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Arte di vivere e il coraggio di crescere

L’ arte di vivere – secondo lo psicoanalista Erich Fromm – dovrebbe essere quella pratica che porta ciascun individuo, secondo una propria strada, a sviluppare se stesso in una esistenza piena e completa, di realizzazione del proprio essere una persona. L’ arte di vivere non è allora un accumulo di beni o il raggiungimento di determinati status, ma la vera possibilità di vivere una vita  realmente libera dai falsi miti della società attuale.

“I nostri contemporanei vorrebbero vivere felici senza prima sapere come si fa. Già Meister Eckhart si chiedeva come si pretendesse di imparare l’arte di vivere e di morire senza gli insegnamenti necessari. Questa è la domanda cruciale: oggi invece la gente sogna una grande felicità, ma non ha la più pallida idea sulle condizioni indispensabili per poter essere felici o condurre una vita in qualche misura soddisfacente. Io ho una chiara convinzione etica e una precisa idea su come debba configurarsi una cultura che miri al benessere umano. Col che non intendo dire di avere un piano dettagliato su come la società dovrebbe essere esattamente. (…) Rispetto ai valori-guida della nostra cultura io ho un’idea molto precisa: lo scopo principale della vita deve essere lo sviluppo completo dell’uomo, e non le cose, la produzione, la ricchezza o gli averi; lo stesso processo vitale deve essere davvero visto come un’opera d’arte. La vita è il capolavoro di un singolo individuo che deve mirare al massimo di forza e di crescita. La vita del singolo è da considerarsi la cosa più importante. Ma che cosa è davvero importante? (…) Oggi l’uso che si fa della propria vita non ha più una grande importanza. Quello che conta è avere successo, conquistare potere e prestigio, salire nella scala sociale, saper usare le macchine. Ma quanto a umanità, le persone si atrofizzano, tendono a regredire. Anche se aumenta la capacità di guadagnare denaro e di manipolare gli altri, dal punto di vista umano non si migliora di certo. Non si impara nulla e non si ottiene alcun risultato se non si è convinti che ciò che si intraprende sia la cosa più importante. Chi vuole apprendere qualcosa «perché sarebbe bello…» non imparerà mai nulla di serio. Solo chi ogni giorno si esercita per ore al piano può diventare un buon pianista. Lo stesso vale vuoi per la ballerina vuoi per il carpentiere. Sia l’uno che l’altra si esercitano ogni giorno per ore perché ciò che hanno scelto è diventato per loro la cosa più importante. Il Talmud lo spiega in modo molto convincente: quando gli Ebrei attraversarono il mar Rosso, Dio disse a Mosè di sollevare la sua verga e l’acqua si sarebbe aperta davanti a lui. Questo è ciò che racconta la Bibbia. Ma il Talmud dice: quando Mosè sollevò la verga, le acque non si aprirono. Le acque si ritirarono solo quando il primo Ebreo si fu gettato in mezzo ai flutti. Il punto cruciale è che non avviene nulla finché non si ha il coraggio di buttarsi.”

Commento – L’ arte di vivere potremmo dire che al suo interno contempli il fine di essere felici, ma tale traguardo non può essere raggiunto semplicemente parlando o leggendo libri su cosa fare. Al fine di arrivare a tale obiettivo è necessario operare in noi un vero cambiamento rispetto ai dettami che abbiamo appreso attraverso i condizionamenti culturali e tale cambiamento per essere realizzato deve essere supportato da una ferma volontà nell’individuo in grado di spingerlo a farlo. Ma questo non è facile anche se desiderato da molti e così davanti al fallimento di questo obiettivo – la nostra felicità –  ci scarichiamo della responsabilità addossandola agli altri. Quando si parla di responsabilità e non di “colpa” è proprio perché il primo termine rimanda alla possibilità di osservarci e provare a fare meglio, mentre il secondo comporta frustrazione e demotivazione. Quindi l’ arte di vivere ci richiede soprattutto di aumentare il nostro senso di responsabilità e la ferma volontà di sviluppare il nostro essere per stare meglio. Come ci ricorda Erich Fromm: “Finché ci si limita a guardare da lontano ciò che si intende raggiungere, non si comprende assolutamente nulla”. Tutto ciò che apprendiamo deve diventare nostro, metabolizzato: deve acquisire per noi un peso reale altrimenti rischia di rimanere soltanto come qualcosa di piacevole senza veramente incidere nella nostra esistenza. Così se leggiamo libri su come migliorare noi stessi o seguiamo delle conferenze sullo sviluppo personale dobbiamo poi impegnare noi stessi a usare quelle informazione e indicazioni con cui siamo venuti in contatto per altrimenti “ciò che non ha un significato diretto per la vita non merita di essere appreso. É meglio andare a pesca, in barca a vela o a ballare, piuttosto che apprendere cose che non hanno alcuna conseguenza diretta o indiretta sulla nostra esistenza.”

