Archivi tag: autostima

valutazione personale

Valutazione personale: tra autostima e autoefficacia

La valutazione personale ovvero ciò che ognuno di noi pensa di sé in termini di valore è un concetto complesso in cui vengono a confluire diversi aspetti. Tra questi possiamo individuare due variabili spesso confuse tra loro: l’autostima e il senso di autoefficacia. Ogni persona usa entrambe tale dimensioni quando, implicitamente o esplicitamente, valuta se stessa facendo riferimento a questioni diverse della propria individualità.

“Il senso di autoefficacia riguarda giudizi di capacità personale mentre l’autostima riguarda giudizi di valore personale. Non c’è una relazione definita fra le convinzioni circa le proprie capacità e il fatto di piacersi o non piacersi. Una persona può giudicarsi irrimediabilmente inefficace in una data attività senza per questo patire una qualsiasi perdita di autostima, se non investe tale attività del senso del proprio valore personale. Il fatto che io mi riconosca completamente inefficace nel ballo non mi procura crisi ricorrenti di autosvalutazione. Viceversa, ci si può sentire molto efficaci in una data attività senza per questo gloriarsi delle proprie prestazioni. È difficile che un addetto all’esecuzione degli sfratti si senta glorioso quando allontana abilmente una famiglia in disgrazia dalla sua abitazione. (…) Per riuscire bene in qualcosa ci vuole molto di più che una buona autostima. Molte persone di successo sono dure con se stesse perché adottano standard difficili d raggiungere; altre possono godere di una buona autostima perché non pretendono molto da sé o perché tale autostima deriva da fonti diverse dai risultati personali. Così, il fatto di piacersi non è necessariamente causa di buone prestazioni: queste ultime sono il prodotto di impegno e autodisciplina. Per mobilitare e mantenere l’impegno necessario a riuscire, ci vuole un saldo senso di autoefficacia. Pertanto, in una certa attività, il senso di efficacia personale consente di prevedere quali obiettivi vengono scelti e la qualità della prestazione, mentre l’autostima non ha un effetto su queste variabili.”

COMMENTO – Come sottolinea Albert Bandura quando un individuo dà una valutazione personale positiva o negativa è sempre bene specificare a quale ambito della propria esistenza sta facendo riferimento nel formularla. La valutazione personale rispetto al valore che attribuiamo a noi stessi è definita autostima, mentre la valutazione personale rispetto al proprio successo viene definita autoefficacia. Spesso questi due aspetti possono essere correlati fra loro ma, come specifica Bandura, possono anche essere disgiunti nella considerazione di sé che fa un individuo. In via più generale, si potrebbe dire che la valutazione personale nell’accezione più ampia può essere definita come autostima e che il senso di autoefficacia è un aspetto particolare di quest’ultima. L’autostima è un concetto che riguarda una serie di convinzioni che abbiamo di noi stessi; d’altra parte l’autoefficacia è inerente alla percezione delle abilità personali e delle competenze possedute, rientrando così nella sfera del fare. L’autostima, invece, ha per lo più delle basi emotive, riferite ad una valutazione personale più legata alla sfera dell’essere. L’autoefficacia, secondo Bandura, si accompagna alla consapevolezza che serve a farci comprendere il modo in cui possiamo dominare/affrontare specifiche attività, situazioni quotidiane o straordinarie esterne a noi e anche intrapsichiche (come affrontare un dolore, la rabbia, etc.)

Albert Bandura, Autoefficacia, Erickson

Leggi altri pensieri di Albert Bandura: I sabotatori dell’autoefficacia

Leggi articolo: Come aumentare la fiducia in se stessi

i limiti

I limiti, ovvero fin dove possiamo arrivare?

Ogni individuo ha dei limiti. ed essi hanno primariamente una base fisico-sensoriale concreta. La mancanza di limiti è, dunque, una semplici incapacità di percepirli in noi stessi e spesso tale insensibilità può portare a conflitti. Così in una simile situazione i nostri tentativi di adattamento alle circostanze, seppur coraggiosi negli sforzi, sono destinati a fallire dal momento che si fondano sulla nostra incapacità a percepire ciò che siamo e ciò che per noi è possibile. Sforzandosi oltre i nostri limiti, sacrifichiamo la percezione di noi stessi e così facendo non possiamo prenderci cura di noi.

