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La nuova melanconia

La nuova melanconia si struttura intorno all’impossibilità da parte dell’individuo di separarsi dagli oggetti. La nuova melanconia nasce dall’impossibilità di elaborare il lutto con la conseguente perdita di desiderio per un oggetto che è sempre presente. Massimo Recalcati ci descrive brevemente la forma clinica de la nuova melanconia ponendo le differenze rispetto al quadro clinico individuato da Freud. Massimo Recalcati, “Le nuove melanconie”, Raffaello Cortina Editore

La clinica della melanconia è una clinica della pulsione di morte: il soggetto è preso in una spirale di odio per se stesso – di rifiuto della propria vita – che sembra non avere argini e che tende a trascinarlo fuori dalla scena del mondo. Nella sua versione freudiana più classica la melanconia è caratterizzata da una incessante ruminazione morale sul senso di colpa: il soggetto melanconico è sovrastato dal peso di una Legge sadica e inflessibile e da un profondo sentimento di indegnità. La tesi che intendo sviluppare in queste pagine è che nel nostro tempo siamo di fronte a nuove forme di melanconia sempre più diffuse. In esse non riscontriamo più il corredo sintomatico classico della melanconia codificata da Freud: ritiro libidico, auto-denigrazione, auto-accusa, senso di colpa inscalfibile, spinta suicidaria, delirio di rovina. Di questo corredo sopravvive ancora il ritiro libidico come tendenza del soggetto alla chiusura, al rifiuto dei legami sociali, unito a una restrizione drastica della sua spinta vitale. L’elucubrazione delirante sulla perdita dell’oggetto e sul senso di colpa sembra però essere sostituita da un altro fenomeno: una sorta di pulsione a chiudere il legame con la vita, una inclinazione paradossalmente securitaria che conduce il soggetto a disertare il proprio desiderio. Nelle nuove forme di melanconia – presenti in modo preoccupante soprattutto tra le giovani generazioni – in primo piano non c’è più l’auto-flagellazione morale e la dimensione irrimediabile della perdita dell’oggetto, quanto invece una inclinazione a ritirarsi dalla precarietà e dall’ingovernabilità della vita, a ridurre al minimo le tensioni interne all’apparato psichico, alla chiusura securitaria.

Continua a leggere su: Massimo Recalcati, “Le nuove melanconie”, Raffaello Cortina Editore

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Melanconia : come nasce?

Melanconia: cosa è e quali sono i meccanismi psicologici che la determinano. Con parole chiare, il grande psicoanalista italiano ci spiega i processi psicologici responsabili della melanconia e in cosa differiscono dal normale “cordoglio” . Cesare Musatti, Trattato di psicoanalisi vol. 2. Bollati Boringhieri

Lo stato d’animo del melanconico ha caratteri assai simili al cordoglio, dato dalla perdita di una persona assai cara (o da una perdita ideale di valore corrispondente, come perdita della patria, della libertà, ecc.), per cui si presenta opportuno istituire una analisi parallela della malinconia e del cordoglio. Entrambi gli stati sono caratterizzati da una profonda dolorosa depressione, da una riduzione dell’interesse per il mondo esterno, da un annullamento della capacità di amare e da un impedimento ad ogni attività. Nella malinconia vi è in più uno straordinario abbassamento del sentimento di sé, ossia del senso del proprio valore che si manifesta con auto rimproveri e autoaccuse, e che può accentuarsi fino ad assumere il carattere di una attesa delirante di sciagura sentita come castigo. Il cordoglio non ha in sé nulla di anormale, e ci appare una reazione naturale alla scomparsa di una persona amata. Si può caratterizzare come costituito da una incapacità ad accettare quella morte: la ragione ci dice che quella persona non è più, ma la nostra libido profondamente investita in quel suo oggetto, si rifiuta di abbandonarlo. Per questo siamo incapaci di interessarci a tutto ciò che con quella persona non ha a che fare; per questo siamo incapaci di ritrovare nuovi oggetti di amore. È necessario, come si dice, che trascorra un certo tempo, perché “uno si renda ragione”, cioè accetti la scomparsa definitiva dell’oggetto amato. Pare anzi che il cordoglio sia l’espressione di un lavoro psichico che, in questo senso, si svolgerebbe in noi; frutto di un tale lavoro sarebbe quella progressiva liberazione della libido investita ed immobilizzata, che finisce col rendere il soggetto nuovamente capace di altri investimenti libidici. La analogia della melanconia col cordoglio ci permette di ritenere che anche il melanconico abbia perduto qualcuno. Talora la melanconia si produce anch’essa in seguito alla morte di una persona cara, o ad una perdita equivalente (come una delusione amorosa), Talora invece il melanconico non sa chi o che cosa ha perduto, anche se ha il senso di una irreparabile perdita. Pare perciò che la malinconia si differenzi dal cordoglio normale perché, nella perdita che la provoca, vi è qualche cosa di inconscio.