Erich Fromm, L’arte di ascoltare. Mondadori

Leggi altri pensieri di Erich Fromm: I diversi tipi d’amore

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La felicità, cosa è?

Tutti sono convinti di sapere cosa sia la felicità e forse è anche giusto che sia così visto il carattere ampiamente soggettivo di questa esperienza. Eppure, pur ammettendo questo, è possibile non solo provare a dare una definizione sufficientemente ampia di cosa sia la felicità ma anche evidenziare quali sono quei fallaci convincimenti in proposito che ci portano lontano da un obiettivo comune a tutti noi: la ricerca della felicità.

“Tutti la vogliamo. Tutti la bramiamo. Tutti ci sforziamo di raggiungerla. Persino il Dalai Lama ha detto: «Il vero scopo della vita è la ricerca della felicità». Ma che cos’è esattamente? La parola «felicità» ha due significati molto diversi. Quello più comune è «sentirsi bene». In altre parole, provare un senso di piacere, contentezza o gratificazione. A tutti noi piacciono queste sensazioni, quindi chiaramente le rincorriamo. Come tutte le emozioni umane, però, le sensazioni di felicità non durano. Per quanto ci sforziamo di trattenerle, ogni volta scivolano via. E, come vedremo, una vita dedicata all’inseguimento di queste belle sensazioni è, sul lungo periodo, profondamente insoddisfacente. In realtà, più rincorriamo le sensazioni piacevoli, più tendiamo a soffrire di ansia e depressione. L’altro significato della parola «felicità», molto meno comune, è «vivere una vita ricca, piena e significativa». Quando agiamo in nome di ciò che conta veramente nel profondo del nostro animo, ci muoviamo nelle direzioni che consideriamo degne e preziose, chiariamo cosa è importante per noi nella vita e ci comportiamo di conseguenza, allora la nostra esistenza diventa ricca, piena e significativa, e proviamo un forte senso di vitalità. Non si tratta di una sensazione fugace: è un senso profondo di una vita ben vissuta. E per quanto una vita di questo tipo ci darà sicuramente molte sensazioni piacevoli, ce ne darà anche di spiacevoli, come tristezza, paura e rabbia. Dobbiamo metterlo in conto. Se viviamo una vita piena, proveremo l’intera gamma delle emozioni umane.”

