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la rabbia

La rabbia un’emozione tossica

La rabbia è un’emozione negativa che è possibile vedere in azione in ognuno di noi in ogni momento. Anche se riteniamo che sia “spontaneo” manifestare la rabbia e, dunque, che essa sia un’emozione contro la quale non possiamo fare nulla, in realtà si tratta di una considerazione sbagliata che ha come unico scopo quella di autorizzarci a manifestarla. Cominciamo a pensare che le manifestazioni della rabbia possono anche essere controllate e che questo va a vantaggio non solo della nostra salute ma anche dei nostri rapporti con gli altri…

“E fintanto che pensi che l’ ira fa parte della natura umana, hai una certa qual ragione per accettarla e non farci nulla. Se decidi di conservarla, sfogala pure, la tua ira, manifestala in modi possibilmente non distruttivi. Ma comincia a pensarti capace di apprendere a ragionare diversamente, quando sei frustrato, in maniera che all’ira paralizzante possano sostituirsi emozioni che meglio ti ripaghino. Fastidio, irritazione, disappunto, è quasi certo che continuerai a provarne, perché il mondo non sarà mai come lo vuoi tu. Ma l’ira, questa perniciosa reazione emotiva agli ostacoli, può essere eliminata. Può darsi che tu prenda le difese dell’ ira, perché ti fa ottenere ciò che vuoi. Bene, osserva più attentamente. (…) Nella tua mente corre la frase nevrotica: “Perché non riesci ad essere di più come me? A quest’ora, invece di arrabbiarmi, ti vorrei bene”. Ma gli altri non saranno mai come li vorresti sempre. Le persone e le cose non vanno quasi mai come vorresti. Così va il mondo, e le probabilità che esso cambi sono zero. Ogni volta, dunque, che scegli l’ira quando ti scontri con qualcuno o qualcosa che t’indispone, la tua decisione è quella di recarti danno e lasciarti immobilizzate dalla realtà. Ora, ciò è veramente sciocco. Adirarsi per cose che non c’è verso di cambiare! Anziché scegliere l’ ira, potresti cominciare a pensare che gli altri hanno il diritto di essere diversi da come li vorresti. Può darsi che ciò non ti piaccia, ma non conviene che ti ci arrabbi. A te la scelta: o l’ira, o una nuova mentalità che ti aiuti ad eliminare il bisogno di adirarti. (…) Si potrà anche manifestare un’ira contenuta, ma il fine ultimo è quello di imparare a ragionare in modi che non ingenerino ira dicendosi, ad esempio: “Se vuol fare il deficiente, io non intendo arrabbiarmi. È lui, non io, che fa lo stupido”, oppure “Le cose non vanno come io penso che dovrebbero. Non mi va, ma non ho intenzione di restarne paralizzato”. Il primo passo consiste nell’apprendere a manifestare ira con nuovi e coraggiosi modi di comportarsi. In seguito, a forza di ragionare in maniera diversa, tale che consenta di trasferire dall’esterno all’interno il fuoco della propria salute mentale, si raggiungerà il traguardo rifiutandosi di considerarsi proprietari del comportamento altrui. Tu puoi apprendere a non conferire a idee e comportamenti altrui il potere di farti adirare. Con un’alta stima di te stesso, e rifiutando di lasciarti influenzare dagli altri, non ti farai prendere dall’ira e non ti recherai danno.”