“L’idea di essere limitati non suscita grande entusiasmo, tanto meno in un’epoca nella quale il delimitare se stessi viene confuso con il limitare le proprie potenzialità, un’epoca dominata dall’idea di possibilità illimitate (…).All’ideologia dell’illimitatezza appartiene anche l’illusione di poter raggiungere qualsiasi traguardo se solo lo si desidera. E se non si riesce a ottenere il massimo dei risultati, significa semplicemente che non ci si è sforzati abbastanza… (…) Questa pretesa eccessiva non è priva di conseguenze: all’improvviso compaiono dolori, sintomi o anche semplicemente un disagio generale. A quel punto siamo costretti a limitare le nostre forze, poiché ci sentiamo deboli e privi di energie. Tutto costa troppa fatica. Ecco allora che ci chiudiamo di fronte al mondo e alle sue pretese eccessive: ci ritiriamo in noi stessi, ben all’interno di quelli che fino ad allora sono stati i nostri limiti, e rinunciamo all’obiettivo che ci eravamo posti, visto che in quelle condizioni non siamo più in grado di raggiungere granché. Per risolvere tale conflitto non basta di certo risparmiarsi, essere troppo accondiscendenti con se stessi e chiudersi in una torre d’avorio al riparo dalle ingiustizie del mondo esterno. Ancor meno utile è ignorare i propri limiti e tentare ogni volta di superarli. La soluzione non può che consistere nell’imparare a controllare se stessi in modo consapevole e responsabile, e questo non è possibile farlo senza rendersi conto del proprio stato fisico, delle energie e delle risorse che si hanno realmente a disposizione e, pertanto, dei propri limiti. Solo attraverso la percezione di noi stessi possiamo riuscire a mantenerci forti capaci ed efficienti.”L’idea di essere limitati non suscita grande entusiasmo, tanto meno in un’epoca nella quale il delimitare se stessi viene confuso con il limitare le proprie potenzialità, un’epoca dominata dall’idea di possibilità illimitate (…).All’ideologia dell’illimitatezza appartiene anche l’illusione di poter raggiungere qualsiasi traguardo se solo lo si desidera. E se non si riesce a ottenere il massimo dei risultati, significa semplicemente che non ci si è sforzati abbastanza… (…) Questa pretesa eccessiva non è priva di conseguenze: all’improvviso compaiono dolori, sintomi o anche semplicemente un disagio generale. A quel punto siamo costretti a limitare le nostre forze, poiché ci sentiamo deboli e privi di energie. Tutto costa troppa fatica. Ecco allora che ci chiudiamo di fronte al mondo e alle sue pretese eccessive: ci ritiriamo in noi stessi, ben all’interno di quelli che fino ad allora sono stati i nostri limiti, e rinunciamo all’obiettivo che ci eravamo posti, visto che in quelle condizioni non siamo più in grado di raggiungere granché. Per risolvere tale conflitto non basta di certo risparmiarsi, essere troppo accondiscendenti con se stessi e chiudersi in una torre d’avorio al riparo dalle ingiustizie del mondo esterno. Ancor meno utile è ignorare i propri limiti e tentare ogni volta di superarli. La soluzione non può che consistere nell’imparare a controllare se stessi in modo consapevole e responsabile, e questo non è possibile farlo senza rendersi conto del proprio stato fisico, delle energie e delle risorse che si hanno realmente a disposizione e, pertanto, dei propri limiti. Solo attraverso la percezione di noi stessi possiamo riuscire a mantenerci forti capaci ed efficienti.”

COMMENTO – La faccenda dei limiti non è un fatto fine a se stesso. La conoscenza dei limiti ovvero dei nostri confini, serve a proteggere il nostro spazio fisico e mentale da possibili invasioni. Questo nostro territorio è quello spazio vitale dove possiamo disporre liberamente di noi stessi e nel quale possiamo assumerci la responsabilità di quello che facciamo. Delimitare i propri confini (“io posso arrivare fino qui”, “oltre quanto ho fatto non posso andare”, oppure “tu puoi entrare fino a qui”) è quindi proprio una questione di territorio da difendere e proteggere. I confini dicono cosa noi siamo, fin dove possiamo estendere il nostro agire e le nostre forze; fin dove permettiamo agli altri di agire la loro influenza su di noi e le nostre scelte. “Per questo motivo – come sostiene Rolf Selling –  i confini determinano anche il nostro rapporto con gli altri, con il mondo in generale e anche con noi stessi. Le tensioni e i conflitti sorgono sempre lungo le linee di confine.” Coloro che hanno imparato a conoscere i limiti personali, riescono anche a percepirli, a rispettarli e a difenderli rispetto alle richieste invasive che vengono dall’esterno o che vengono formulate anche da noi stessi stessa quando vorremmo spingerci sempre un po’ oltre. La possibilità di percepire e riconoscere i limiti propri non solo ci mette nella condizione di non chiedere troppo a noi stessi, permettendoci di svilupparci al meglio, senza pressioni o mete eccessivamente difficili considerando ciò che è in nostro potere. Per quanto possano sembrare un oggetto evanescente i nostri limiti sono qualcosa di molto reale. Essi rispecchiano esattamente le nostre possibilità e le nostre forze ed energie. Ci portano a domandarci fino a che punto possiamo spingerci, quanto ci fa bene impegnarci ancora in qualcosa, quando ci accorgeremo di esserci spinti troppo in là.