COMMENTO – Tutte le persone cercano la propria felicità ma in questa ricerca commettono alcuni errori che nascono da alcuni pregiudizi a proposito di questo argomento. Tali “miti” su cosa sia la felicità possono essere di intralcio al percorso di ricerca, portando l’individuo spesso esattamente nella direzione opposta. Russ Harris individua quattro falsi miti che circolano a proposito della felicità: la felicità è la condizione naturale di tutti gli esseri umani; se non sei felice, hai qualcosa che non va; per avere una vita migliore dobbiamo sbarazzarci dei sentimenti negativi: dovresti essere capace di controllare ciò che pensi e che provi. Sul primo falso mito è sufficiente scorrere alcune statistiche che parlano della sofferenza del genere umano: il numero dei suicidi, quello delle separazioni o quello dei consumi di psicofarmaci. In realtà, dunque, la felicità è solo un traguardo per le persone e non una condizione naturale, per cui chi la desidera deve rimboccarsi le maniche e impegnarsi. Il secondo falso mito è una conseguenza del primo: la mancanza di felicità è ritenuta una debolezza o una colpa, il frutto di qualche cosa che non va nella nostra mente. Sappiamo bene, guardandoci intorno, che le cose non stanno così per cui non dobbiamo sentirci in colpa dei nostri disagi. Semmai ci dovremmo rammaricare di non impegnarci per cercare di essere felici. Sul terzo falso mito Russ Harris ci ammonisce che: “viviamo nella società dello «star bene», intrisa di una cultura ossessionata dalla ricerca della felicità. E che cosa ci dice di fare questa società? Di eliminare le emozioni «negative» e di fare il pieno di quelle «positive».” Si tratta di un proposito molto bello ma che non riconosce la natura dell’essere umano nella cui esperienza trovano posto sia emozioni positive che negative. Quindi non sentiamoci in colpa se ci capiterà di vivere vissuti spiacevoli o negativi. L’importante è non indulgere in essi. Sul quarto mito c’è da dire che effettivamente gli individui possono avere un certo grado di controllo sui propri pensieri e sule proprie emozioni. Tuttavia tale controllo è sicuramente inferiore a quanto spesso ci viene detto che dovremmo avere. Ben più importante è la gestione dei nostri comportamenti e delle azioni perché è “praticando, facendo che ci creiamo una vita ricca, piena e significativa alla luce di ciò che ciascuno di noi ritiene importante e cui dà valore”. Purtroppo se basiamo troppo la nostra vita sul desiderio dell’assoluto controllo di pensieri ed emozioni, quando il nostro impegno fallisce ci troveremo a sperimentare una profonda frustrazione accompagnata da un senso di inadeguatezza e imperfezione. Sicuramente tutto ciò non ci aiuterà nella ricerca della felicità.

Russ Harris, La trappola della felicità, Erickson

Leggi altri pensieri di Russ Harris: Il successo, connettersi con i propri valori

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Wayne Dyer

Wayne Dyer: felicità e intelligenza

Wayne Dyer, psicologo statunitense, ci fa ragionare sul fatto che non sempre l’intelligenza, comunemente intesa, apra la strada alla felicità. Secondo Wayne Dyer sono, al contrario, le persone che riescono nella vita a praticare la propria felicità ad essere veramente intelligenti…

