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la fragilità

La fragilità dentro e fuori di noi

La fragilità è parte profonda dell’esperienza umana, la contraddistingue con forza seppure spesso negata o vissuta senza consapevolezza. Eppure proprio la coscienza di questa fragilità apre l’essere umano non tanto ad un suo superamento ma ad una vita più piena, ad un essere superiore in grado di comprendere pienamente l’umanità che permea ognuno di noi.

“Come definire la fragilità nella sua radice fenomenologica? Fragile è una cosa (una situazione) che facilmente si rompe, e fragile è un equilibrio psichico (un equilibrio emozionale) che facilmente si frantuma, ma fragile è anche una cosa che non può essere se non fragile: questo essendo il suo destino. La linea della fragilità è una linea oscillante e zigzagante che lambisce e unisce aree tematiche diverse: talora, almeno apparentemente, le une lontane dalle altre. Sono fragili, e si rompono facilmente, non solo quelle che sono le nostre emozioni e le nostre ragioni di vita, le nostre speranze e le nostre inquietudini, le nostre tristezze e i nostri slanci del cuore; ma sono fragili, e si dissolvono facilmente, anche le nostre parole: le parole con cui vorremmo aiutare chi sta male e le parole che desidereremmo dagli altri quando siamo noi a stare male. Sono fragili, sono vulnerabili, esperienze di vita alle quali talora nemmeno pensiamo, come sono le esperienze della timidezza e della gioia, del sorriso e delle lacrime, del silenzio e della speranza, della vita mistica; ma ci sono umane situazioni di vita che ci rendono fragili, o ancora più fragili, dilatando in noi il male di vivere, e sono le malattie del corpo e quelle dell’anima, ma anche la condizione anziana quando sconfini, in particolare, negli abissi della malattia estrema: la malattia di Alzheimer. Sono situazioni di grande fragilità interiore che la vita, la noncuranza e l’indifferenza, e anche solo la distrazione e la leggerezza altrui, accrescono e straziano.”

COMMENTO – La fragilità nell’accezione più comune, soprattutto in una società e in una cultura come quella occidentale, è spesso sinonimo di debolezza; non solo ma viene considerata come inutile, frutto di immaturità e indice di disagio e di inconsistenza da parte dell’individuo. Considerazioni queste che non tengono conto del fatto che dietro alla fragilità ci sono valori come la sensibilità, la gentilezza o la delicatezza d’animo. Altre volte la fragilità porta con sé una grande capacità di intuizione che consente di immedesimarci più facilmente e con maggiore partecipazione con gli stati d’animo e le emozioni degli altri. Ma anche volendo soffermarci su significati in “negativo” della fragilità – su concetti come scarsa consistenza o durata , debolezza o  transitorietà e caducità – bisogna sottolineare quanto sia importante per ogni essere umano riconoscere e accettare anche questi aspetti “ombra” della vita che inevitabilmente rimandano alla precarietà e alla instabilità dell’esistenza. Rendersi conto anche di queste caratteristiche che accompagnano la nostra avventura nel mondo vuol dire imparare a spogliarci della tracotanza che colora le nostre giornate; vuol dire apprendere a dare ancora più valore al nostro vivere e a superare il superficiale attaccamento a valori inutili per acquisirne di più stabili e veramente in grado di dare sollievo rispetto a questo sentimento di noi stessi.

Anche nei rapporti interpersonali la fragilità gioca un ruolo determinante, non solo perché ci spinge a cercare negli altri quell’appoggio necessario nei momenti di crisi o di disagio. Come ricorda Eugenio Borgna c’è anche un contraltare a questa ricerca. “La coscienza della nostra fragilità, della nostra debolezza e della nostra vulnerabilità (sono definizioni, in fondo, interscambiabili) rende difficili e talora impossibili le relazioni umane: siamo condizionati dal timore di non essere accettati, e di non essere riconosciuti nelle nostre insicurezze e nel nostro bisogno di ascolto, e di aiuto. La nostra fragilità è radicalmente ferita dalle relazioni che non siano gentili e umane, ma fredde e glaciali, o anche solo indifferenti e noncuranti. Non siamo monadi chiuse, e assediate, ma siamo invece, vorremmo disperatamente essere, monadi aperte alle parole e ai gesti di accoglienza degli altri; e, quando questo non avviene, le dinamiche relazionali si fanno oscure e arrischiate: dilatando fatalmente le nostre fragilità e le nostre ferite, le nostre insicurezze e le nostre debolezze, le nostre vulnerabilità.”

