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Donne dipendenti: come riconoscersi?

Le donne che amano troppo in genere tendono a vivere relazioni difficili con il proprio partner. Queste donne giustificano a se stesse queste scelte problematiche in molte maniere per non ammettere a se stesse di non sapere mettere fine a questi rapporti. Esistono alcune cause e caratteristiche che predispongono tali donne a questi comportamenti. In parte si tratta di variabili che si rifanno alle famiglie d’origine di queste donne, in parte ad atteggiamenti mentali che tali donne continuano a portare avanti. Robin Norwood, “Donne che amano troppo”, Feltrinelli

É importante capire che tutte le famiglie disturbate hanno in comune l’incapacità di discutere la radice dei problemi. Magari vengono discusse altre questioni, spesso fino alla nausea, che per lo più servono solo a coprire il segreto, il problema reale, che rimane nascosto, ed è il vero motivo delle disfunzioni della famiglia. È il grado di segretezza, l’incapacità di parlare dei problemi veri, più che la loro gravità, a determinare le disfunzioni della famiglia e la serietà dei danni che i suoi membri subiscono. E una famiglia disturbata quella in cui ogni membro ha un suo ruolo fisso, e la comunicazione è rigidamente limitata alle espressioni che si adattano a questi ruoli. Nessun membro è libero di esprimere pienamente le sue esperienze, i desideri, i bisogni e i sentimenti, ma deve limitarsi a recitare la sua parte, in conformità a quella che recitano gli altri componenti della famiglia. In tutte le famiglie esistono dei ruoli ma, con il cambiare delle circostanze, anche i vari membri devono cambiare e adattarsi alle novità perché la famiglia resti sana. Così il tipo di cure materne appropriate per un bambino di un anno sarà del tutto inopportuno per un tredicenne; anche il ruolo materno deve cambiare per adattarsi alla realtà. Nelle famiglie disturbate, molti aspetti importanti della realtà vengono negati, e i ruoli restano rigidi. Quando nessuno può discutere quello che riguarda un singolo membro della famiglia o la famiglia nel suo insieme, quando questi discorsi sono proibiti implicitamente (se si cambia argomento) o esplicitamente (“Noi non parliamo di queste cose!”), si impara a non credere alle proprie percezioni e ai propri sentimenti. Poiché la nostra famiglia nega la nostra realtà, cominciamo a negarla anche noi.

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Dee, donne e psicologia femminile

Le dee di cui parla la mitologia greca rappresentano ognuna l’archetipo di un modo in cui la femminilità può manifestarsi e uno spunto interessante per tracciare il modello di una psicologia del femminile. Jean Bolen, “Le dee dentro le donne”, Astrolabio

La maggior parte di noi ha studiato le divinità dell’Olimpo a scuola e ne ha veduto statue e dipinti. I romani adoravano le stesse divinità dei greci, chiamandole con nomi latini. Gli abitanti dell’Olimpo possedevano qualità molto umane: modi di agire, reazioni emotive, sembianti e mitologia che li riguardano ci forniscono modelli che corrispondono a comportamenti e atteggiamenti umani. Essi ci sono familiari anche perché sono archetipi, ossia rappresentano modelli di esistenza e di comportamento che riconosciamo dall’inconscio collettivo di cui siamo tutti partecipi.  Le divinità più famose erano dodici: sei maschili: Zeus, Poseidone, Ade, Apollo, Ares, Efesto, e sei femminili: Estia, Demetra, Era, Artemide, Atena e Afrodite. Estia (dea del focolare) fu sostituita da Dioniso (dio del vino), modificando così l’equilibrio maschile/femminile e portando gli dei a sette e le dee a cinque. Gli archetipi delle divinità femminili che descriverò in questo libro sono le sei dee dell’Olimpo [Estia, Demetra, Era, Artemide, Arena e Afrodite) con l’aggiunta di Persefone, la cui mitologia è inseparabile da quella di Demetra. Ho poi suddiviso queste sette dee in tre categorie: le dee vergini, le dee vulnerabili e le dee alchemiche (o portatrici di trasformazione). Le dee vergini erano già classificate insieme nella Grecia antica. Le altre due categorie sono una mia scelta. Modalità di coscienza, ruoli privilegiati e fattori motivanti sono ciò che contraddistingue ogni gruppo. Anche l’atteggiamento verso gli altri, il bisogno di attaccamento e l’importanza attribuita ai rapporti sono palesemente diversi da gruppo a gruppo. Affinché la donna possa amare profondamente, lavorare in maniera significativa ed essere sensuale e creativa, occorre che nella sua vita trovino in qualche modo espressione le dee di tutte e tre le categorie.