“Rispondere di te stesso comporta che tu metta da parte alcuni miti assai diffusi. Ne apre l’elenco la nozione che l’intelligenza si misuri dalla capacità di risolvere problemi complessi, leggere, scrivere e far di conto a certi livelli, risolvere rapidamente equazioni astratte. Questo concetto di intelligenza ravvisa nell’istruzione formale e nella bravura libresca le vere misure della realizzazione personale. Esso stimola una sorta di snobismo intellettuale, che ha dato risultati demoralizzanti. Siamo arrivati al punto di ritenere che chi si è più distinto negli studi, chi è un cannone in una qualche disciplina scolastica (matematica, scienze), chi usa un ricco vocabolario, chi ha memoria per fatti superflui, chi è un divoratore di libri, sia «intelligente». (…) Se sei felice, se vivi ogni momento per tutto ciò onde vale la pena di viverlo, sei una persona intelligente. La capacità di risolvere un problema è un’utile aggiunta alla tua felicità; ma se tu sai che, pur essendo incapace di risolverlo, puoi sempre sceglierti la felicità o, quanto meno, rifiutarti di scegliere l’infelicità, allora sei intelligente. Sei intelligente perché detieni l’arma più efficace contro i «nervi a pezzi», o «esaurimento nervoso». (…) Puoi cominciare a ritenerti veramente intelligente sulla base dello stato d’animo in cui decidi di affrontare le circostanze difficili. Nella vita, tutti abbiamo da combattere grosso modo le stesse battaglie. A meno di non vivere avulsi da un qualsiasi contesto sociale, tutti incontriamo difficoltà che si assomigliano. Disaccordi, conflitti, compromessi, fanno parte di ciò che si intende per appartenere al genere umano. E anche il denaro, la vecchiaia, la malattia, la morte, le catastrofi naturali, le disgrazie, sono tutti eventi che pongono dei problemi a praticamente tutti gli esseri umani. Malgrado tali eventi, però, alcuni riescono ad evitare l’abbattimento e l’infelicità paralizzanti; altri invece crollano, cadono nell’inerzia, o vittime di un «esaurimento». Quelli che riconoscono che i problemi fanno parte della condizione umana, e che non misurano la felicità dall’assenza di problemi, sono gli esseri più intelligenti che si conoscano, e sono anche i più rari. Puoi cominciare a ritenerti veramente intelligente sulla base dello stato d’animo in cui decidi di affrontare le circostanze difficili. Nella vita, tutti abbiamo da combattere grosso modo le stesse battaglie. A meno di non vivere avulsi da un qualsiasi contesto sociale, tutti incontriamo difficoltà che si assomigliano. Disaccordi, conflitti, compromessi, fanno parte di ciò che si intende per appartenere al genere umano. E anche il denaro, la vecchiaia, la malattia, la morte, le catastrofi naturali, le disgrazie, sono tutti eventi che pongono dei problemi a praticamente tutti gli esseri umani. Malgrado tali eventi, però, alcuni riescono ad evitare l’abbattimento e l’infelicità paralizzanti; altri invece crollano, cadono nell’inerzia, o vittime di un ‘‘esaurimento”. Quelli che riconoscono che i problemi fanno parte della condizione umana, e che non misurano la felicità dall’assenza di problemi, sono gli esseri più intelligenti che si conoscano, e sono anche i più rari.”

COMMENTO: Wayne Dyer nel suo più famoso libro “Le vostre zone erronee” poneva al lettore alcune domande per far sondare ad ognuno la propria capacità di scegliere la felicità al posto di una vita fatta di paure di sbagliare o dl giudizio altrui. Rispondere positivamente ad esse, secondo Wayne Dyer, starebbe ad indicare la padronanza di noi stessi che abbiamo. Tra queste domande troviamo: le tue motivazioni vengono, più che dall’esterno, da dentro di te?; sei tu a stabilire le tue regole di condotta?; ti sai accettare così come sei, e sai fare a meno di lamentarti?;sei uno che agisce, che fa, o uno che critica?;sei libero da costante senso di colpa?;sai dare e ricevere amore?;hai imparato dai tuoi errori?

Wayne Dyer nutriva la convinzione che l’autostima è la qualità fondamentale in grado di farci ottenere il meglio da noi stessi. Il modo migliore per svilupparla è quello di toglierci di dosso il timore del fallimento. Bisogna provare sempre a fare ciò che riteniamo sia importante per noi senza la paura di sbagliare dal momento che non esiste un modello o manuale per essere noi stessi. Pur fallendo avremo comunque ottenuto qualcosa: è dagli errori e solo da questi che possiamo apprendere qualcosa. Inoltre, secondo Wayne Dyer, l’autostima rimane spesso bassa perché ci preoccupiamo troppo di ciò che gli altri pensano, tanto da prendere decisioni anche importanti rincorrendo l’accettazione sociale o evitando il rifiuto e la disapprovazione. Così facendo per Wayne Dyer  non riuscirema mai ad essere noi stessi e non sperimenteremo mai la vera libertà che si ha solo quando le opinioni degli altri smettono di influenzare le nostre scelte..

Wayne Dyer, Le vostre zone erronee. Universale BUR, Rizzoli.