COMMENTO – La rabbia è un’emozione negativa ed è tale non perché sbagliamo a sentirla in noi ma perché le sue manifestazioni esterne inquinano la nostra mente e i le nostre relazioni con gli altri. Siamo portati a ritenerla un’emozione “naturale” è quindi questo ci autorizza a esprimerla senza cercare di gestirla o di controllarla. Eppure l’espressione della rabbia non è mai così benefica: ci lascia sempre una sensazione sgradevole per noi stessi per esserci lasciati andare ad essa; ci rende nel momento in cui la manifestiamo completamente privi di consapevolezza, arrivando a compiere azioni o a dire cose che altrimenti non vorremmo (per capire questo è sufficiente guardare le persone arrabbiate e all’effetto che hanno su di noi); ha effetti distruttivi sugli altri. Non siamo costretti a manifestare la nostra rabbia anche se essa è un sentimento che possiamo sperimentare. Così se siamo convinti degli effetti negativi che la sua esternazione comporta, possiamo apprendere a evitarne l’espressione. Inizialmente è importante voler fare questo, dunque imporci di non manifestarla. Lo dobbiamo fare avendo maturato tale convincimento, altrimenti dopo un po’ di tempo, non facendocela più, la esploderemmo comunque fuori di noi. Dobbiamo essere convinti che sia un bene non cedere alla rabbia e che se riusciamo a fare questo ci saranno due conseguenze: raggiungeremo un maggiore controllo di noi stessi; daremo un minor poter agli eventi che accadono nella realtà esterna di agire su di noi. La nostra crescita personale sta anche nel comprendere che certi modi di essere risultano nocivi e che, quindi, è saggio evitarli.

Dyer Wayne, “Le vostre zone erronee”, BUR

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il senso di colpevolezza

Il senso di colpevolezza

Il senso di colpevolezza è un vissuto che tutte le persone provano anche se per alcune di loro esso diventa una condizione ripetitiva e cronica che accompagna molto tempo della propria giornata. Vediamo insieme come il senso di colpa si manifesta e quali potrebbero essere i modi di sbarazzarsene per provare a vivere una vita più felice.

“Il senso di colpevolezza viene a far parte della struttura emozionale di un individuo principalmente in due modi. Nel primo, il senso di colpevolezza viene appreso in tenerissima età e persiste nell’adulto come residua reazione infantile. Nel secondo, l’adulto si autoimpone il senso di colpa per una infrazione a un codice al quale professa di credere.

Senso di colpevolezza residuoÈ la reazione emotiva scatenata da ricordi dell’infanzia. Le frasi che la producono sono una quantità. Hanno inciso sul bambina, e questi, divenuto adulto, ancora se le porta dentro. Tra queste frasi si annoverano ammonizioni quali: “Se lo fai un’altra volta, papà si arrabbia”. “Dovresti vergognarti (quasi intendendo che gli farebbe bene). “Ah, va bene! Allora sono solo tua madre!”. Le implicazioni contenute in queste frasi possono ancora ferire l’adulto che deluda il capoufficio o persone nelle quali egli ravvisi quasi dei genitori. Persiste il tentativo di conquistarsi il loro appoggio, e persiste altresì il senso di colpa se i tentativi falliscono. (…)

Senso di colpevolezza autoimposto – Questa seconda categoria comprende reazioni di colpa assai più tormentose delle prime. L’individuo è immobilizzato da cose che ha fatto di recente, ma che non sono necessariamente collegate alla sua infanzia. Si tratta del senso di colpevolezza che ci si autoimpone allorché si viola una norma o un codice morale da adulti. (…) Puoi dunque considerare il tuo senso di colpevolezza come una reazione a certi standard che ti sono stati imposti, per cui cerchi tuttora di compiacere una persona anche assente investita di autorità su di te; oppure come il risultato del tentativo (fallito) di essere all’altezza di certi standard che ti sei autoimposto, ma che in realtà non hai fatto tuoi se non a parole.”

COMMENTO – Per ognuno di noi è possibile provare a modificare il proprio atteggiamento nei rispetto a ciò che genera il senso di colpevolezza. La maggior parte delle motivazioni che generano in noi il senso di colpa derivano dalla particolare mentalità che abbiamo sviluppato riguardo i fatti della vita e al sistema di valori che la sostengono. Si tratta di qualcosa che abbiamo appreso o che ci è stato insegnato a volte senza che ne noi ne fossimo direttamente consapevoli. Per esempio, possiamo aver appreso a non essere indulgenti con noi stessi, a comportarci in maniera inflessibile riguardo a certi aspetti della vita. Spesso il senso di colpa è collegato al piacere, nel senso di qualcosa che non dovremmo provare  o farlo solo “con discrezione” perché se ne ha una idea sbagliata. È possibile imparare a gustare il piacere senza sentirsi in colpa e a considerarsi persone che sono in grado e possono fare tutto ciò che rientra nel proprio sistema di valori a patto che non arrechi danno a qualcuno. Allo stesso modo possiamo lavorare per non sentire un senso di colpevolezza nei casi in cui facciamo qualcosa che non ci piace e proprio per questo ci ripromettiamo di non farla mai più. Scopriremo così che il senso di colpa non serve e che ci tiene solo immobilizzati impedendoci di vivere liberamente la nostra vita. Di seguito quattro piccoli ma preziosi consigli di Wayne Dyer su come lavorare per debellare il senso di colpa.