Conoscere i propri limiti non vuol dire porsi dei confini troppo stretti, finendo per indebolire noi stessi. Conoscere i limiti non vuol dire limitarsi finendo per fare meno di quanto ci consentirebbero le nostre possibilità. La noia, per esempio, è un ottimo indice rispetto all’essersi posti dei limiti troppo stretti. Come afferma Rolf Selling: “se le nostre energie non hanno modo di scorrere e noi non possiamo crescere. Se ci poniamo limiti troppo ampi, chiediamo invece troppo a noi stessi, tendiamo troppo l’arco e così facendo ci indeboliamo, con il risultato che siamo costretti a restare anche stavolta entro le nostre possibilità. La zona appena prima dei nostri limiti è pertanto la migliore. È la zona della nostra piena forma, la condizione che ci permette di dare il nostro meglio. Solo da lì possiamo ampliare i nostri limiti ed evolverci al meglio. Lungo i nostri limiti possiamo crescere (…).”

Rolf Selling, Le persone sensibili hanno una marcia in più. Feltrinelli

Leggi altri pensieri di Rolf Selling: L’ottimismo come funziona

Leggi come: Come Stabilire dei Limiti

essere consapevoli

Essere consapevoli e avere autostima

Essere consapevoli di se stessi (obiettivi, competenze, capacità) significa mettersi nella condizione di poter lavorare realisticamente per realizzare qualcosa nella propria esistenza. Questa consapevolezza fornirà alla nostra autostima tutti quegli elementi che derivano non solo da una accettazione di ciò che noi siamo o facciamo, ma soprattutto la nutrirà con quegli aspetti positivi che potranno arrivare dal raggiungimento dei propri obiettivi.

“Se esiste un’indicazione certa di una vita priva di consapevolezza, è l’indifferenza alla domanda: Che cosa mi serve sapere (o imparare) per raggiungere i miei obiettivi? Questa indifferenza è strettamente correlata a un mancato senso della realtà. Quando manca questo senso, quando mancano l’oggettività e la comprensione dei fatti, gli obiettivi vengono raggiunti con la fantasia e non con azioni appropriate. Tra la pratica di vivere consapevolmente e l’autostima esiste un rapporto di reciproca causalità. Le due cose si rafforzano a vicenda. Se abbiamo fiducia nella nostra mente, non ci spaventa l’idea di imparare cose nuove. Perseverando, tendiamo a coronare i nostri sforzi con un successo che rafforza la fiducia iniziale. In mancanza di questa fiducia, l’idea di imparare cose nuove ci può spaventare fino a spingerci a rinunciare, il cambiamento e le novità vengono visti come pericolosi, e si tende ad aggrapparsi a ciò che è conosciuto e familiare. Ma se ciò che conosciamo e ci è familiare non risponde ai requisiti della nuova situazione, il risultato è il fallimento, con il conseguente deterioramento di un’autostima già ferita.”

COMMENTO – Che lo vogliamo o no, la nostra esistenza si struttura intorno a degli obiettivi da raggiungere. Lo facciamo tutti i giorni, più o meno consapevolmente, da quando ci alziamo al mattino a quando andiamo a dormire la sera. A volte si tratta di obiettivi a brevissimo termine, altre volte a lungo termine; talvolta semplici altre volte più complessi e laboriosi. In questa situazione esistenziale più riusciamo a essere consapevoli più saremo in grado di far fronte ai nostri obiettivi, rendendoli anche occasione di crescita personali. Per sapere il grado del nostro essere consapevoli riflettiamo sul fatto se ci poniamo mai domande del tipo: “Per questo mio obiettivo cosa devo fare per raggiungerlo?”, oppure “Che tipo di informazioni mi occorrono per arrivare alla mia meta?”, o ancora “Quali criteri utilizzerò per capire se sono sulla strada giusta?”. Essere consapevoli di stare lavorando bene per raggiungere i nostri obiettivi richiede di fare chiarezza su quali risorse poter utilizzare a proposito e, soprattutto, su quali informazioni ci occorrono per operare al meglio con i nostri sforzi. Ci sono poi alcuni aspetti personali di cui sarebbe bene essere consapevoli, per esempio: “Cosa spettarci realisticamente da noi”, “Cosa è in mio potere di fare per mettermi nelle condizioni di raggiungere il traguardo desiderato”

Come ci ricorda Nathaniel: “più agisco consapevolmente, più vado in cerca di informazioni utili al mio scopo. Meno agisco consapevolmente, meno considererò necessarie queste informazioni: crederò di sapere già tutto, e se non so qualcosa, sarò convinto che non faccia differenza. Le domande che dobbiamo porci sono: “Sono pronto a ricevere qualunque informazione che possa farmi cambiare percorso o correggere le mie posizioni, oppure sono convinto di non avere niente da imparare?”, “Cerco continuamente nuovi dati utili, o chiudo gli occhi anche davanti all’evidenza?”.

Se noi riusciamo ad agire in questo modo e ad essere consapevoli di tutti questi aspetti, il risultato è una espansione della nostra consapevolezza, con la conseguenza che il nostro lavoro procederà in maniera più soddisfacente e la nostra autostima ci supporterà al meglio. Dobbiamo, dunque, una volta che abbiamo un obiettivo e lo desideriamo raggiungere, prenderci la responsabilità di apprendere tutto ciò che necessita per arrivare alla meta. Essere consapevoli in tal senso ci richiederà di sapere esattamente dove ci troviamo in un dato momento rispetto ai nostri obiettivi. Ben si comprende che tutto questo va al di là del raggiungimento della meta ma diventa un’occasione per diventare delle persone migliori, dotate di un senso della realtà spiccato, capaci di andare oltre la semplice fantasticheria per assumerci la responsabilità del nostro agire.