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Emozioni positive e felicità

Le emozioni positive sono la via di accesso alla felicità che, a sua volta, favorirà successo e risultati nella nostra vita. Dunque la prospettiva che vuole che sia il successo a generare la felicità viene completamente ribaltata… Shawn Achor, “Il vantaggio della felicità”, Edizioni “Scuola di Palo Alto”

Per innumerevoli generazioni siamo stati portati a credere che la felicità orbitasse intorno al successo, che, se lavoriamo sodo, avremo successo e solo allora saremo felici. Il successo doveva essere il punto fermo nell’universo del lavoro e la felicità era pensata per ruotargli attorno. Ora, grazie ai progressi nel campo in espansione della Psicologia Positiva, stiamo imparando che è vero il contrario. Quando siamo felici – cioè quando la nostra mentalità e il nostro umore sono positivi – siamo più intelligenti, più motivati e, quindi, otteniamo un successo maggiore. La felicità è il fulcro e il successo le ruota attorno. Sfortunatamente, malgrado decenni di ricerche che ci illustrano come stanno davvero le cose, molte aziende e i loro leader rimangono ostinatamente attaccati al vecchio modo – errato – di pensare. Coloro che detengono l’autorità e il potere continuano a dirci che se oggi lavoriamo sodo avremo successo e, di conseguenza, saremo più felici, in un futuro più o meno vicino. Mentre siamo impegnati a raggiungere i nostri obiettivi, la felicità è quasi irrilevante, oppure rappresenta un lusso di cui possiamo facilmente fare a meno o una ricompensa che può essere guadagnata solo dopo una vita di fatica e sacrifici. Alcuni la considerano addirittura una debolezza, un sintomo che non ci stiamo dando da fare abbastanza. (…)

Continua a leggere su: Shawn Achor, “Il vantaggio della felicità”, Edizioni “Scuola di Palo Alto”

Leggi altro articolo: La felicità vuole il vuoto

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La felicità vuole il vuoto

La felicità ha una unica fonte: una mente libera da identità, libera dal passato, libera dai ricordi, libera dalle intenzioni e dalle spiegazioni.. Raffaele Morelli con la sua consueta leggerezza ci introduce a ciò che richiede una vera ricerca de la felicità. Raffaele Morelli, “Il manuale de la felicità”, Mondadori

Molti mi chiedono cosa fare quando stanno male, quando la loro vita è tormentata, quando si sentono insicuri e infelici. Il dolore non è fatto per durare: quello che lo tiene in vita è la nostra mentalità. Occorre chiedersi sempre: “Sto soffrendo perché mi tocca, perché è inevitabile, oppure è la mia mentalità rigida, pietrificata, morta, che tiene in vita degli attaccamenti che devono morire, tramontare, per lasciar spazio alle doglie del parto della nuova persona che verrà, che vuole nascere?”. Se rimani legato al passato, se lo rievochi nel pensiero, coltivi il dolore e lo mantieni vivo. Perciò il taoismo dell’antica Cina, pensiero tra i più profondi che l’umanità abbia conosciuto, praticava l’arte dell’oblio: dobbiamo dimenticare, distrarci, e non certo stare a rimuginare sui disagi cercando di capirli, di spiegarli ricollegandoli al nostro passato. Stare con me stesso senza avere niente da dirmi, senza parole, ogni giorno un po’ di più. Il silenzio interiore diventa così l’energia che ci cura, che spazza via l’identità e ci rende fluidi, flessibili, liberi. Le sofferenze nascono soprattutto dalla nostra resistenza a diventare fluidi come l’acqua. Quando c’è un disagio dobbiamo essere lì a guardarlo, a percepirne la presenza, a sentire il dolore che ci trasmette, in quale parte del corpo si riflette. Il dolore viene per annientare la nostra identità, la definizione che diamo di noi stessi. Scuote le nostre certezze consolidate, rimettendo in circolo le nostre energie profonde, che riprendono a scorrere, trascinando via le abitudini, le spiegazioni, i ragionamenti…

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Leggi altro articolo su la felicità: Le 4 trappole della felicità

Leggi piccola guida su: Come essere felici

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Svuotare la mente per essere felici