  • “Cominciare a guardare al passato come a qualcosa di immutabile, malgrado i penosi stati d’animo che può suscitare. È finito! Non c’è senso di colpa che possa cambiarlo.”
  • “Cominciare ad accettare certe cose di te stesso che tu hai scelto ma che ad altri possono non piacere. (…) Una volta che non avrai più bisogno di essere approvato, sparirà il senso di colpa derivante da un comportamento che non reca approvazione.”
  • “Insegnare alle persone che tentano di manipolarti col senso di colpa, che sei perfettamente capace di far fronte al loro disappunto o delusione.”
  • “Riconsiderare il tuo sistema di valori. A quali valori credi profondamente? Quali, invece, dai solo a vedere di accettare? Elenca questi valori fittizi, e decidi di vivere all’altezza di un codice di valori morali determinato da te, non imposto da altri.”

Wayne Dyer, Le vostre zone erronee, BUR Rizzoli

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procrastinare

Procrastinare, l’arte di rimandare

Procrastinare vuol dire rimandare a domani ciò che non vogliamo fare oggi, mettendo come scusa a noi stessi e agli altri che non abbiamo tempo o che siamo troppo impegnati. In realtà procreastinare è un atto di profonda irresponsabilità verso noi stessi, oltre che un malsano atteggiamento per le sue conseguenze pratiche nella nostra vita.

“Le frasi che rivelano il sistema che permette al procrastinatore di mantenere il suo comportamento, sono: “Spero che le cose si aggiustino”, “Vorrei che le cose andassero meglio”, “Può darsi che si metta bene”. Sono la delizia di chi rimanda: coi suoi “forse” “spero” e “magari”, ha un buon motivo per non concludere nulla, adesso. Tutto il suo sperare e tutto il suo auspicare non sono che perdita di tempo, insipienza di chi vive nel mondo delle favole. Per quanto aspiri ed auspichi, non porta a termine nulla. Le sue son frasi che gli offrono la possibilità di non rimboccarsi le maniche e non applicarsi alle cose che aveva pur considerate abbastanza importanti da annoverarle fra le sue attività. Tu puoi compiere tutto ciò che stabilisci di fare. Sei forte, hai delle capacità e non sei nemmeno un tantino fragile. Se rimandi al futuro, è perché cerchi di evadere dalla realtà, cadi in preda al dubbio e all’illusione. Cedi per debolezza nel presente, e speri che in futuro le cose si mettano bene.”