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Uomini e donne a confronto

Uomini e donne due universi paralleli. Uomini e donne che dimenticano le loro differenze e vivono in una difficile sintonia a due. Entrambi potrebbero ricordarsi e apprendere a parlare ciascuno la lingua dell’altro per comprendersi meglio. Maschi e femmine che hanno dimenticato di venire da “pianeti diversi” e che, in questo modo, avvelenano i loro rapporti. John Gray, Gli uomini vengono da Marte le donne da Venere. Sonzogno

Immaginate che gli uomini vengano da Marte e le donne da Venere. Un giorno di molto tempo fa, guardando nei loro telescopi, i marziani scoprirono le venusiane. Questo bastò a risvegliare in loro sentimenti fino a quel momento sconosciuti. Si innamorarono e in tutta fretta inventarono i viaggi spaziali, raggiungendo così Venere. Le venusiane accolsero i marziani a braccia aperte. Avevano sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato e i loro cuori si aprirono a un amore mai provato prima. L’amore tra le venusiane e i marziani aveva una qualità magica. Provavano grande piacere nello stare insieme, nel fare le cose insieme, nel dividere tutto. Sebbene originari di mondi diversi, apprezzavano le reciproche differenze. Dedicarono mesi a studiarsi, esplorarsi e apprezzare i rispettivi bisogni, preferenze e modi di comportamento. Per anni andarono d’amore e d’accordo. Poi decisero di raggiungere la Terra. All’inizio tutto era bellissimo. Ma poi gli effetti dell’atmosfera terrestre cominciarono a farsi sentire e una mattina al risveglio tutti si scoprirono affetti da un particolare tipo di amnesia… Sia i marziani sia le venusiane dimenticarono di provenire da mondi diversi e di essere quindi per forza differenti. In una sola mattinata tutto quello che avevano imparato venne cancellato dalla loro memoria. E da quel giorno uomini e donne sono vissuti in conflitto. Poiché ignorano le differenze esistenti fra loro, uomini e donne sono condannati a vivere in stato di guerra. Di solito ci sentiamo arrabbiati o frustrati nei confronti dell’altro sesso perché abbiamo dimenticato questa importante verità. Ci aspettiamo che i rappresentanti del sesso opposto siano simili a noi. Ci piacerebbe che “volessero ciò che noi vogliamo” e “sentissero come sentiamo noi.” Erroneamente abbiamo dato per scontato che se i nostri partner ci amano, reagiranno e si comporteranno secondo certi schemi: proprio quelli che adottiamo noi quando amiamo qualcuno. Un atteggiamento destinato a scontrarsi continuamente con la realtà e che ci impedisce di comunicare le nostre differenze. Erroneamente gli uomini si aspettano che le donne pensino, comunichino e reagiscano come fanno gli uomini; erroneamente, le donne si aspettano che gli uomini sentano, comunichino e reagiscano come fanno le donne. Abbiamo dimenticato che uomini e donne sono intrinsecamente diversi e il risultato è che i nostri rapporti sono contraddistinti da conflitti del tutto superflui.

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Maternità e desiderio femminile

La maternità non deve risolvere completamente il desiderio della madre nella cura del figlio. La maternità dovrebbe contemplare anche quel desiderio della madre che è altro rispetto alla fusione con il proprio figlio. È proprio questo “altro desiderio” che garantisce alla donna di non cedere all’imposizione “patriarcale” di una femminilità idealizzata nella maternità. Massimo Recalcati, nel solco dell’insegnamento lacaniano, ci parla del “desiderio della madre”.
Massimo Recalcati, Le mani della madre. Feltrinelli

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La figura più decisiva della madre è quella del suo desiderio, del desiderio della madre. Questa figura è assente nel modello contenuto-contenitore attraverso il quale molti psicoanalisti, soprattutto di scuola anglosassone, hanno voluto interpretare il rapporto madre (contenitore) e bambino (contenuto). Al cuore di questo modello c’è la figura della madre come contenitore della vita del figlio; contenitore che deve saper offrire al figlio un ambiente sicuro e affidabile, bonificato dall’angoscia, entro il quale il figlio stesso possa crescere positivamente.
Con il riferimento al “desiderio della madre” (…) non si tratta tanto di negare l’importanza della dimensione costante e affidabile della presenza della madre, quanto piuttosto di mostrare che, per essere una madre davvero “sufficientemente buona”, è indispensabile che il desiderio della donna che è diventata madre non si risolva mai tutto in quello della madre. Ecco il punto chiave: la differenza, la discontinuità della donna dalla madre. Per questa ragione Lacan adotta l’espressione “desiderio della madre” (…) e ci sollecita, per cogliere l’efficacia o la difficoltà di una madre, ad affrontare il problema della sessualità femminile: come in quella donna che diviene madre si è mantenuto, o meno, il desiderio della donna in quanto inesauribile in quello della madre? (…) Se la madre può essere soddisfatta di avere i propri bambini, la donna indica quella parte del desiderio della madre che resta giustamente insoddisfatto. Il fatto che nella madre appaia la donna è una salvezza sia per il bambino che per la madre stessa. Quando la madre cede alla collera e all’irrequietezza è, molto spesso, perché la donna rigetta il suo sacrificio avanzando richieste irriducibili a quelle della maternità.