Svuotare la mente vuol dire lasciare che le cose che ci affannano scorrano via. Svuotare la mente significa non trattenere i pensieri negativi e i dolori. Svuotare la mente è essere come l’acqua, non attaccarci alle cose finite. Svuotare la mente è un prerequisito essenziale per la strada della felicità. Raffaele Morelli, “Il manuale della felicità”, Mondadori

Molti mi chiedono cosa fare quando stanno male, quando la loro vita è tormentata, quando si sentono insicuri e infelici. Il dolore non è fatto per durare: quello che lo tiene in vita è la nostra mentalità. Occorre chiedersi sempre: “Sto soffrendo perché mi tocca, perché è inevitabile, oppure è la mia mentalità rigida, pietrificata, morta, che tiene in vita degli attaccamenti che devono morire, tramontare, per lasciar spazio alle doglie del parto della nuova persona che verrà, che vuole nascere?”. Se rimani legato al passato, se lo rievochi nel pensiero, coltivi il dolore e lo mantieni vivo. Perciò il taoismo dell’antica Cina, pensiero tra i più profondi che l’umanità abbia conosciuto, praticava l’arte dell’oblio: dobbiamo dimenticare, distrarci, e non certo stare a rimuginare sui disagi cercando di capirli, di spiegarli ricollegandoli al nostro passato. Stare con me stesso senza avere niente da dirmi, senza parole, ogni giorno un po’ di più. Il silenzio interiore diventa così l’energia che ci cura, che spazza via l’identità e ci rende fluidi, flessibili, liberi. Le sofferenze nascono soprattutto dalla nostra resistenza a diventare fluidi come l’acqua. Quando c’è un disagio dobbiamo essere lì a guardarlo, a percepirne la presenza, a sentire il dolore che ci trasmette, in quale parte del corpo si riflette. Il dolore viene per annientare la nostra identità, la definizione che diamo di noi stessi. Scuote le nostre certezze consolidate, rimettendo in circolo le nostre energie profonde, che riprendono a scorrere, trascinando via le abitudini, le spiegazioni, i ragionamenti…

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Leggi altro articolo: Le quattro trappole verso la felicità

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infelicità 2

Infelicità e abitudini

Felicità e infelicità cos’è che determina questi due stati. Come sottrarsi all’infelicità o comunque come non aggravare situazioni avverse. Cosa c’entrano le abitudini con l’infelicità e quale strategia utilizzare per sfuggire l’infelicità. Come la nostra infelicità può dipendere da noi stessi. Maxwell Maltz, Psicocibernetica, Astrolabio

Ho notato che una delle cause più comuni della infelicità dei miei pazienti consiste nel fatto che cercano di vivere sul piano di un pagamento differito, non vivono cioè, né godono oggi della vita, ma aspettano sempre un avvenimento futuro. Saranno felici quando si sposeranno, quando avranno un lavoro migliore, quando avranno finito di pagare la casa, quando i figli avranno terminato l’università, quando avranno portato a compimento una data cosa o quando avranno ottenuto una vittoria, ma invariabilmente vengono delusi. La felicità è un abito, un atteggiamento mentale, e se non si impara e non se ne fa pratica nel presente non si avrà mai. Non deve essere condizionata alla soluzione di un problema esterno, poiché risolto un problema ne sorge immediatamente un altro. La vita è una serie di problemi. Se volete essere felici sempre, dovete esserlo per abitudine mentale, non ‘a causa’ di qualcosa. (…) «La maggior parte delle persone è felice nella misura in cui hanno deciso di esserlo», disse Abraham Lincoln. «La felicità è un fatto puramente interiore », disse lo psicologo Dott. Matthew N. Chappell. «Non è un prodotto degli oggetti, ma delle idee, dei pensieri, degli atteggiamenti che nascono e si sviluppano dalle attività proprie dell’individuo, indipendentemente dall’ambiente».