Eugenio Borgna, La fragilità che è in noi. Einaudi

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la responsabilità

La responsabilità delle parole dette

La responsabilità è una questione scomoda specie quando investe l’argomento della valutazione delle parole che diciamo o scriviamo, così come delle parole che non vengono dette ma che avremmo potuto proferire. La responsabilità in questo ambito ci chiede di prevedere gli effetti del nostro parlare, al fine di modificare le parole rivolte agli altri e di correggerle basandoci proprio sulla previsione , in base a tale previsione di ciò che potrebbero procurare al nostro interlocutore. La riflessione su questo tema prende spunto proprio da una considerazione di Eugenio Borgna…

“Le risonanze emozionali alle parole che diciamo si rispecchiano nei volti e negli occhi, negli sguardi e nelle lacrime, di chi le ascolti; e questo aiuta le parole a essere più umane, e più luminose. Essere responsabili di questo, in famiglia, nella scuola, nelle quotidiane relazioni sociali, alla radio, alla televisione, nei social network, è dovere, e nondimeno quante volte ci si dimentica di pensare alle parole che si dicono: al peso umano e psicologico che anche una sola parola può avere. Certo, il mio non è un invito a selezionare le parole, a scegliere parola per parola, nella articolazione di un discorso, perché ovviamente verrebbero meno spontaneità e naturalezza, chiarezza e comunicatività. Sí, basterebbe tenere presenti questi problemi, e, se il nostro cuore è limpido e aperto all’ascolto, non correremmo questi pericoli, e saremmo testimoni di accoglienza e di comprensione del dolore dell’anima, e della gioia, che vivano nelle relazioni che dovremmo costruire ogni giorno: nel segno della speranza. Ovviamente, non illudiamoci sulla possibilità che questa esigenza di parole aperte alla accoglienza e alla speranza possa di solito ritrovare una qualche risonanza nelle parole della televisione, o dei social network. O almeno temo che sia così in molte circostanze della comunicazione televisiva e digitale.”

COMMENTO: In genere pensiamo che la responsabilità sia più attinente alle nostre azioni: il nostro materialismo imperante lega la nostra responsabilità al fare concretamente qualcosa verso qualcuno, trascurando la potenza e la forza della parola nel determinare in chi la riceve conseguenze a volte distruttive così come, per fortuna, anche di tipo rigenerativo. Spesso parliamo e basta, incuranti delle ripercussioni che il nostro “discorso” può avere sugli altri. Facciamo fatica ad avere cura e attenzione nella scelte delle parole che siano in grado di esprimere realmente ciò che pensiamo o sentiamo. Così come facciamo fatica a scegliere quelle parole in grado di corrispondere alle aspettative di chi ci ascolta, e di chi ci parla. Eppure come sottolinea Eugenio Borgna: “dovremmo sentirci responsabili di questo. Prendere coscienza di questi problemi è premessa alla ricerca di parole gentili e umane che aprano ponti fra noi e gli altri, fra gli altri e noi.”

La responsabilità che ci riguarda va, dunque, ben oltre le nostre azioni fino a comprendere ciò che diciamo in forma scritta o parlata. “(…) E allora come conoscere, e come scegliere, le parole che fanno del bene, e quelle che fanno del male, quelle che sono donatrici di speranza, e sono di aiuto agli altri, e quelle che non lo sono?” Sicuramente imparando per prima cosa ad ascoltare noi stessi e la nostra “umanità” perché è da lì, come in uno specchio, che possiamo trovare le parole adatte agli altri. Sono quelle che ci piacerebbe sentire per noi, quelle con cui ci piacerebbe essere accolti e ascoltati. Poi, in secondo luogo, dobbiamo apprendere a “vedere” il nostro interlocutore per cogliere le conseguenze del nostro “discorso” su di lui, per poter correggere le nostre parole e vederne i reali effetti. In entrambi i casi la responsabilità delle nostre parole si conquista con la sensibilità.

