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L’attacco di panico e le emozioni represse

L’ attacco di panico ha una funzione di “rottura” rispetto alle abitudini sicure ma anestetizzanti. L’ attacco di panico. Fa emergere forze inespresse, gesti mai compiuti, desideri irrealizzati che spuntano nella crisi. Raffaele Morelli, “Vincere i disagi”, RIZA

Cos’è il panico? – Diversamente descritto e connotato, è sempre esistito, anche se ancora oggi molti non lo codificano come un disturbo specifico poiché i suoi sintomi, psichici e somatici, sono troppo variegati e spesso ricollegabili a fenomeni d’ansia. Tuttavia, molti concordano nel definirlo come una sindrome acuta e cronica che costituisce, insieme all’ansia e alla depressione, una delle tre maggiori cause di invalidità individuale e sociale. Varie e sfaccettate sono dunque le interpretazioni del panico e delle sue cause, offerte nel corso dei secoli da filosofi, psicanalisti e studiosi del cervello appartenenti a scuole, culture e orientamenti diversi, che lo hanno descritto attraverso l’analisi della sua sintomatologia. Va però ricordato che è a partire dagli anni Venti che l’ attacco di panico viene discusso e trattato come un disturbo psichiatrico. E solo negli anni Sessanta e Settanta si è iniziato a studiarlo in modo sistematico. Infine, negli anni Ottanta è stato poi riconosciuto come una categoria clinica a sé.

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La vergogna come fattore di ansia

La vergogna è secondo Albert Ellis, creatore dell’approccio REBT (Terapia comportamentale razionale-emotiva) alla base di molte forme di ansia che affliggono le persone. Tutto parte dal fatto che ciascuno di noi può commettere un errore e dal fatto che spesso questa circostanza diventa il punto di partenza di profondi giudizi severi su noi stessi… Albert Ellis, “Che Ansia!”, Erickson

Poco tempo dopo aver iniziato a usare la REBT con i miei clienti, nel 1955, mi resi conto che molti disturbi umani ruotano intorno alla vergogna. Perché quando le persone si vergognano di qualcosa che pensano, dicono, provano o fanno, quasi sempre vogliono dire: «Ho fatto una cosa sbagliata e gli altri mi criticheranno e mi incolperanno per averla fatta». Questa autoaffermazione, però, non deve in nessun caso portarle a provare vergogna, imbarazzo o umiliazione, perché poi possono dire: «Sì, ho fatto davvero una cosa stupida, o insensata, o immorale. Sì, molte persone che lo scopriranno diranno che non avrei dovuto farlo e mi criticheranno aspramente per averlo fatto, ma non devo prenderle troppo sul serio e ritenermi per questo una persona cattiva e deprecabile. Innanzi tutto, magari la cosa che ho fatto non era così sbagliata. Magari la gente è troppo severa nel giudicarmi. Dato che sono un essere umano fallibile, non ci si può aspettare che faccia sempre la cosa giusta. Quindi imparerò da questo errore e cercherò di non ripeterlo, e allora la gente ricomincerà a rispettarmi. Ma anche se continueranno a pensare che sono cattivo perché ho agito male, non sono tenuto a essere d’accordo con loro e a condannarmi da solo. Posso perdonare i miei errori e fare del mio meglio in futuro per sbagliare di meno». Se dopo aver agito male ed essere stato criticato adottassi questa linea di pensiero, ti sentiresti desolato e spiacente, e determinato ad agire meglio in futuro. Ma difficilmente proveresti vergogna o odio per te stesso.

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Un metodo per sfidare le idee irrazionali

Il metodo realistico per sconfiggere le convinzioni irrazionali che spesso sorreggono la nostra ansia consiste nell’esaminare quali sono gli aspetti della realtà sociale che le nostre convinzioni vorrebbero sfidare. Ci parla di questo metodo Albert Ellis, padre fondatore della terapia cognitivo-comportamentale. Questo metodo terapeutico consiste nel cercare di modificare le irragionevoli convinzioni che sorreggono gran parte dei nostri comportamenti disfunzionali. Un metodo che applicato ai disturbi d’ansia consente di ottenere ottimi risultati. Albert Ellis, “Che ansia”, Erickson