COMMENTO: L’abitudine a procrastinare, oltre che per quei gravi casi in cui si manifesta in maniera patologica e invalidante, rappresenta una modalità di agire che coinvolge  un po’ tutti gli individui, rappresentando un aspetto estenuante dell’esistenza. Nelle situazioni più gravi, non c’è giorno in cui il procrastinatore compulsivo dica a se stesso: “Mi rendo conto che dovrei fare questa cosa adesso, ma la farò più avanti”. I più rassegnati sanno bene che la responsabilità del loro procrastinare è tutta loro; per molti altri, la maggioranza, la colpa di una simile condotta sta sempre in forze esterne: la stanchezza, un contrattempo o la mancanza di tempo, l’occasione non adatta. Eppure dobbiamo esserne certi che procrastinare è tutta responsabilità di chi attua questa strategia, così come lo sconforto che ne deriva. Infatti ci si potrebbe aspettare che l’atto di procrastinare generi un qualche benefici, invece nulla di tutto ciò, solo malessere, a volte rimpianti, altre volte rabbia verso se stessi. Rimandare è un atteggiamento sbagliato e pressoché universale dal momento che poche persone possono ammettere in tutta onestà di non rimandare mai niente. Come ricorda  Wayne Dyer: “ Benché a lungo andare si riveli dannoso, non vi è nulla di malsano nel comportamento che caratterizza questa, come del resto ogni altra, fascia erronea.” Ciò fa sì che tale comportamento sia ancora più insidioso, proprio perché largamente accettato socialmente. Naturalmente ci sono diversi gradi nell’abitudine a procrastinare: chi lo fa abitualmente e per ogni attività e chi solo occasionalmente. C’è poi anche chi rimanda ad una certa data e poi porta a termine il compito prima della scadenza. Anche in questo atteggiamento ammonisce Wayne Dyer “ può nascondersi una forma di autoinganno piuttosto comune. Se ti concedi un minimo assoluto di tempo per portare a termine un lavoro, puoi giustificare la sciatteria del risultato o un rendimento al di sotto del livello dell’eccellenza, dicendoti: “È che non ho avuto abbastanza tempo”. Ma di tempo ne hai quanto ne vuoi!”

Infine due piccoli consigli che, insieme ad altri, ci dà Wayne Dyer per contrastare l’abitudine a procrastinare.  “Elimina le parole “spero”, “vorrei” e “può darsi” dal tuo linguaggio. Sono altrettanti strumenti per rimandare. Se t’accorgi che s’infiltrano, sostituiscile con altre frasi. Cambia: “Spero che le cose si aggiustino”, in “Ora le sistemo io”; “Vorrei che le cose andassero meglio”, in “Ora faccio questo e questo, e mi sentirò risollevato”; “Può darsi che si metta bene” in “Lo sistemo io”. Il secondo: “Esamina attentamente il presente. Identifica esattamente che cos’è che stai evitando e affronta la paura di vivere a tutti gli effetti. Procrastinare equivale a sostituire alla pienezza del presente l’ansia intorno a una cosa che si vuole attuare in futuro. Se il futuro viene fatto diventare presente, l’ansia deve, per definizione, sparire.”

Wayne Dyer, Le vostre zone erronee. BUR

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Wayne Dyer

Wayne Dyer: felicità e intelligenza

Wayne Dyer, psicologo statunitense, ci fa ragionare sul fatto che non sempre l’intelligenza, comunemente intesa, apra la strada alla felicità. Secondo Wayne Dyer sono, al contrario, le persone che riescono nella vita a praticare la propria felicità ad essere veramente intelligenti…