Eugenio Borgna, Responsabilità e speranza. Einaudi

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parole che curano

Parole che curano

Le parole che curano sono le parole che offriamo agli altri e che arrivano dopo un ascolto attento in cui riusciamo a sentire dentro di noi l’emozione dell’altra persona. Le parole che curano si modulano, cambiano, si modificano a seconda della situazione in cui ci troviamo. Le parole che curano non sono mai inerti e mute ma comunicano sempre qualcosa.

“Insomma le parole che non fanno male, le parole che aiutano le persone che vivono nel dolore, o nella disperazione, non le troveremo mai se non siamo capaci di immedesimarci nelle loro emozioni, e di riviverle per quanto è possibile dentro di noi. Non ci sono ricette, non ci sono consigli, in questo campo, ed è solo necessario affidarsi alle antenne leggere della intuizione e della sensibilità personali. Ci sono psichiatri e psicologi che non le hanno, e persone semplici che le hanno: sono antenne almeno in parte innate, ma educabili, più o meno, in ciascuno di noi. Certo, non c’è comunicazione autentica in vita, nella vita sana e nella vita malata, se non quando si evitano parole indistinte e banali, ambigue e indifferenti, glaciali e astratte, crudeli e anonime. Le parole giuste insomma non possono se non essere quelle gentili e silenziose che non rimarcano le differenze, ma colgono le affinità, fra chi soffre di disturbi psichici e chi non ne soffre: almeno in apparenza.”

COMMENTO: Le parole non sono mai neutre, richiedono impegno sia in chi le pronuncia sia in chi le ascolta; il loro significato non è mai uguale ma cangiante rispetto ai nostri stati d’animo, ed è complesso coglierne fino in fondo le risonanze. Le parole che curano non sono facili da trovare e da organizzare: “faticoso e febbrile è il lavoro necessario nel trovare parole che facciano del bene”. In che modo, si chiede Eugenio Borgna, si possono rintracciare le parole che curano? L’unico modo sta nell’ascolto dell’altro, in ciò che di dicibile e di indicibile sta nel suo discorso, e tale ascolto ci dovrebbe accompagnare sempre in ogni situazione della vita. In un’epoca in cui l’ascolto dell’altro è sempre più difficile non solo per la distrazione a cui siamo soggetti ma anche perché abituati a scansare ciò che è per noi fastidioso – e il dolore degli altri spesso può esserlo – appare quasi una impresa abituarci all’ascolto. Quasi un’impresa di altra epoca.

Per coltivare invece un tale ascolto, da cui poi trarre fuori parole che curano, è necessario “educarci senza fine a rivivere in noi le situazioni dolorose degli altri, e a immaginare quali parole vorremmo sentire dagli altri se fossimo noi a stare male, e ad avere bisogno delle parole giuste”. Tutto questo è faticoso perché l’educazione a partecipare alle emozioni altrui costa tempo e attenzione, ma essa è comunque un dovere inalienabile per chiunque si dica umano, nella vita di ogni giorno. Proprio grazie a questo ascolto si eviterebbero molte altre infelicità e sofferenze, animando negli altri speranze grazie alle parole che curano.

“Il cammino delle parole che diciamo, e di quelle che ascoltiamo, è misterioso. Le parole, che sono belle e creatrici in un determinato contesto, possono non esserlo in un altro, ed è cosa che non dovremmo mai dimenticare.”

Eugenio Borgna, Parlarsi. La comunicazione perduta. Einaudi

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le emozioni

Le emozioni per Eugenio Borgna

Le emozioni sono come un sottofondo che accompagna tutta la nostra vita, ma nonostante questa loro naturalezza spesso è più difficile esprimerle rispetto a quanto facciamo con i nostri pensieri. Eugenio Borgna con il suo linguaggio sensibile riesce a parlare di questo sottofondo con impagabile maestria.