Continua a leggere su: Cesare Musatti, Trattato di psicoanalisi vol. 2. Bollati Boringhieri

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Depressione uno sguardo oltre la malattia

La depressione non è solo una malattia e chi è depresso non è solo un malato. Eugenio Borgna ci porta al di là della semplice diagnosi, verso una comprensione esistenziale del suo vissuto.
Eugenio Borgna e Aldo Bonomi, Elogio della depressione. Einaudi

Nell’area ambigua e indistinta delle depressioni non possono non essere isolate, in particolare, lo si accennava in apertura, tre diverse forme depressive che sono la depressione esistenziale, la depressione motivata, che nasce sulla scia di avvenimenti dolorosi e conflittuali, e la depressione psicotica, la depressione-malattia, che ha fondazioni biologiche alle quali non sono estranee, del resto, concause psicologiche ed esistenziali. Ogni volta che si abbia a parlare di depressione in psichiatria, è necessario indicare a quale delle tre aree ci si intende riferire. Un discorso generalizzante sulle depressioni non ha senso, ed è fonte di fraintendimenti e di sbandamenti senza fine: in ordine alle prospettive terapeutiche in particolare che non sono mai, e non possono essere, univoche e omogenee. (…)

La depressione esistenziale.
Ci sono stagioni, e ci sono momenti, in cui (al di fuori di ogni avvertibile motivazione) la tristezza, che è la parola tematicamente più vicina a quella di depressione, galleggia improvvisamente (nasce, o rinasce, fulminea) nella nostra anima, e dilaga nella nostra interiorità.
Questa è la depressione, che chiamiamo esistenziale, nel corso della quale ci sentiamo svuotati di interesse e di iniziativa, e soprattutto non riusciamo piú a ri-trovare un senso nella vita. Si fa fatica a pensare: risucchiati da uno stato d’animo che si nutre di tristezza e di smarrimento, e che ci oscura l’orizzonte, inaridendo gioie e speranze. Il tempo soggettivo, il tempo vissuto, che non ha nulla a che fare con il tempo dell’orologio, con il tempo misurabile, non fluisce piú spontaneamente e limpidamente: come avviene quando la tristezza non è nella nostra anima; ma tende a rallentare e a disgiungersi nelle tre dimensioni (agostiniane) che lo compongono: la dimensione del presente, quella del passato e quella del futuro. Quest’ultima, in particolare, tende ad arrestarsi (e con essa la speranza che vive solo del futuro e nel futuro) e viene, così, risucchiata dal passato che cresce nella nostra immaginazione e nei nostri pensieri.

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Sintomi della depressione

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Quali sono i sintomi della depressione? Vediamo alcuni criteri che possono indicare la presenza di un quadro clinico depressivo. Affronteremo, dunque, in questo articolo quelli che più comunemente sono i sintomi della depressione. Trattandosi di un disturbo dell’umore, le persone depresse riferiscono la presenza di un tono dell’umore basso presente in maniera abbastanza stabile per più di due settimane.
Il quadro clinico della depressione può mostrarsi in maniera più o meno marcata. Così, nelle forme lievi i sintomi possono anche non essere presenti per tutta la giornata: ad esempio, alcuni eventi piacevoli potrebbero ridurre la tristezza che si avverte, determinando un innalzamento temporaneo del tono dell’umore. Nelle situazioni di depressione grave, indipendentemente dalla presenza di eventi piacevoli, il tono dell’umore tende a rimanere basso tutto il giorno.
Chi è depresso è portato a valutare se stesso, e le situazioni che vive in maniera negativa; tende a considerarsi inadeguato e indesiderabile, come se ci fosse qualcosa di sbagliato in lui. Ogni aspetto della propria vita (situazioni, persone, eventi) diventano fonte di sofferenza e frustrazione che alimentano i pensieri di fallimento e insuccesso. Il depresso si convince, così, di essere inadatto e incapace a relazionarsi con gli altri, i quali vengono ritenuti poco disponibili nei propri confronti.
In un quadro siffatto, le cose non possono che peggiorare.
Quando si trova nei gruppi, il depresso può provare timidezza e ansia, anticipando possibili rifiuti e critica. Così facendo il depresso finisce per sentirsi isolato e solo e il suo comportamento evitante, conferma questa percezione.
I criteri per poter diagnosticare una depressione maggiore richiedono che, nello stesso periodo di due settimane, siano stai presenti almeno 5 dei seguenti sintomi della depressione e che abbiano interferito in modo significativo con la capacità dell’individuo a svolgere attività quotidiane:

  • umore depresso (sentirsi triste, vuoto, disperato) per la maggior parte della giornata;
  • diminuzione marcata di interesse o piacere in tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte della giornata;
  • significativa perdita di peso (senza seguire una dieta) oppure aumento di
  • peso, oppure alterazioni dell’ appetito;
  • insonnia o ipersonnia;
  • agitazione o rallentamento psicomotorio;
  • stanchezza o perdita di energia;
  • senso di inutilità, eccessivi o inappropriati sensi di colpa;
  • diminuita capacità di pensare o a concentrarsi, oppure, indecisione;
  • ricorrenti pensieri di morte o ideazione suicidaria senza uno specifico piano, tentato suicidio oppure uno specifico piano per suicidarsi.