Prendiamo un caso molto comune. Poniamo che tu sia sinceramente innamorato di una persona, ma molti indizi ti fanno pensare che l’oggetto dei tuoi desideri non ricambi il tuo affetto. Sembra che tu le sia piuttosto indifferente, o forse non le piaci proprio. Ma continui a desiderare intensamente che questa persona ricambi il tuo sentimento d’amore e di conseguenza provi una certa ansia perché potrebbe non succedere. Come fare per alleviare quest’ansia? (…) La tua preferenza o desiderio, naturalmente, è che la tua amata ricambi il tuo affetto. Ma dato che sei molto ansioso, supporrai che questo desiderio sia passato al grado di doverizzazione insistente. Quindi cerchi dentro di te questa doverizzazione e la trovi con una certa facilità: «Non solo ho un’intensa preferenza affinché la mia amata mi ricambi, ma penso che debba assolutamente farlo. Però, dato che non sembra fare ciò che dovrebbe, e potrebbe anche non amarmi mai nel modo in cui io amo lei, sono molto ansioso. Non ho garanzie che otterrò ciò che credo di dover ottenere, quindi sono molto ansioso, anzi forse sono nel panico». Bene, quindi abbiamo trovato una doverizzazione molto probabile riguardo alla tua amata, ed evidentemente è questa che ti rende ansioso. È semplice, no? Se cerchi la tua doverizzazione, in genere la troverai facilmente. Ora, che cosa puoi fare con questa doverizzazione che dice: «La mia amata deve, deve assolutamente, amarmi come io amo lei»? Come fare per cambiarla? La risposta (…)  è metterla in discussione, contrastarla. Il tuo obiettivo è conquistare la tua amata.

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Resilienza come arma contro lo stress

La resilienza è la capacità di saperci opporre alle avversità, piccole o grandi della vita, trovando la forza di risalire sulla nostra barca che si è rovesciata e di continuare a navigare verso i nostri obiettivi. Pietro Trabucchi, “Resisto dunque sono”, Corbaccio

C’è una buona notizia: ora sappiamo con certezza che gli esseri umani sono stati progettati per affrontare con successo difficoltà e stress. E in questo campo sono molto più forti di quanto comunemente si creda. Generazione dopo generazione, l’evoluzione ha modellato i nostri progenitori perché fronteggiassero efficacemente ogni sorta di ostacolo o di problema. Discendiamo da gente che è sopravvissuta a un’infinità di predatori, guerre, carestie, migrazioni, malattie e catastrofi naturali e che ci ha trasmesso i propri geni. Oggi, tra le tante promesse da rotocalco, c’è posto anche per chi parla di «eliminare lo stress». Non solo ciò è impossibile, ma sarebbe anche inutile: noi siamo costruiti per convivere quotidianamente con lo stress. A questo scopo possediamo dentro di noi, come un dono, un insieme di risorse che abbiamo ereditato dal passato. Questo insieme di risorse si chiama «resilienza» o resistenza psicologica. La maggior parte delle persone, fortunatamente, tende a essere resiliente: può adattarsi e apprendere a superare indenne le avversità più severe. (…) C’è chi si spinge addirittura oltre. Qualcuno sostiene che condizioni difficili possano aiutare la gente a ritrovare equilibrio psicologico e motivazioni. In effetti, esistono testimonianze eloquenti a proposito. Durante la seconda guerra mondiale Londra venne bombardata duramente. Si temevano gravi ripercussioni sull’equilibrio psichico degli abitanti. Avvenne il contrario. Diminuirono i ricoveri nei centri d’igiene mentale e i suicidi. La stessa cosa avvenne nelle fasi più acute del conflitto per l’autonomia dell’Irlanda del Nord o durante i tumulti razziali avvenuti negli Stati Uniti tra gli anni ’60 e ’70. A quanto pare, chi, di fronte a eventi stressanti, chiede un aiuto terapeutico o manifesta gravi forme di disagio rappresenta l’anomalia, non la regola. La regola, per gli esseri umani, è rappresentata dalla resilienza. Il termine «resilienza» proviene dalla metallurgia: indica, nella tecnologia metallurgica, la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi vengono applicate.