“Ogni nostra emozione, la paura e l’angoscia, l’insicurezza e l’inquietudine, la rassegnazione e l’indifferenza, la tristezza e lo sconforto, il taedium vitae e lo smarrimento, la gioia e la speranza, cambia in noi il modo di essere-nel-mondo: il modo di incontrarci con gli altri e con noi stessi. In ogni nostra emozione non cambiano solo gli scenari della nostra vita interiore ma anche quelli del mondo in cui siamo immersi. Cambiano i colori del mondo e le sue luci, le sue ombre e i suoi crepuscoli, i suoi bagliori e i suoi silenzi. Cambia insomma la fisionomia del nostro mondo, e cambia la fisionomia del mondo di chi stia male, in particolare, quando le emozioni dilagano nei cuori. Così, se vogliamo conoscere meglio la vita emozionale dei pazienti, è utile cercare di conoscere come i pazienti vivano, e descrivano, il loro mondo. Nella tristezza il mondo si inaridisce, e si svuota di risonanze coloristiche, si oscura e si fa lontano; mentre nella gioia il mondo diviene luminoso e talora sgargiante quando la gioia è la gioia panica (…).Ridiscendere negli abissi della nostra vita interiore, e riguardare i volti, e le voci, delle emozioni che vivono e gridano in noi, e negli altri-da-noi, significa anche riconoscere quali siano le immagini del mondo che ad ogni emozione si accompagnano in noi e negli altri-da-noi.”

COMMENTO: Le emozioni nella loro essenza aprono la nostra esperienza ad orizzonti nuovi e poco esplorati dalla nostra vita razionale. Esse parlano di che cosa accade nella nostra psiche, nella nostra vita interiore; ma, al tempo stesso, segnalano qual è il rapporto che abbiamo con la vita al di fuori da noi, con gli oggetti e le persone che sono nel mondo. Le emozioni sono una risposta immediata in noi all’esperienza che stiamo vivendo sia che riguardi qualcosa che accade dentro di noi, sia nella realtà esterna. Esse hanno spesso una vita apparentemente autonoma rispetto a noi: alcune di esse non possono essere cancellate o tenute sotto controllo; alcune hanno un carattere inafferrabile, altre sono incontrollabili per cui l’unica cosa che ci è concessa è quella di viverle. Per quanto ne facciamo poco uso, esiste tra le nostra facoltà anche una conoscenza frutto delle emozioni, che spesso ci porta al cuore delle esperienze, e non solo quella razionale. Come ricorda Eugenio Borgna la gamma delle emozioni è infinita: “l’ansia, l’inquietudine dell’anima, la tristezza, la nostalgia, la vergogna, la serenità, la gioia, l’ira, che a volte si sovrappongono, e si intrecciano, e a volte si manifestano nella loro autonomia semantica”. Ogni volta che sperimentiamo una emozione siamo costretti al confronto con qualcosa che va al di là di noi stessi, con la parte di noi meno nota (alter ego) ma anche con situazioni, persone o oggetti (interni o esterni) che sono comunque oltre la nostra individualità.

C’è poi da rilevare che le emozioni hanno un tempo che si mostra in alcune emozioni come la nostalgia, la noia, l’attesa e la speranza. Stiamo parlando non del tempo oggettivo degli orologi ma del tempo soggettivo del vissuto: “il tempo interiore della speranza è il futuro come quello dell’attesa, il tempo interiore della nostalgia e della tristezza è il passato, benché con incrinature diverse, il tempo della gioia è il presente così friabile e così inafferrabile, il tempo dell’ira è il presente dilatato, e deformato, in slanci di aggressività, il tempo dell’ansia è il futuro: un futuro che si rivive come già realizzato nelle ombre dolorose di una morte vissuta come imminente.”

Le emozioni rappresentano una parte fondamentale della nostra esistenza anche se la dimestichezza con questa dimensione della nostra psiche è minore rispetto a quella che abbiamo nei confronti del pensiero espresso tramite il linguaggio. Infatti, al contrario dei pensieri le emozioni non sono ben espresse dalle parole, per cui non solo facciamo fatica a esprimerle ma anche a conoscere la loro dimensione profonda. Proprio la comunicabilità delle emozioni è un aspetto difficile di questa dimensione della nostra vita. Come ricorda Borgna: “quando diciamo di avere “dolore”, “angoscia”, o “piacere”, non sentiamo tutti la stessa cosa, e non siamo talora nemmeno in grado di descrivere queste emozioni.” Così le emozioni destano molti enigmi, anche se ad esse viene dato molto più spazio oggi che nel passato. Per quanto apparentemente antagoniste fra loro le esperienze razionali e quelle emotive costituiscono un tutt’uno nella nostra vita e solo chi sa ascoltare le proprie emozioni “può realizzare cose “ragionevoli”.

Eugenio Borgna, Le emozioni ferite. Feltrinelli

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Eugenio Borgna

Eugenio Borgna: solitudine e isolamento

Eugenio Borgna, psichiatra e saggista, descrive con umana precisione la profonda differenza tra solitudine e isolamento, rintracciando gli aspetti fecondi per l’animo umano della prima e l’aridità priva di prospettive della seconda.