I sintomi della depressione possono manifestarsi in quattro differenti aspetti.

  • sintomi di tipo somatico: hanno a che fare con le sensazioni fisiche e con il corpo, e posso, per esempio contemplare l’insonnia, un ridotto o aumentato appetito, una minor energia fisica, ecc.;
  • sintomi di tipo cognitivo: fanno parte di queste manifestazioni della depressione pensieri come quelli relativi alla mancanza di valore personale, di inadeguatezza, di isolamento, suicidari, ecc.;
  • sintomi di tipo emotivo: caratteristici di stati di umore basso sono i sentimenti di tristezza, di ansia, di disperazione, ecc.;
  • sintomi che hanno a che fare con le azioni e il comportamento. Rientrano in questa categoria, per esempio, il restare nel letto, il non uscire, l’evitamento delle persone, il pianto immotivato, ecc.

Per saperne di più: Come capire se sei depresso
Leggi: Mini guida self help sulla depressione

Autostima: valutarla per stare bene

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L’autostima è la valutazione che diamo di noi stessi, del nostro modo di viverci e di percepire la nostra persona. E’ di vitale importanza conoscere l’autostima che ciascuno sperimenta perchè l’opinione che abbiamo di noi è fondamentale nell’ambito del nostro equilibrio psicologico dal momento che essa influenza la nostra vita e determina le risposte all’ambiente esterno.
Una buona autostima trasmette il senso di sentirsi bene, di poter gestire e indirizzare la propria vita; consente di adattarci in modo flessibile e adeguato alle diverse situazioni, anche quelle più difficili, consentendoci di far conto e attingere alle proprie risorse. L’autostima è una qualità psicologica che è possibile migliorare e consolidare attraverso un lavoro personale o durante una psicoterapia. La stima di sé, influenza la consapevolezza di poter raggiungere obiettivi, agisce sul tono dell’umore, sulle relazioni con gli altri e sugli affetti.

Mancanza di autostima
Un giudizio negativo su se stessi o tendenzialmente squalificante (mancanza de l’autostima o bassa autostima) comporta una sensazione di disagio e di sofferenza. Le conseguenze di una bassa valutazione di sé stanno nel fatto che si cercherà, per evitare sensazioni spiacevoli, di correre meno rischi nei rapporti con gli altri o nel lavoro, rinunciando a relazionarsi con le persone. Si tenderà a limitare e a sottovalutare ulteriormente le proprie capacità e ci si inibirà nel mostrare i propri sentimenti o bisogni; si costruirà una maggiore propensione a erigere barriere difensive. Una caratteristica di quanti hanno una bassa stima di sé è la tendenza a centrare l’attenzione sugli aspetti negativi delle proprie esperienze, sugli errori o sui fallimenti, trascurando o minimizzando gli aspetti positivi delle situazioni e delle proprie azioni.
Una bassa autostima, costruita su giudizi negativi severi, frequenti e generalizzati su di sé, conduce a atteggiamenti cognitivi non positivi quali lo sconforto, la vergogna, i sensi di colpa e l’ansia. Una buona autostima, al contrario, è fatta di giudizi positivi su di sé e favorisce atteggiamenti emotivi come sentimenti di gioia, vitalità e serenità.

Autostima eccessiva
Al contrario, una stima di sé eccessiva è sicuramente altrettanto disfunzionale. Infatti la persona con una smisurata o grandiosa idea di sé è prigioniero di un’altra trappola, quella della dipendenza dall’ammirazione degli altri e la sua autostima, essendo troppo legata a qualità e prestazioni che tutto di un tratto potrebbero venire a mancare, è costruita su un terreno molto fragile. Come la mancanza di autostima anche un eccesso di autostima può rivelarsi controproducente creando atteggiamenti sbagliati. Esaminiamone alcuni:

  • tendenza a sottovalutare gli ostacoli
  • assenza di senso critico per le proprie azioni e capacità o per i propri difetti
  • egocentrismo (ipertrofia dell’Io)
  • reazioni impulsive e non ponderate alle situazioni
  • non considerazione delle opinioni degli altri (unicità del punto di vista)
  • desiderio di vendetta o di rivalsa
  • considerarsi portatori di verità e di principi inconfutabili
  • esclusività della propria esperienza

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