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Video incontro Massimo Recalcati su “Le mani della madre”
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Uomo e donna : coppia o diade

Uomo e donna ovvero due psicologie che ancora oggi faticano a capirsi e a integrarsi dando origine a un vero rapporto di coppia. Aldo Carotenuto ci spiega la debolezza della psicologia maschile e l’analfabetismo relazionale che impedisce un vero incontro tra uomo e donna.
Aldo Carotenuto, L’anima delle donne. Bompiani

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L’universo femminile è qualcosa di più di una delle due diverse possibilità dell’esistenza, ne costituisce il presupposto. Il senso della vita è un concetto astratto e relativo, non sovrapponibile a quello di normalità o di verità, ma paragonabile a una luce che brilla nel buio fungendo da punto di riferimento. Ognuno di noi possiede ciò che si può definire come una “personale visione della vita”, ma esistono denominatori comuni che determinano una similarità di esigenze e bisogni. È innegabile che la nostra esistenza sia costellata di rapporti e dal confronto costante con l’Altro, una dialettica fondamentale tanto per il mondo psichico femminile che per quello maschile. Uno dei tanti modi per far fronte alla sofferenza umana è proprio il rapporto interpersonale inteso come la possibilità di entrare in contatto con l’alterità, con ciò che è diverso da noi ma al contempo così necessario da rendersi indispensabile. Maschile e femminile sono i due estremi — differenziati ma nonostante ciò tra loro connessi — che delimitano la nostra possibilità di essere, ed è proprio l’essenzialità dell’uno per l’altro a conferire senso alla nostra esistenza.
Nonostante che il termine “rapporto” sia oggi abusato e supersfruttato, in realtà non esiste una conoscenza approfondita e completa di questo concetto. Uomo e donna si incontrano, instaurano legami e relazioni, spesso si sposano e hanno dei figli, e in ogni caso danno vita a ciò che dovrebbe definirsi “coppia” ma che, in realtà, altro non è se non una diade. La differenza che rende questi due termini non sovrapponibili è enorme, giacché per dar vita a una diade non sono necessari sentimenti autentici e profondi, non è indispensabile un coinvolgimento emotivo intenso, e lo stesso dicasi per il desiderio di dare senza aspettarsi nulla in cambio. La coppia, invece, è tutto questo e molto di più, è condivisione della vita, di idee e valori, è un volere affrontare insieme a un’altra persona il cammino dell’esistenza.

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Amare troppo : dipendenze affettive

Amare troppo, ossia le dipendenze affettive femminili- Robin Norwood nel suo classico “donne che amano troppo” descrive la forma che può assumere l’amore quando anziché essere un rapporto che fa crescere, diventa una sorta di droga.
Robin Norwood, Donne che amano troppo. Feltrinelli

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Quando essere innamorate significa soffrire, vuol dire amare troppo. Quando nella maggior parte delle nostre conversazioni con le amiche intime parliamo di lui, dei suoi problemi, di quello che pensa, dei suoi sentimenti, stiamo amando troppo. Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza, o li consideriamo conseguenze di un’infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo. Quando leggiamo un saggio divulgativo di psicoanalisi e sottolineiamo tutti i passaggi che potrebbero aiutare lui, stiamo amando troppo. Quando non ci piacciono il suo carattere, il suo modo di pensare e il suo comportamento, ma ci adattiamo pensando che se noi saremo abbastanza attraenti e affettuose lui vorrà cambiare per amor nostro, stiamo amando troppo.
Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo. A dispetto di tutta la sofferenza e l’insoddisfazione che comporta, amare troppo è un’esperienza tanto comune per molte donne che quasi siamo convinte che una relazione intima debba essere fatta così. Quasi tutte abbiamo amato troppo almeno una volta, e per molte di noi questo è stato un tema ricorrente di tutta la vita. Alcune si sono lasciate ossessionare tanto dal pensiero del loro partner e della loro relazione, da riuscire appena a sopravvivere.
In questo libro analizzeremo a fondo le ragioni per cui tante donne in cerca di qualcuno che voglia amarle sembrano invece destinate inevitabilmente a trovare dei partner pericolosi e incapaci di affetto. E analizzeremo perché, anche dopo aver capito che una relazione non soddisfa i nostri bisogni, abbiamo tante difficoltà a troncarla. Vedremo che “amare” diventa “amare troppo” quando abbiamo un partner incompatibile con i nostri sentimenti, che non si cura di noi, o non è disponibile, eppure non riusciamo a lasciarlo: in realtà lo desideriamo, ne abbiamo bisogno sempre di più. Arriveremo a capire come il nostro desiderio di amore, il nostro struggimento, il nostro stesso amare diventa una dedizione, una specie di droga.

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Elenco e di Centri e associazioni antiviolenza
Leggi: Amore elogio del “per sempre”