La solitudine è definita dalla relazione all’altro; cosa che non avviene nell’isolamento. Forse, è possibile dire che l’isolamento nei riguardi della solitudine è quello che il mutismo è nei riguardi del silenzio. Tacere, essere nel silenzio, significa che si ha, o si può avere, qualcosa da dire: anche se non si ha voglia di dire nulla; mentre, nel mutismo, non si ha la possibilità di dire qualcosa. Nella solitudine, cioè, si continua ad essere aperti al mondo delle persone e delle cose, e, anzi, al desiderio, alla nostalgia, di mantenersi in una relazione significativa con gli altri; e questo in antitesi all’isolamento, che si definisce meglio come solitudine negativa, e in cui si è chiusi in se stessi: perduti al mondo e alla trascendenza nel mondo.

COMMENTO – Come ben evidenzia Borgna, la solitudine è una condizione psicologica e umana in cui si sperimenta una temporanea e volontaria  separazione dal mondo e dagli altri, a favore di un ritorno e di un contatto con noi stessi e con la nostra interiorità. Proprio perché ricercata volontariamente questa sospensione non ci fa perdere il desiderio dei rapporti con le altre persone e il senso del vivere quotidiano rimane intatto. Nell’isolamento, invece, ci si sente chiusi e imprigionati in noi stessi: c’è una volontà di allontanamento dagli altri ma non un verso qualcosa. Spesso inoltre l’isolamento è subito a causa di una specifica condizione o perché sono gli altri ad allontanarsi da noi. La solitudine è una esperienza interiori che aiuta a vivere meglio la nostra esistenza quotidiana, dal momento che consente di comprendere e  di distinguere ciò che è essenziale da ciò che non lo è, dandoci modo di non sopravvalutare il significato di molte cose che abbiamo intorno. Dunque la solitudine è qualcosa che arricchisce e dà spessore. Al contrario la solitudine si caratterizza per l’esperienza del vuoto che richiede di essere riempito . A volte non è possibile farlo; più spesso finiamo per colmarlo con, per esempio, contatti virtuali in grado di dare immediata risposta all’esigenza di contatto ma che si presentano alla lunga effimeri e incapaci di lasciare traccia nella nostra vita.

Eugenio Borgna, “La solitudine dell’anima”. Feltrinelli

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Interiorità, una riscoperta difficile

L’ interiorità non è solo una dimensione della nostra vita psichica, ma un valore fondamentale dell’esperienza umana oggi messo a dura prova dalla superficialità imperante. E soprattutto, come ricorda Eugenio Borgna, è un ponte verso gli altri, uno strumento di sensibilità per comprendere gli altri… Eugenio Borgna, “L’attesa e la speranza”, Feltrinelli

Cosa significa riflettere sulla vita interiore, sugli aspetti interiori della conoscenza, in un mondo nel quale dominano schemi mentali e operativi a cui tendono ad essere estranei modelli di vita e di riflessione nutriti di interiorità e di attenzione? (…) Al di là dei modelli concreti, con cui confrontarsi con la tristezza e l’angoscia, con la inquietudine del cuore e la disperazione, con il tædium vitæ e il desiderio di morire, vorrei dire subito come sia necessario fare lievitare in noi, e non solo in psichiatria ovviamente, le istanze della interiorità e ridurre, non è possibile sconfiggerle, quelle della esteriorità: della indifferenza e della noncuranza, della leggerezza e della immediatezza impulsiva delle nostre azioni, della inautenticità e in fondo della insincerità, della dipendenza dai mondi delle immagini e delle chiacchiere (la chiacchiera, e lo diceva addirittura Heidegger, come elemento che corrode ogni dialogo e ogni colloquio). Muoversi lungo i sentieri scoscesi della interiorità significa confrontarsi allora con quello che sentiamo, con quello che proviamo, con le emozioni che nascano in noi quando siamo impegnati in qualcosa e siamo interessati a qualcosa, quando curiamo (cerchiamo di curare) e quando diamo una mano a chi chieda il nostro aiuto. Analizzare il senso dei nostri vissuti è insomma la premessa alla decifrazione dei vissuti degli altri: delle persone malate, o non-malate, con cui ci incontriamo nella vita di ogni giorno e nella vita della clinica in psichiatria, e in psicoterapia.

