffare la repulsione per la sua bruttezza. Alla fine la strega gli offre ancora due alternative tra cui scegliere: o lui l’accetta orrenda com’è (e lei  per tutta la vita sarà una moglie sottomessa e esemplare) oppure si trasformerà in una fanciulla giovanissima e bellissima, ma non gli sarà mai fedele. A lungo il cavaliere pondera le due alternative e alla fine non sceglie nessuna delle due, ma rifiuta la scelta stessa. Il culmine del racconto è tutto in una sola riga:  “I do not fors the whether of the two  “ (Non scelgo nessuna delle due). A questo punto la strega diventa una fanciulla bellissima che sarà la più fedele e obbediente delle mogli.

Continua a leggere su: Paul Watzlawich e altri, Pragmatica della comunicazione umana. Astrolabio

Scarica gratis e leggi “Pragmatica della comunicazione umana”
Leggi articolo di Paul Watzlawich: “Passato, istruzioni per rendersi infelici”