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Ansietà di base e le tre soluzioni possibili

L’ ansietà di base è un vissuto comune a tutti gli individui nella propria infanzia. A questa ansietà di base ciascuno di noi cerca di trovare una soluzione per fronteggiare adeguatamente il proprio ambiente. Andare verso, andare contro e allontanarsi da, sono le tre soluzioni che ognuno di noi può adottare rispetto all’ ansietà di base. Quando queste soluzioni all’ ansietà di base si strutturano troppo rigidamente possono dare origine a conflitti nevrotici. Karen Horney, I nostri conflitti interni. Martinelli Editore

Per accostarci al problema dal punto di vista genetico, dobbiamo tornare a ciò che ho chiamato ansietà di base, intendendo con questo la sensazione che un bambino ha di essere isolato ed impotente in un mondo potenzialmente ostile. Una vasta serie di fattori contrari nell’ambiente può generare questa insicurezza in un bambino: una dominanza più o meno diretta, indifferenza, comportamento instabile, mancanza di rispetto per le necessità individuali del bambino, mancanza di una vera guida, atteggiamenti denigratori, troppa ammirazione o assenza di questa, scarsità di genuina cordialità, dover parteggiare nei dissensi dei genitori, troppa o troppo poca responsabilità, protezione esagerata, isolamento dagli altri bambini, ingiustizia, discriminazione, promesse non mantenute, atmosfera ostile e cosi via. Il solo fattore sul quale vorrei richiamare una particolare attenzione in questo contesto, è l’intuizione del bambino della latente ipocrisia nell’ambiente: la sua sensazione che l’amore dei genitori, la loro carità cristiana, la loro onestà, generosità e così via possano essere solo un’ostentazione. Parte di ciò che il bambino sente a questo riguardo è veramente ipocrisia; ma può essere solo una sua reazione a tutte le contraddizioni che egli avverte nel contegno dei genitori. Comunque, abitualmente c’è una combinazione di fattori torturanti. Possono essere evidenti o del tutto nascosti, così che nell’analisi queste influenze sullo sviluppo del bambino possono venire alla luce solo gradualmente. Tormentato da queste inquietanti condizioni, il bambino cerca a tastoni il modo di andare avanti, il modo di adattarsi a questo mondo minaccioso. Nonostante la sua debolezza e i suoi timori, egli affina inconsciamente le sue tattiche per far fronte alle particolari forze che agiscono nel suo ambiente. Così facendo, sviluppa non soltanto strategie ad hoc, ma tratti permanenti di carattere che diventano parte della sua personalità. Ho chiamato questi tratti «tratti nevrotici».

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Doverizzazioni che creano ansia

Le doverizzazioni sono aspetti rigidi delle nostre credenze che, come spiega Albert Ellis, condizionano pesantemente la nostra vita e alimentano più del necessario le nostre ansie. Albert Ellis, Che Ansia!, Erickson

La prima volta che ho indagato sulle convinzioni irrazionali dei miei pazienti, ne ho riscontrate dodici fra le più comuni, ciascuna delle quali presentava diverse varianti. (…)In genere è stato riscontrato, come avevo predetto, che quando gli individui avevano diverse convinzioni irrazionali, e ci credevano in modo rigido e irremovibile, in genere erano più ansiose o disturbate in altro modo rispetto a coloro che avevano meno convinzioni irrazionali e le prendevano più alla leggera o con moderata serietà. (…)Svolgendo ulteriori ricerche e analisi cliniche sulle convinzioni irrazionali dei pazienti, ho riscontrato, non senza una certa sorpresa, che le mie categorie di convinzioni irrazionali originali resistevano, e così anche diverse loro varianti. E poi ho scoperto che era possibile condensarle in tre tipologie di convinzioni irrazionali principali entro le quali ricadevano praticamente tutte le altre convinzioni irrazionali, che sono centinaia.

Doverizzazioni su se stessi. Esempi: «Io devo assolutamente avere successo in ogni attività importante che intraprendo»; «Io devo essere amato completamente, o quanto meno approvato pienamente, dalle persone a cui tengo»; «Io devo distinguermi ed essere impeccabile in certi progetti che scelgo di intraprendere». Questa forma comunissima di doverizzazione, che le persone di tutto il mondo sperimentano a un certo punto della propria vita, fa sentire ansiosi, depressi, insignificanti, autolesionisti e insicuri quando non si riesce a realizzare diversi obiettivi della propria vita.