In aggiunta essere consapevoli mentre lavoriamo verso una meta, richiede di “verificare il rapporto tra i valori e gli obiettivi che professiamo e il nostro comportamento quotidiano. A volte – nota Nathaniel Branden – c’è incongruenza tra quelle che sosteniamo essere le nostre priorità e il modo in cui investiamo il nostro tempo e la nostra energia. A volte dedichiamo scarsissima attenzione alle cose che dichiariamo più importanti per noi, e tantissima a quelle che dichiariamo secondarie.” Infine, una sana consapevolezza ci richiederà di considerare senza paura i feedback che ci arrivano dell’ambiente rispetto a come stanno andando le cose nel nostro lavoro. Come afferma Nathaniel Branden non sempre le cose andranno bene, ci saranno interruzioni, ritardi e anche fallimenti. Allora: “Se siamo attenti, regoliamo le nostre azioni in relazione ai nostri obiettivi, cerchiamo di capire dove sono allineati e, se non lo sono, rivediamo o le prime o i secondi. Come avrete osservato, non sono per forza le azioni a dover cambiare. Molto spesso scegliamo di modificare proprio quelle, ma non dobbiamo prenderla come una conclusione obbligata. A volte le nostre azioni riflettono una saggezza del subconscio superiore al nostro impegno ufficiale e cosciente. Forse ci siamo proposti obiettivi che non rappresentano i nostri valori piri profondi o non sono funzionali ai nostri veri interessi, ed ecco perché a un certo livello veniamo spinti in un’altra direzione.”

Nathaniel Branden, L’arte di vivere consapevolmente. Corbaccio

Leggi altri pensieri di Nathaniel Branden: La paura di noi stessi: La paura di noi stessi

Leggi su come definire i propri obiettivi e come raggiungerli

la vergogna

La vergogna e il non amore di sé

La vergogna di sé spesso porta chi la sperimenta a non accettare o riconoscere aspetti del proprio carattere o del proprio aspetto fisico. Molto spesso tale sentimenti viene esteso all’intera persona provocando una generale disistima di sé. Imparare a essere consapevoli della propria vergogna è utile per poter lavorare ed elaborare le emozioni che ad essa si associano, per arrivare ad una reale accettazione di sé priva di rigidi pregiudizi.

“C’è un sentimento che i genitori non dovrebbero trascurare se si manifesta nei loro figli: la vergogna. La vergogna scaturisce laddove vi sono punti di conflitto tra individuo e società. Non amiamo ciò che ci fa vergognare: lo nascondiamo. Temiamo di essere disonorati, disprezzati e respinti. Ciò che è socialmente proibito suscita vergogna nell’individuo. Questa vergogna socialmente determinata non va confusa con il naturale pudore, la riservatezza di cui talvolta abbiamo bisogno, la ricerca dell’intimità. Le persone che si vergognano spesso quando sono in presenza degli altri non sono libere, non si amano, tendono a identificarsi con figure di riferimento idealizzate, sono inclini alla depressione. (…) Ci vergogniamo di ciò che non amiamo in noi; si tratti di una precisa parte del nostro corpo (magari le cosce grosse); di una caratteristica (per esempio il desiderio di un maschietto di giocare con le bambole), o ancora di un comportamento o di un crimine giustamente punito dalla società. Come sempre una parte è presa per il tutto: il disprezzo per un singolo aspetto di noi è il disprezzo per tutto il nostro essere. In questo modo, la parte nascosta non potrà esprimere il suo significato paradossale, il suo potenziale, la sua capacità trasformativa.”

COMMENTO: La Vergogna che va distinta dai sensi di colpa. La vergogna possiamo sintetizzarla nell’espressione “io sono cattivo”, il senso di colpa in “io ho fatto qualcosa di cattivo”. Dunque mentre il senso di colpa può sorgere in seguito a qualcosa che abbiamo fatto, a qualcosa che avvertiamo di aver sbagliato e che può generare sofferenza perché avremmo voluto comportarci diversamente, la vergogna implica invece qualcosa di più profondo. Essa, infatti, è una sensazione di imbarazzo o umiliazione che proviamo rispetto a qualche nostra caratteristica e, di conseguenza, è un’emozione associata a una valutazione negativa del Sé, accompagnata da sentimenti di angoscia, di sfiducia, di inadeguatezza. La vergogna si riferisce a ciò che noi pensiamo di essere e che ci appare come inaccettabile e non riparabile. Chi sperimenta la vergogna di solito cerca di non mostrare quegli aspetti di sé per cui provano vergogna, provano a non parlarne con nessuno. Questo modo di fare tuttavia non rappresenta una soluzione (negare un aspetto di sé) ma porta a sperimentare profonde ferite emotive. In conseguenza di ciò, nei casi più estremi, la persona che prova vergogna può arrivare a percepire gli altri come nemici da cui difendersi (sempre per nascondere aspetti di sé non accettati), arrivando ad essere aggressiva (passiva), manipolatoria e priva di fiducia.