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la tristezza 2

La tristezza non patologica

“Tristezza” è uno stato d’animo spesso trascurato e considerato solo nella sua accezione negativa. Eugenio Borgna con la sua solita profondità esistenziale ne disvela aspetti inattesi… Eugenio Borgna, “Le parole che ci salvano”, Einaudi

La tristezza è un’esperienza di vita che conosce fino in fondo solo chi la viva negli abissi della propria anima, e che ci rende fragili e indifesi: immergendoci nelle speranze recise, nelle nostre e in quelle degli altri, e facendoci crudelmente soffrire. Quando essa, invisibile agli occhi che non siano bagnati di lacrime, vive nella nostra anima, ogni nostra sicurezza viene meno, e inutilmente andiamo alla ricerca degli abituali punti di riferimento, che si frantumano. Come ogni forma di vita incrinata dalla fragilità, la tristezza è facilmente ferita dalla solitudine e dall’abbandono, dalla noncuranza e dall’indifferenza, e le ferite che ne sgorgano, non sempre si cicatrizzano: lasciando dietro di sé scie inestinguibili di un dolore che si trasforma talora in sventura, quella che è stata mirabilmente descritta da Simone Weil. Non sto parlando ora della tristezza-malattia, della tristezza patologica, della tristezza che diviene depressione, ma della tristezza che fa parte della vita, della tristezza leopardiana, della tristezza creatrice, così fragile e così delicata, così vulnerabile e così friabile, così esposta alle ferite che nascono dall’interno, certo, ma anche, e soprattutto, dall’esterno della vita. (…) Certo, tristezza e malinconia si sovrappongono, e in fondo si identificano, nella loro parabola semantica; e vorrei servirmi ora di tristezza ora di malinconia: l’una e l’altra indicando una condizione umana incrinata da una stremata fragilità, da una debolezza dell’anima che, come ogni emozione fragile, scorre palpabile, o impalpabile, lungo il corso di una vita. (La depressione ha invece una dimensione semantica francamente clinica, e psicopatologica, indicando la tristezza-malattia, e non la tristezza – stato d’animo).

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Anoressia femminile e maschile

Anoressia femminile e maschile, in cosa si differenziano. Gli aspetti esperienziali del tempo e della percezione del proprio corpo, sono per Eugenio Borgna le variabile fondamentali per capire questa differenza. Eugenio Borgna, Come in uno specchio oscuramente. Feltrinelli

La psicopatologia di genere, le diverse possibili modalità con cui la sofferenza psichica si può manifestare in una condizione femminile di vita e in una condizione maschile di vita, non è stata mai analizzata e descritta fino in fondo in psichiatria. Il trend dominante è sempre stato quello di unificare e di omogenizzare le fenomenologie neurotiche e psicotiche; riconducendole, anzi, ai paradigmi (comportamentali) maschili: sulla scia di una psichiatria clinica che si è abitualmente occupata dei sintomi (esteriori) di una malattia, e non dei contenuti interiori che cambiano i significati dei sintomi. Non è possibile allora non risottolineare come, al di là di insostenibili generalizzazioni, le attitudini femminili alla introspezione e alla elaborazione interiore degli avvenimenti tendono ad essere più vive e accese, più palpitanti e profonde, che non quelle maschili. Ci sono, direi, forme psicopatologiche nelle quali le differenze di genere sono drasticamente riconoscibili, e altre nelle quali le differenze si attenuano e si scoloriscono. Fra quelle nelle quali le differenze sono sensibili non potrei non dare importanza alle forme anoressiche e depressive di vita. Cosa c’è di più doloroso e di più straziante di una vita adolescenziale che, nella stagione leopardianamente più bella dell’esistenza, è falciata dalla aspirazione inarrestabile a rifiutare l’alimentazione, temendo angosciosamente di aumentare di peso, e a perdersi nella irrealtà di un corpo divorato dalla evanescenza e dalla dissolvenza?