“Rispondere di te stesso comporta che tu metta da parte alcuni miti assai diffusi. Ne apre l’elenco la nozione che l’intelligenza si misuri dalla capacità di risolvere problemi complessi, leggere, scrivere e far di conto a certi livelli, risolvere rapidamente equazioni astratte. Questo concetto di intelligenza ravvisa nell’istruzione formale e nella bravura libresca le vere misure della realizzazione personale. Esso stimola una sorta di snobismo intellettuale, che ha dato risultati demoralizzanti. Siamo arrivati al punto di ritenere che chi si è più distinto negli studi, chi è un cannone in una qualche disciplina scolastica (matematica, scienze), chi usa un ricco vocabolario, chi ha memoria per fatti superflui, chi è un divoratore di libri, sia «intelligente». (…) Se sei felice, se vivi ogni momento per tutto ciò onde vale la pena di viverlo, sei una persona intelligente. La capacità di risolvere un problema è un’utile aggiunta alla tua felicità; ma se tu sai che, pur essendo incapace di risolverlo, puoi sempre sceglierti la felicità o, quanto meno, rifiutarti di scegliere l’infelicità, allora sei intelligente. Sei intelligente perché detieni l’arma più efficace contro i «nervi a pezzi», o «esaurimento nervoso». (…) Puoi cominciare a ritenerti veramente intelligente sulla base dello stato d’animo in cui decidi di affrontare le circostanze difficili. Nella vita, tutti abbiamo da combattere grosso modo le stesse battaglie. A meno di non vivere avulsi da un qualsiasi contesto sociale, tutti incontriamo difficoltà che si assomigliano. Disaccordi, conflitti, compromessi, fanno parte di ciò che si intende per appartenere al genere umano. E anche il denaro, la vecchiaia, la malattia, la morte, le catastrofi naturali, le disgrazie, sono tutti eventi che pongono dei problemi a praticamente tutti gli esseri umani. Malgrado tali eventi, però, alcuni riescono ad evitare l’abbattimento e l’infelicità paralizzanti; altri invece crollano, cadono nell’inerzia, o vittime di un «esaurimento». Quelli che riconoscono che i problemi fanno parte della condizione umana, e che non misurano la felicità dall’assenza di problemi, sono gli esseri più intelligenti che si conoscano, e sono anche i più rari. Puoi cominciare a ritenerti veramente intelligente sulla base dello stato d’animo in cui decidi di affrontare le circostanze difficili. Nella vita, tutti abbiamo da combattere grosso modo le stesse battaglie. A meno di non vivere avulsi da un qualsiasi contesto sociale, tutti incontriamo difficoltà che si assomigliano. Disaccordi, conflitti, compromessi, fanno parte di ciò che si intende per appartenere al genere umano. E anche il denaro, la vecchiaia, la malattia, la morte, le catastrofi naturali, le disgrazie, sono tutti eventi che pongono dei problemi a praticamente tutti gli esseri umani. Malgrado tali eventi, però, alcuni riescono ad evitare l’abbattimento e l’infelicità paralizzanti; altri invece crollano, cadono nell’inerzia, o vittime di un ‘‘esaurimento”. Quelli che riconoscono che i problemi fanno parte della condizione umana, e che non misurano la felicità dall’assenza di problemi, sono gli esseri più intelligenti che si conoscano, e sono anche i più rari.”

COMMENTO: Wayne Dyer nel suo più famoso libro “Le vostre zone erronee” poneva al lettore alcune domande per far sondare ad ognuno la propria capacità di scegliere la felicità al posto di una vita fatta di paure di sbagliare o dl giudizio altrui. Rispondere positivamente ad esse, secondo Wayne Dyer, starebbe ad indicare la padronanza di noi stessi che abbiamo. Tra queste domande troviamo: le tue motivazioni vengono, più che dall’esterno, da dentro di te?; sei tu a stabilire le tue regole di condotta?; ti sai accettare così come sei, e sai fare a meno di lamentarti?;sei uno che agisce, che fa, o uno che critica?;sei libero da costante senso di colpa?;sai dare e ricevere amore?;hai imparato dai tuoi errori?

Wayne Dyer nutriva la convinzione che l’autostima è la qualità fondamentale in grado di farci ottenere il meglio da noi stessi. Il modo migliore per svilupparla è quello di toglierci di dosso il timore del fallimento. Bisogna provare sempre a fare ciò che riteniamo sia importante per noi senza la paura di sbagliare dal momento che non esiste un modello o manuale per essere noi stessi. Pur fallendo avremo comunque ottenuto qualcosa: è dagli errori e solo da questi che possiamo apprendere qualcosa. Inoltre, secondo Wayne Dyer, l’autostima rimane spesso bassa perché ci preoccupiamo troppo di ciò che gli altri pensano, tanto da prendere decisioni anche importanti rincorrendo l’accettazione sociale o evitando il rifiuto e la disapprovazione. Così facendo per Wayne Dyer  non riuscirema mai ad essere noi stessi e non sperimenteremo mai la vera libertà che si ha solo quando le opinioni degli altri smettono di influenzare le nostre scelte..

Wayne Dyer, Le vostre zone erronee. Universale BUR, Rizzoli.