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Valori : la strada dell’appagamento

Scoprire i nostri valori e agire in modo da improntare ad essi la nostra vita e il vero modo per scoprire un profondo senso di appagamento personale. Avere degli obiettivi è fondamentale ma lo è ancora di più individuare i valori sottostanti ad essi. Russ Harriss, La trappola della felicità. Erickson

Nella società occidentale tendiamo a vivere concentrati sull’obiettivo. La vita è tutta orientata al successo e il successo in genere è definito in termini di status, ricchezza e potere. Di solito non siamo un granché in contatto con i nostri valori e per questo è facile che ci facciamo prendere da obiettivi che non sono veramente significativi per noi. Ad esempio, possiamo farci prendere dal guadagno o dalla carriera al punto da non dedicare tempo alla nostra famiglia — la classica sindrome di dipendenza dal lavoro. Una versione più distruttiva della vita concentrata sull’obiettivo si ha quando i nostri obiettivi ruotano attorno all’evitare pensieri o emozioni dolorosi. Come abbiamo già visto, questo conduce a enormi sofferenze che possono assumere la forma della dipendenza, di comportamenti controproducenti e di progressivo allontanamento da ciò che vogliamo veramente. (…) È vero, ci poniamo degli obiettivi, perché gli obiettivi sono essenziali per una vita appagante e gratificante, ma li definiamo alla luce dei nostri valori. Questo significa che gli obiettivi che perseguiamo sono molto più significativi per noi. E la vita stessa diventa molto più gratificante. Viviamo più nel presente e apprezziamo quel che abbiamo. Così, andando avanti verso i nostri obiettivi, troviamo profonda soddisfazione nella vita com’è adesso. Prova a vederla così. Sui sedili posteriori di un’automobile ci sono due bambini. La mamma li sta portando a Disneyland, che si trova a tre ore di macchina. Uno dei due bambini ha un solo scopo: arrivare a Disneyland il prima possibile. Sta seduto sul bordo del sedile in uno stato di costante frustrazione. Ogni cinque minuti si lagna: «Siamo arrivati?», «Quanto manca?», «Sono stufo». Il secondo invece ha due obiettivi: arrivare a Disneyland il più velocemente possibile godersi il viaggio. Così guarda fuori dal finestrino, contempla i campi pieni di mucche e di pecore, osserva affascinato i camion giganteschi che, superati, sembrano diventare sempre più piccoli, saluta dal finestrino i passanti amichevoli. Non è frustrato. Vive nel momento presente, apprezzando il posto in cui si trova invece di pensare a dove non è ancora arrivato. Bene, se la macchina avesse un guasto a metà strada e i due bambini non arrivassero mai a Disneyland, quale dei due avrebbe fatto il viaggio più piacevole? E se a Disneyland ci arrivano, ovviamente tutti e due avranno una grande gratificazione — eppure soltanto uno di loro si sarà gustato il viaggio. Una vita concentrata sui valori sarà sempre più appagante di una concentrata sugli obiettivi, perché ti permette di apprezzare il viaggio anche quando si tratta di raggiungere i tuoi obiettivi personali.

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Leggi altro articolo di Russ Harriss: Le 4 trappole della felicità

I libri di Russ Harriss

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Felicità : le 4 trappole

Le trappole della felicità sono delle errate quanto diffuse convinzioni che, anziché aiutarci nel perseguire il raggiungimento della felicità, costituiscono un ostacolo verso questa metà. Conduciamo la nostra esistenza affidandoci a molte convinzioni inutili e inesatte a proposito della felicità – idee ampiamente accettate solamente perché «tutti sanno che è così». Tali convinzioni sembrano assolutamente sensate, ed è per questo che le incontriamo in quasi tutti i libri di auto-aiuto che abbiamo letto. Purtroppo, però, queste idee fuorvianti creano un circolo vizioso nel quale più cerchiamo di trovare la felicità, più soffriamo. E questa trappola psicologica è nascosta così bene che nulla ci fa sospettare di esserci dentro.
Russ Harris, La trappola della felicià. Erickson