Occorre tener presente che la vergogna è un’emozione acquisita, ossia in origine nessun bambino o bambina provano vergogna, ma sono i processi educativi e di socializzazione che ne determinano l’insorgenza. Questi processi generano quelle emozioni definibili come di autoconsapevolezza, come la vergogna, il senso di colpa o l’imbarazzo. Si tratta di emozioni che si fondano su come pensiamo che gli altri ci percepiscano e sul modo in cui noi stessi ci vediamo. Di per sé queste emozioni servono a creare una cooperazione tra gli individui e a favorire il vivere insieme in gruppo. Infatti, la vergogna e la colpa possono risultare utili, in certe occasioni, a regolare il comportamento dell’intero di un gruppo agendo a livello individuale. Le difficoltà nascono, invece, quando la vergogna smette di essere un’emozione in grado di regolare il comportamento per diventare una modalità tossica nel rapporto con se stessi e con gli altri. La vergogna tossica è una emozione rivolta verso la propria interiorità e che porta a gallala sensazione molto profonda e spiacevole di essere sbagliati e inadeguati; così facendo la vergogna non è più legata a una circostanza o a una situazione ma diventa parte centrale dell’identità della persona. Le origini di questa vergogna tossica sono da ricercarsi nella famiglia e nei contesti sociali in cui la persona è cresciuta nei quali è stata fatta esperienza di situazioni in cui si sono subiti giudizi o scherni per caratteristiche fisiche o per aspetti comportamentali o psicologici divergenti dalla norma. Proprio per questo chi soffre di vergogna tossica dovrebbe, in primo luogo, fare un lavoro che individui le radici di tali situazioni e la loro funzione nei contesti familiari o sociali in cui sono avvenute le discriminazioni. Per superare la propria vergogna è fondamentale avviare un processo di  negoziazione con se stessi, per costruire un modello del proprio Io meno ideale, più in sintonia ciò che realmente noi siamo; quindi, è importante lavorare sull’accettazione della propria realtà prendendo le distanze emotive da quegli atteggiamenti ricevuti dall’esterno che hanno inficiato l’immagine di noi stessi.

Peter Schellenbaum, La ferita dei non amati, Edizioni RED

Leggi altri pensieri di Peter Schellenbaum: Non amati, autostima e amore di sé

Leggi di più sulla vergogna

la paura di noi stessi

La paura di noi stessi

La paura di noi stessi è una condizione di insicurezza che determina in noi un blocco che spesso è attivo inconsapevolmente. Per riuscire a superarlo è necessaria una consapevolezza orientata a farci osservare tutte le volte che scegliamo un atteggiamento passivo o di rifiuto rispetto all’espressione di noi stessi e alla responsabilità delle nostre azioni. Infatti, un atteggiamento passivo ci porta a d essere impreparati davanti le sfide e le occasioni che ci mette davanti la vita, non permettendoci di coltivare la nostra autostima.

“Non è difficile capire che arrendersi alla paura della nostra fallibilità è autodistruttivo. Arrendersi alla paura di scegliere o prendere decisioni è essa stessa una scelta o una decisione, e come tale avrà delle conseguenze. Prendiamo come esempio un dirigente che, temendo di esercitare il proprio giudizio e la propria iniziativa davanti a un rapido cambiamento economico, guarda inerme mentre la sua azienda perde quote di mercato a favore della concorrenza. La stessa osservazione vale per chi si arrende alla paura di assumersi delle responsabilità. Se la nostra priorità pii alta non è raggiungere degli obiettivi, ma evitare di essere ritenuti colpevoli o responsabili di qualcosa, nella vita non realizzeremo mai nulla. La nostra timidezza diventerà la nostra prigione. Il timore che non osiamo sfidare determinerà i limiti della nostra esistenza. Sia sul lavoro che nella vita privata, il successo è di chi è disposto ad assumersi la responsabilità di realizzare i propri desideri, di chi reagisce alla vita attivamente e non passivamente, scegliendo l’indipendenza a scapito della dipendenza.”