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la fragilità 4

La fragilità come tessuto dell’essere umano

La fragilità , tema caro a Eugenio Borgna, non è un marginale e fastidioso aspetto dell’essere umano. Costituisce invece una caratteristica fondamentale del tessuto che rende “umano” un essere vivente. Eugenio Borgna, Come in uno specchio oscuramente. Feltrinelli

La fragilità fa parte della vita, e delle forme di umana fragilità non può non occuparsi la psichiatria: così immersa nelle sue proprie fragilità e nelle fragilità dei pazienti con cui si confronta: divorata dal rischio di esasperare queste fragilità che nascono in ogni caso dalle aree sconfinate della interiorità e della sensibilità. Fragile è una cosa (una situazione) che facilmente si rompe, e fragile è un equilibrio psichico (emozionale) che facilmente si frantuma, ma fragile è anche una cosa che non può se non essere fragile: questa essendo la sua ragione d’essere, e questo essendo il suo destino.  La linea della fragilità è allora una linea oscillante e zigzagante che lambisce, e unisce, aree tematiche diverse: talora, almeno apparentemente, le une lontane dalle altre. Sono fragili, e si rompono così facilmente, non solo quelle che sono le nostre emozioni e le nostre ragioni di vita; ma sono fragili, e si dissolvono così facilmente, anche le nostre parole: le parole con cui vorremmo aiutare chi sta male, o le parole che desidereremmo dagli altri quando siamo noi a stare male. Come sono fragili, del resto, le relazioni (anche quelle terapeutiche) che nascono e muoiono fra noi e gli altri, e che si accendono e si spengono dolorosamente, e talora crudelmente. (In ogni relazione terapeutica si ha poi a che fare con l’area fragile e fluttuante della libertà. Non c’è dialogo dotato di senso fra medico e paziente se non nel contesto di una radicale attenzione alla libertà dell’altro: dell’altro che sta male, e disperatamente chiede di essere aiutato nella sua debolezza e nella sua libertà assediata dalla malattia.) Come non riconoscere nell’area semantica e simbolica, espressiva ed esistenziale, della fragilità gli elementi costitutivi della condizione umana? Cosa mai sarebbe la condition humaine stralciata dalla fragilità e dalla sensibilità, dalla debolezza e dalla instabilità, dalla finitudine e dalla plasmabilità, dalla nostalgia e dall’ansia di un infinito anelato e mai raggiunto?

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Fragilità ed esperienza umana

La fragilità è una parte integrante dell’esperienza umana. Forse la condizione che con più forza la contraddistingue. Ci sono emozioni forti ed emozioni deboli, virtù forti e virtù deboli e sono fragili alcune delle emozioni più significative della vita. Sono fragili la tristezza e la timidezza, la speranza e l’inquietudine, la gioia e il dolore dell’anima.
Eugenio Borgna, La fragilità che è in noi. Einaudi

Quale è il senso di un discorso sulla fragilità? Quello di riflettere sugli aspetti luminosi e oscuri di una condizione umana che ha molti volti e, in particolare, il volto della malattia fisica e psichica, della condizione adolescenziale con le sue vertiginose ascese nei cieli stellati della gioia e della speranza, e con le sue discese negli abissi dell’insicurezza e della disperazione, ma anche il volto della condizione anziana lacerata dalla solitudine e dalla noncuranza, dallo straniamento e dall’angoscia della morte. La fragilita’, negli slogan mondani dominanti, è l’immagine della debolezza inutile e antiquata, immatura e malata, inconsistente e destituita di senso; e invece nella fragilita’si nascondono valori di sensibilità e di delicatezza, di gentilezza estenuata e di dignità, di intuizione dell’indicibile e dell’invisibile che sono nella vita, e che consentono di immedesimarci con più facilità e con più passione negli stati d’animo e nelle emozioni, nei modi di essere esistenziali, degli altri da noi. Grande e radicale è oggi la dilatazione dei significati di fragilità: abitualmente considerata dai dizionari come indice di scarsa consistenza, di scarsa durata, di gracilità e di debolezza, di transitorietà e di caducità, di trepidità morale e di debilità; identificando la fragilità in quella che è la sua linea d’ombra, la sua precarietà e la sua instabilità. Ma le cose sono cambiate nel contesto semantico della parola: accanto ai significati ora indicati, uno splendido dizionario (il Dizionario analogico della lingua italiana edito nel 2011 da Zanichelli) assegna alla fragilita’ i significati di vulnerabilità, di sensibilità e di ipersensibilità, di delicatezza, e di indifesa e inerme umanità, e del loro possibile incrinarsi nel corso della vita.

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