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Riconoscere l’ansia

riconoscere l'ansiaCome riconoscere l’ansia? L’ansia è una reazione innata e parte della natura umana. È una risposta che il l’organismo umano emette per prepararsi a fronteggiare ciò che avverte essere un pericolo. Deriva, dunque, dalla sensazione di essere vulnerabili, anche se tale percezione non sempre si accompagna ad una comprensione dei motivi e delle cause di questa vulnerabilità.
L’ansia e la paura, in qualche modo viaggiano sempre insieme e, malgrado siano esperienze indesiderate, possono essere considerate come reazioni adattative per l’individuo.
La paura rappresenta il nucleo centrale di tutti i disturbi d’ansia, in quanto è una reazione di allarme automatica che scatta quando l’individuo fa una valutazione cognitiva e rileva un’imminente minaccia o pericolo alla propria sicurezza. La paura svolge una funzione adattiva, allertando e preparando l’organismo a rispondere a potenziali rischi che potrebbe incontrare. Dunque, è difficile incontrare una persona che non abbia mai provato paura in una situazione avvertita come pericolosa.
Chi non sperimenta paura è più esposto a pericoli e corre maggiori rischi; dunque, appare ragionevole, non auspicare la totale scomparsa della paura.
La paura è una valutazione automatica e istintiva della presenza di una minaccia. Invece, l’ansia è una risposta più complesso che coinvolge fattori cognitivi, emotivi, comportamentali e fisiologici. Ad esempio, la paura è ciò che una persona potrebbe sperimentare incontrando un grosso cane senza museruola che abbaia e che gli corre incontro senza guinzaglio. In questo caso l’emozione che sperimenterà – la paura – lo farà scappare. La paura, dunque, è la valutazione immediata del pericolo.
L’ansia, invece, è ciò che un individuo può sperimentare passeggiando per la strada per la paura di incontrare un cane. In questo caso la persona sarà ipervigile e sperimenterà un continuo stato di allerta. Si sentirà agitata e in uno stato di apprensione pensando di dover attraversare un giardino dove potrebbero esserci dei cani senza guinzaglio. Così mentre cammina avrà pensieri del tipo: “ecco adesso incontro sicuramente un cane”, “e se mi dovesse aggredire?”, “sarà pericoloso?”, “che faccio scappo oppure resto fermo…”. L’ansia, dunque, è lo stato emotivo spiacevole che si sperimenta quando la paura è stata attivata o quando pensiamo a minacce o pericoli futuri.

L’ansia, in generale, è uno stato caratterizzato da sentimenti di paura e di preoccupazione non collegati, in apparenza, a stimoli specifici. Questo aspetto differenzia l’ansia dalla paura che, al contrario, è sempre riferita ad un pericolo reale. Nell’ansia, gli elementi percepiti come di rischio possono appartenere o essere individuati sia relativamente al mondo interno che a quello esterno e, di norma, la preoccupazione si manifesta all’interno di un atto previsionale. L’ansia, infatti, è sempre collegata in qualche modo a un evento futuro.
Come riconoscere l’ansia? Essa si manifesta come uno stato psico-fisico caratterizzato da tensione, senso di minaccia e da preoccupazioni, accompagnati da alterazioni fisiche quali tachicardia, ipertensione, sudorazione, tremolio, senso di vertigine/capogiro, etc..
Anche l’ansia ha una componente adattativa nella vita di un individuo. Infatti, essa può aiutarci a individuare/anticipare problematicità future, permettendo di trovare con l’immaginazione possibili soluzioni. In questo caso, l’ansia anticipatoria ci consente di affrontare più preparati la situazione temuta.
Così l’ansia se presente in una giusta dose e rispetto ad una situazione appropriata, di venta una preziosa alleata per le persone dal momento che è capace di farci tirare fuori le nostre migliori risorse per affrontare e superare gli ostacoli.
La psicologia ha ampiamente dimostrato come un certo grado di ansia consenta agli individui di riuscire meglio nei compiti e nelle prove da affrontare rispetto a quando siamo troppo rilassati. Infatti, l’ansia mette in moto quei meccanismi del corpo e della mente in maniera tale da permetterci, per un tempo limitato e di fronte a reali situazioni che lo richiedono, di funzionare in maniera “super normale”.

Anche nei casi in cui l’ansia ha una funzione adattativa, il nostro organismo psicofisico paga comunque un prezzo in termini di sforzo per funzionare in questa maniera “super-normale”.
Quando l’ansia, invece, va oltre questi aspetti adattativi per durata e inopportunità rispetto alla situazione, diventa un vissuto/stato che interferisce negativamente con la vita di tutti i giorni. In questi casi l’ansia manifesta il suo lato oscuro, diventando una forza che non tira più fuori il meglio di noi ma che, al contrario ci paralizza.
Quando l’ansia supera certi livelli si tramuta da alleato in impedimento.

Per saperne di più su come riconoscere l’ansia: 3 modi per combattere l’ansia
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