COMMENTO: La paura di noi stessi si traduce in una incapacità ad affrontare la verità su ciò che pensiamo e sentiamo realmente e su ciò che faremmo veramente in certe situazioni. Ogni percorso di crescita personale, compiuto autonomamente o all’interno di una psicoterapia, se svolto con successo deve sicuramente condurre a quella condizione definita come accettazione di sé. Infatti, nel momento in cui riconosciamo, accettiamo e facciamo nostro ciò che siamo, solo allora saremo in grado di sconfiggere la paura di noi stessi che così spesso ci porta a essere ciò che non siamo. Cosa significa questo? Vuol dire “digerire” i nostri pensieri, le nostre emozioni e i nostri comportamenti nel momento in cui essi si verificano, considerandoli espressione di noi stessi. Sicuramente questo non è un invito ad una irresponsabilità gratuita o ad una spontaneità sconsiderata. È piuttosto una esortazione ad una autoconsapevolezza, grazie alla quale iniziamo a non giudicare troppo severamente noi stessi, cominciando a guardare cosa sentiamo e cosa vogliamo e assumendoci il coraggio di mostrarlo, Solo mettendo da parte la paura di noi stessi cominceremo a diventare più forti e ci sentiremo più integri. Come ricorda Nathaniel Branden: “non siamo costretti a farci piacere o a perdonare tutto quello che osserviamo, ma non dobbiamo neppure rifiutare noi stessi.” Se questo accade è possibile scoprire che: “accettando ciò che di sé non ci piace, non è affatto vero che dopo non si riuscirà più a liberarsene, anzi accade l’esatto contrario: l’accettazione di sé è la base della crescita e del cambiamento.”

Chi non consente a se stesso di avere consapevolezza di ciò che pensa realmente, negando e disconoscendo i propri pensieri nel momento in cui arrivano e vivendoli come imbarazzanti, non riuscirà a entrare in contatto con le proprie conoscenze; non potrà elaborare i propri pensieri, finendo per subirli o restando impantanato in essi. La stessa cosa accadrà con ciò che si sente e si prova: negandoci e non riconoscendo come nostri quei sentimenti ed emozioni che potenzialmente potrebbero disturbare il nostro equilibrio, non avremo accesso a informazioni vitali sulle nostre credenze e valori. La paura di noi stessi non ci permette di apprendere nulla su di noi e così non ci resta che continuare ad avere timore dei nostri pensieri, emozioni e azioni ogni volta che questi minacciano di affiorare. “Se non permetto a me stesso di riconoscere e fare mie azioni che adesso mi dà fastidio ricordare, se non me ne prendo la responsabilità, che cosa mi darà la spinta ad agire diversamente in futuro?”

Nathaniel Branden, L’arte di vivere consapevolmente. Corbaccio

Leggi altre frasi di Nathaniel Branden: Consapevolezza, responsabilità e libertà

Leggi su Nathaniel Branden

Willi Pasini

Willy Pasini: gli elementi dell’autostima

Willi Pasini, psichiatra e sessuologo, ci aiuta a capire cosa sia l’ autostima e quali sono le componenti per creare questo particolare equilibrio psicologico.

“L’amore di sé dipende dall’amore che abbiamo ricevuto nell’infanzia dalla nostra famiglia e dai “nutrimenti affettivi” che ci sono stati elargiti. La visione di sé è una forza interiore che ci permette di raggiungere gli obiettivi cui aspiriamo, nonostante le avversità. L’assenza di tale dimensione crea una dipendenza nei confronti del comportamento altrui. Rimaniamo infatti sempre in attesa che l’altro (in amore, sul lavoro) mandi un segnale e solo allora ci sentiamo in grado di agire. La fiducia in sé ha bisogno di azioni ed eventi per mantenersi o svilupparsi: i piccoli successi nella vita quotidiana sono necessari al nostro equilibrio psicologico come il nutrimento e l’ossigeno lo sono a quello corporeo. In altri termini, l’autostima è un mosaico di fattori interni ed esterni che si combinano nella nostra personalità. E nell’educazione familiare e poi scolastica dovremmo abituarci a portare in primo piano l’autostima dei nostri figli, ponendola accanto alle altre caratteristiche di cui ci si occupa abitualmente (lealtà, solidarietà, rispetto delle leggi). In questo modo sarebbe possibile prevenire sia la carenza di autostima (che porta alla depressione, o a un’estrema timidezza) sia la sua ipertrofia (di cui soffrono, ad esempio, i narcisi).”

COMMENTO: L’autostima, fondamentalmente si basa su due punti. Il primo è la fiducia che dobbiamo avere a proposito della nostra capacità di pensare, scegliere e prendere decisioni autonomamente. Una fiducia non solo di poter fare tutto questo senza sbagliare, ma soprattutto permettendosi di sbagliare senza per questo andare in crisi. Il secondo punto è il convincimento di avere diritto di essere felici. L’importanza dell’autostima sta nel fatto che una valutazione positiva di noi stessi funziona un po’ come un sistema immunitario della nostra psiche, dal momento che è in grado di garantirci forza, resistenza e capacità di ripresa. Secondo Nathaniel Branden esistono “sei pilastri” su cui poggia la nostra autostima: vivere in maniera consapevole, senza abbandonarsi alle illusioni, ma affrontando la realtà per quello che è; accettare noi stessi, senza assumere atteggiamenti di ostilità, auto sabotaggio e autolesionismo verso di sé; assumersi la responsabilità delle proprie scelte e delle proprio comportamento, senza addossare dare la colpa agli altri; imparare a farsi valere e a difendere per le proprie convinzioni e i valori in cui crediamo; avere uno scopo nella vita, agendo in modo tale da raggiungere i nostri obiettivi; restare fedeli a se stessi e alle scelte compiute per alimentare un senso di coerenza interna rispetto alla propria vita.