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Ira : analisi di un’emozione rischiosa

L’ ira è possibile vederla in azione in ogni momento. Eppure anche se pensiamo che l’ ira sia un’emozione contro cui non possiamo fare nulla, in realtà si tratta solo di un’abitudine a non fare dell’altro… Dyer Wayne, “Le vostre zone erronee”, BUR

Hai la “miccia” troppo corta? Potresti allora accettare il fatto che l’ ira fa parte della tua vita. Ma riconosci almeno che con essa non si ottiene nulla? Alle volte, dopo aver perso la pazienza, ti sarai forse giustificato dicendo che “È semplicemente umano”, oppure “Se la tengo dentro e non mi sfogo, mi viene l’ulcera”. È probabile, però, che l’ira sia una parte di te che non ti piace. Inutile dire che non piace nemmeno agli altri. Non è vero che adirarsi sia “semplicemente umano”. Non hai alcun bisogno dell’ ira, ed essa non risponde ad alcuno scopo che abbia rapporto con la serenità e la soddisfazione di una persona. È una “zona erronea”, una sorta di influenza psicologica che affligge quanto l’influenza fisica. Cerchiamo di definire cosa s’intenda, qui, per “ira”. In questo capitolo il termine designa una reazione paralizzante che il soggetto vive ogni qualvolta le sue attese non vengono corrisposte. Assume la forma della sfuriata, dell’ostilità, della violenza fisica contro l’altra persona, e perfino del mutismo perverso. Non si tratta di essere semplicemente seccati o irritati. Ancora una volta, la parola-chiave è immobilità, paralisi. L’ ira è paralizzante, e di solito risulta dal volere che il mondo e la gente che ci vive siano diversi da come sono. L’ ira è una scelta, oltre che un’abitudine. È una maniera appresa di reagire alla frustrazione, comportandosi come non si vorrebbe. Portata agli estremi, l’ira è in realtà una forma di follia, se pazzo è colui che non controlla il proprio comportamento. Quando ti adiri e perdi il controllo, sei pertanto temporaneamente pazzo. L’ ira non rende. È debilitante. Sul piano fisiologico, provoca ipertensioni, ulcere, esantemi, cardiopatie, palpitazioni, insonnia, stanchezza. Sul piano psicologico, distrugge i rapporti affettivi, non esalta certo la comunicativa, determina senso di colpa e depressione e, in genere, è sempre un grosso inconveniente.

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senso di colpa 2

Senso di colpa : analisi e rimedi

Come si manifesta il senso di colpa? Quali sono i pensieri che lo sostengono? A cosa serve? E, soprattutto, come provare a sbarazzarsene. Wayne Dyer ci insegna come lavorare con i nostri inutili sensi di colpa per provare ad avere una vita più felice.
Wayne Dyer, Le vostre zone erronee, BUR Rizzoli

Siamo stati in molti a venire prescelti come vittime di una cospirazione, di un complotto non premeditato mirante a trasformarci in vere e proprie macchine da colpa. La macchina funziona nel modo seguente: qualcuno invia un messaggio destinato a rammentarti che, facendo o non facendo, dicendo o non dicendo una certa cosa, sei stato cattivo. Tu rispondi a quel messaggio contristandoti. Sei la macchina da colpa, un congegno strano, che cammina parla respira, e che reagisce con un senso di colpa ogni qualvolta le venga somministrato il combustibile appropriato. Se poi hai avuto un’immersione totale in una cultura come la nostra, che produce colpa, come macchina sei bene oliato. Come mai non hai respinto i messaggi di colpa e d’inquietudine che ti sono stati inviati in tutti questi anni? In gran parte per il motivo che, se non ti senti colpevole, ciò è considerato un “male”, e che non preoccuparsi è “inumano”. Tutto ciò ha a che fare col CUORE. Se qualcuno o qualcosa ti sta veramente a cuore, lo dimostri sentendoti colpevole per le cose terribili che hai commesso, oppure dando prova, visibilmente, di preoccuparti del futuro. È quasi come se tu dovessi dimostrare la tua nevrosi per guadagnarti l’etichetta di persona dotata di cuore.
Il senso di colpa è la più inutile di tutte le “zone” comportamentali. Di tutti gli sprechi di energia emozionale, è di gran lunga il maggiore. Perché? Ma perché, per definizione, ti senti paralizzato nel presente per una cosa che ha già avuto luogo: ciò che è stato, è stato, e nessun senso di colpa può mutarlo.

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