Immagina per un momento che quasi tutto ciò che credi su come raggiungere la felicità sia in realtà inesatto, fuorviante o falso. E immagina che siano proprio queste tue convinzioni a farti sentire infelice. E se in realtà fossero proprio i nostri sforzi per trovare la felicità a impedirci di ottenerla? E se scoprissimo che quasi tutte le persone che conosciamo si trovano sulla stessa barca — compresi tutti gli psicologi, psichiatri e guru dell’auto-aiuto che affermano di possedere tutte le risposte? (…)
Nel mondo occidentale abbiamo oggi degli standard di vita più elevati che mai. Abbiamo cure mediche, cibo, condizioni abitative e un’igiene migliori; più denaro, più servizi di assistenza e un maggiore accesso all’istruzione, alla giustizia, ai viaggi, alle diverse forme di svago e alle opportunità di carriera. Di fatto, oggi la classe media vive meglio di una famiglia reale di non molto tempo fa. Eppure l’uomo di oggi non sembra molto felice. In libreria, i reparti dedicati all’auto-aiuto traboccano di libri su depressione, ansia, stress, problemi di relazione, varie dipendenze (fumo, alcol, shopping, ecc.) e altro ancora. Nel frattempo, alla televisione e alla radio gli «esperti» ci bombardano quotidianamente di consigli su come migliorare la nostra vita. Il numero degli psicologi, psichiatri, counselor della coppia e della famiglia, assistenti sociali e life coach cresce ogni giorno. Eppure, nonostante tanti aiuti e consigli, l’infelicità umana sembra non diminuire, ma al contrario crescere vertiginosamente! Non c’è qualcosa che non va in tutto questo?

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Leggi articolo: “Passato: istruzioni per rendersi infelici”
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Benessere psicologico

benessere psicologico

Il nostro benessere psicologico è strettamente correlato a quanto ci sentiamo soddisfatti di noi, a quanto siamo contenti di noi.
Esistono alcune indicazioni per provare a sperimentare un senso di soddisfazione che non sia semplicemente determinato dalle contingenze della vita ma che scaturisca da una più profonda sensazione di “pienezza”.
I principi che suggerisce il Dalai Lama per il benessere psicologico non sono il frutto della ricerca scientifica ma provengono da una antica e umanistica saggezza, in grado di farci recuperare un corretto rapporto con noi stessi, con gli altri e con la realtà intorno a noi.

• Tieni sempre conto del fatto che un grande amore e dei grandi
risultati comportano un grande rischio.
• Quando perdi, non perdere la lezione.
• Segui sempre le 3 “R”: Rispetto per te stesso. Rispetto per gli
altri. Responsabilità per le tue azioni.
• Ricorda che non ottenere quel che si vuole può essere talvolta
un meraviglioso colpo di fortuna.
• Impara le regole, affinché tu possa infrangerle in modo
appropriato.
• Non permettere che una piccola disputa danneggi una grande
amicizia.
• Quando ti accorgi di aver commesso un errore, fai
immediatamente qualcosa per correggerlo.
• Trascorri un po’ di tempo da solo ogni giorno.
• Apri le braccia al cambiamento, ma non lasciar andare i tuoi
valori.
• Ricorda che talvolta il silenzio è la migliore risposta.
• Vivi una buona, onorevole vita, di modo che, quando ci
ripenserai da vecchio, potrai godertela una seconda volta.
• Un’atmosfera amorevole nella tua casa dev’essere il fondamento
della tua vita.
• Quando ti trovi in disaccordo con le persone a te care,
affronta soltanto il problema attuale, senza tirare in ballo il
passato.
• Condividi la tua conoscenza. È un modo di raggiungere
l’immortalità.
• Sii gentile con la Terra.
• Almeno una volta l’anno, vai in un posto dove non sei mai stato
prima.
• Ricorda che il miglior rapporto è quello in cui ci si ama di
più di quanto si abbia bisogno l’uno dell’altro.
• Giudica il tuo successo in relazione a ciò a cui hai dovuto
rinunciare per ottenerlo.

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