Willi Pasini, Autostima: volersi bene per voler bene agli altri. Mondadori

Leggi su Willi Pasini

Leggi altro articolo: I segreti per vivere bene

Nathaniel Branden

Nathaniel Branden: la consapevolezza

Nathaniel Branden, psicologo statunitense, è uno dei massimi esperti sul tema della consapevolezza. Nei suoi studi sottolinea come essa dovrebbe essere lo strumento che, psicologicamente, guida la nostra vita, suddividendo la consapevolezza in esterna e interna. Quella esterna volta alla conoscenza della realtà intorno a noi, quella interna focalizzata sul conoscere se stessi,

“Vivere consapevolmente significa capire che, vivendo nella realtà e dovendo adattarci a essa per sopravvivere e prosperare, la nostra prima responsabilità è vedere con chiarezza quello che concerne la nostra esistenza e il nostro benessere; più specificamente, quello che concerne le no­stre azioni, interessi, necessità, valori e obiettivi. Lo scopo di questa visione è adattare di conseguenza i nostri compor­tamenti. (…) Vivere consapevolmente significa riconoscere che, alli­neandoci al nostro meglio con la realtà, ottimizziamo le no­stre possibilità di successo, mentre mettendoci contro di es­sa condanniamo noi stessi al fallimento se non alla distru­zione. (…) Vivere consapevolmente significa essere convinti che ve­dere è preferibile all’essere ciechi; che il rispetto per i fatti della realtà porta a risultati più soddisfacenti della negazio­ne di essi; che l’evasione non rende irreale ciò che è reale o viceversa; che è meglio per me correggere i miei errori piut­tosto che fingere di non averli commessi; che più sono consapevole dei fatti riguardanti la mia vita e i miei obiettivi, più sagge ed efficaci saranno le mie azioni. Il senso della realtà ci rendersi conto di tutte queste cose e collegarle tra loro. Sono la roccia su cui poggia una vita consapevole.”

COMMENTO: Oltre alla consapevolezza rivolta a se stessi e alla realtà intorno a noi Nathaniel Branden individuo altri cinque pilastri fondamentali che sostengono il nostro benessere. Il primo è l’accettazione di sé, ossia la comprensione di tutto ciò che noi siamo, compresi quei lati di noi meno piacevoli, accogliendo e non rinnegando ciò che di noi meno ci piace. Questo ci aiuterà a riconoscere quando queste parti di noi si manifestano e, quindi, ad avere più possibilità di gestirle. Il secondo è la maturazione di un senso di responsabilità, per cui assumersi il pieno impegno della nostra realizzazione personale, senza demandare ad altri la costruzione della nostra felicità. Il terzo pilastro secondo Nathaniel Branden è lo sviluppo dell’autoaffermazione, ossia l’abitudine a dare spazio e voce ai nostri pensieri ed emozioni. Il quarto è la capacità di porsi degli obiettivi con cui identificarsi e in grado di spingerci ad impegnarci in qualcosa che per noi sia dotato di senso. Infine, il quinto pilastro è rappresentato dall’integrità personale, ossia il saper mantenere fede ai propri principi, attraverso la lealtà e la coerenza verso noi stessi.

Nathaniel Branden, L’arte di vivere consapevolmente. Corbaccio

Leggi altri pensieri di Nathalien Branden: Consapevolezza e libertà

Leggi su Nathalien Branden

scelte responsabili 2

Le scelte responsabili e l’autostima

Le scelte responsabili non sempre sono facili da prendere; spesso è più facile agire d’impulso seguendo il piacere o la convenienza del momento. Eppure le scelte responsabili sono quelle in grado di aumentare e consolidare la nostra autostima, oltre che a garantirci un buon equilibrio mentale… David Lieberman, “Come non perdere mai più la calma”, TEA

Dentro di noi esistono tre forze che si trovano spesso in conflitto tra loro: lo spirito, l’ego e il corpo. Per sintetizzare al massimo, potremmo dire che lo spirito cerca di fare ciò che è giusto, l’ego cerca di avere ragione e di vedersi nell’ottica migliore possibile e il corpo vuole semplicemente fuggire via da tutto. Ogni volta che nella vostra vita prendete una decisione, potete scegliere: ciò che vi fa stare meglio; ciò che vi fa fare bella figura; la cosa più giusta. Fare la scelta più comoda o più gradevole è una spinta del corpo. Esempi di questa forma di autoindulgenza sono il mangiare troppo e il rimanere a letto ben oltre la sveglia, e più in generale fare qualcosa semplicemente perché ci fa stare bene. Quando agiamo sulla base di una spinta dell’ego, la gamma delle possibilità può spaziare dal dire una battuta cattiva su qualcuno al comprare qualcosa di troppo costoso per le nostre tasche. Nel momento in cui regna l’ego, non siamo attratti dal compiere un bel gesto, ma solamente dal fare bella figura. La nostra autostima si rafforza soltanto quando facciamo scelte responsabili e ci concentriamo su ciò che è giusto: sono le scelte dettate dallo «spirito» (ma possiamo anche chiamarle morali o di coscienza). È proprio in questo campo che l’autostima si intreccia con l’autocontrollo. Libertà emotiva non significa fare tutto ciò che ci sentiamo di fare, ma piuttosto fare ciò che davvero vogliamo a prescindere dai nostri desideri in quel preciso momento. Immaginate di essere a dieta e di provare l’improvvisa pulsione di mangiare un pezzo di cioccolato.

Continua a leggere su: David Lieberman, “Come non perdere mai più la calma”, TEA

Leggi articolo sull’autostima: I segreti per vivere bene

Leggi articolo: Strategie per le scelte responsabili

la paura 4

La paura degli altri e il senso di colpa

La paura degli altri, anche quando non produce una patologia evidente, è comunque causa di difficoltà esistenziale. La paura degli altri è in grado di generare il senso di colpa e tutto ciò ha origini spesso nella nostra infanzia, in quell’apprendimento che ha a che fare con il giudizio degli altri… Lucio della Seta, “Debellare il senso di colpa”, Marsilio Editore

La paura più grande di un essere umano, insieme a quella della morte cui è spesso associata, è di non valere agli occhi degli altri, di poter essere considerato in modo negativo o con ostilità. Ciò è strano, perché non è quasi mai vero che gli altri si occupino così tanto di noi; lo fanno solo occasionalmente e di sfuggita. Quando si prova questa sensazione vuol dire che agiscono ricordi emotivi di ferite che ha subito la nostra autostima durante l’infanzia, soprattutto per l’inadeguatezza psicofisica rispetto agli adulti con i quali convivevamo e ci confrontavamo, ma anche, con frequenza, a causa di episodi che avrebbero potuto essere evitati, come abbandoni, ritiri di affetto, ingiustizie, critiche malevoli, ferite all’amor proprio. Si tratta di un insieme di traumi grandi e piccoli che riemerge per qualche episodio di rapporto imbarazzante con qualcuno, oppure che è diventato un complesso di paura sociale permanentemente in superficie. Il tema centrale de la paura di questo tipo è una incertezza emotiva, irrazionale, sul nostro valore sociale nella percezione altrui. Per “sociale” intendo ogni e qualsiasi interazione o rapporto con una o più persone, anche quando l’interazione è solo nella nostra mente perché solo pensata. Le vere ragioni dell’angoscia che possiamo avere per una interazione passata, presente o futura, ci sfuggono, perché il vero motivo è un dubbio antico di essere inadeguati, e perciò inaccettabili da parte degli altri, ed è un motivo inconscio. Uso il termine “inconscio” per indicare tutto quello che è registrato nella memoria ma che non è, al momento, o mai, disponibile per la coscienza, e per i processi fisiologici che la coscienza percepisce senza poterli identificare. Non, quindi, l’inconscio romantico ottocentesco, popolato da demoni e dèi. Le cause di questa condizione umana universale sono psicobiologiche.

Continua a leggere su: Lucio della Seta, “Debellare il senso di colpa”, Marsilio Editore

Leggi articolo su: La paura di essere consapevoli

Leggi su la paura

autoefficacia 2

L’ autoefficacia e i suoi sabotatori

L’ autoefficacia è la percezione della consapevolezza di essere capaci di saper gestire specifiche attività o situazioni. Scopriamo insieme quali sono i suoi peggior nemici… Pietro Trabucchi, “Perseverare è umano”, Corbaccio

Uno dei principali ostacoli alla motivazione è rappresentato da un debole senso di autoefficacia. Chi pensa che difficilmente ce la farà, chi nutre forti dubbi sulle sue possibilità di riuscita non si impegnerà per raggiungere un obiettivo. Chi ha un basso senso di autoefficacia appare spesso demotivato. Ma cos’è il senso di autoefficacia? È un processo cognitivo che riguarda ambiti specifici: attiene alla mia convinzione di riuscita in contesti molto delimitati. Per esempio, posso avere un basso senso di autoefficacia in cucina; e allo stesso tempo – e senza che questo venga vissuto come una contraddizione – avere un elevato senso di autoefficacia come nuotatore. L’autostima invece è una cosa diversa: è la percezione generale del mio valore come persona. Non riguarda le mie capacità, riguarda il mio valore. È un po’ il bilancio generale di noi stessi in termini di «mi piaccio», «non mi piaccio». Il senso di autoefficacia non ha invece una connessione immediata con il senso generale del nostro valore. Come spiega Albert Bandura, «una persona può giudicarsi irrimediabilmente inefficace in una data attività senza per questo patire una qualsiasi perdita di autostima, se non investe tale attività del senso del proprio valore personale». Il senso di autoefficacia si sviluppa attraverso le esperienze di successo: più successi ottengo, più mi sento bravo e capace, più sono motivato a fare.

Continua a leggere su: Pietro Trabucchi, “Perseverare è umano”, Corbaccio

Leggi altro articolo: Autostima, i segreti per vivere bene

Leggi articolo su: Come acquisire fiducia in se stessi