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Il desiderio e l’autocontrollo

Il desiderio è una parte importante nella vita di ogni individuo, ma la sua gratificazione deve trovare un giusto equilibrio con l’altra fondamentale tendenza essenziale all’esistenza, l’autocontrollo. L’incapacità di resistere ad ogni desiderio o quanto meno di differirlo, crea nell’individuo una inclinazione all’impulsività che alla lunga si rivela dannosa. L’esercizio dell’autocontrollo è invece un’arte capace di fortificarci e che, alla lunga, paga sempre.

“Cedere agli impulsi, se può dare un piacere immediato, è un residuo infantile, un volere tutto subito. A volte questo desiderio irresistibile è accompagnato dalla convinzione più o meno esplicita di essere in credito: la gratificazione mi spetta. Il desiderio è trasformato in diritto. Nessun ritardo è tollerato; nessuna frustrazione è sopportata. La mancata gratificazione è accolta con irritazione, sdegno, a volte furore. Certe volte sul volto di chi vede frustrate le sue aspettative compare un’espressione sdegnata di stupore, come se fosse assurdo o inaccettabile che il mondo non funzioni secondo le sue aspettative. Affrontare la vita in questo modo è pericoloso, perché espone a gravi delusioni, e anche alla manipolazione altrui. Ci mette alla mercé del bambino capriccioso dentro di noi, che urla, strilla e pesta i piedi, e dipende in maniera totale dall’espressione dei suoi impulsi e dalla soddisfazione dei suoi desideri. È un handicap che ci fa perdere molte occasioni d’oro e ci fa correre parecchi rischi inutili. (…) Quante volte ci siamo pentiti di aver seguito un impulso senza pensare? Gli impulsi sono centrifughi: ci portano lontano dal nostro centro, verso qualcosa che è altro da noi. Non c’è nulla di male in questo, e la nostra stessa sopravvivenza è basata sulla capacità di lasciarci tirare fuori da noi stessi. Se però questa tendenza non è bilanciata da una capacità simmetrica di ritornare a noi stessi – una tendenza centripeta – il risultato sarà una mancanza cronica di equilibrio: una dispersione perenne che ci fa vagare fra mille tentazioni, come un viaggiatore che erra in molti paesi e si dimentica la strada per tornare a casa.”

COMMENTO – La possibilità di autoregolare il desiderio  è alla base stessa del vivere sociale: proviamo a immaginare cosa succederebbe se tutte le persone seguissero solo i propri impulsi e non facessero altro che perseguire i propri desideri. Regolare il desiderio vuol dire, infatti, controllare la propria aggressività, l’impazienza; significa essere capaci di ponderare le conseguenze delle azioni che potremmo compiere. Il desiderio ci rende inconsapevoli schiavi di meccanismi manipolatori sia all’interno di relazioni malate sia rispetto all’inganno dei meccanismi consumistici.  Infine, la capacità di regolare il desiderio ci permette di coordinare il nostro agire con quello degli altri, attraverso la cooperazione e l’assunzione di responsabilità. Come nota lo psicoterapeuta Pietro Ferrucci, tanto più siamo in grado di dominare il desiderio, tanto più saremo in grado di acquisire una forza interiore che si renderà disponibile per molte altre prove nella nostra esistenza: affrontare le avversità, raggiungere degli obiettivi, mantenere dritto il timone della nostra barca senza essere troppo influenzati dal canto delle tante sirene pronte a distrarci. Ma quale è la strategia migliore per compiere questo lavoro sul nostro desiderio e renderlo meno padrone della nostra vita. Al di là del fatto di acquisire consapevolezza di noi stessi, la strada maestra è quella di “riuscire a distanziarsi dall’impulso per renderlo meno potente.” Quando il desiderio appare nella nostra mente con tutta la sua forza, spesso pensiamo di essere un tutt’uno con esso, permettendogli di invadere completamente il nostro Io: in questi momenti noi finiamo per essere il nostro desiderio. Ecco, allora, che prendere le distanze da esso significa disidentificarci  ossia apprendere che noi siamo al di là del nostro desiderio che, quindi, è solo qualcosa di temporaneo e passeggero. Prendendo le distanze dal desiderio possiamo considerarlo come un vero e proprio oggetto da analizzare e comprendere meglio: così facendo esso non è più solo un’impellente bisogno da soddisfare ma una parte di noi con cui dialogare e comprendere. Come sottolinea Pietro Fanucci: “la scoperta che ci possiamo distanziare dai contenuti della nostra psiche è fondamentale. Di solito noi siamo vissuti da impulsi e desideri. Ci colgono di sorpresa, ci assalgono con veemenza, ci fanno credere di essere irresistibili. Ci convincono di essere quanto di meglio esista per noi in quel momento. Noi però possiamo imparare a distanziarcene.”

Compiere consapevolmente questa azione di distacco e disidentificazione vuol dire molto semplicemente imparare a saper aspettare, coltivare la pazienza. Se ci pensiamo bene questa semplice conquista è alla base del divenire adulti, abbandonando la pretesa infantile del “tutto e subito”. Saper aspettare vuol dire essere in grado di distogliere la nostra attenzione dalla gratificazione immediata e questo può consentirci una visione più a lungo raggio utile a costruire progetti e a renderci immuni dalle ricompense immediate. Sebbene il termine “disciplina” sia oggi poco di moda, esso indica sempre una capacità fondamentale per gestire la propria vita e raggiungere dei traguardi. La disciplina ci libera dal bisogno di ricompense e rinforzi nell’immediato, dal costante incoraggiamento di qualcuno perché il nostro miglior alleato siamo noi stessi. Come nota Pietro Fanucci la disciplina è importante perché ci rafforza rispetto all’arrenderci al primo impulso che compare, abituandoci a “saper vedere lontano, riflettere su scopi e metodi, non lasciarsi controllare dall’emotività, ridimensionare le frustrazioni, destreggiarsi fra mille ostacoli. È la capacità di valorizzare un domani invisibile anziché un oggi che ci strattona con prepotenza. Il tempo, per chi non riesce a ritardare la gratificazione, è nemico. È sentito come un ostacolo che lo fa penare e si frappone fra lui e la felicità.”

Piero Ferrucci, “La nuova volontà”, Astrolabio

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Massimo Recalcati

Massimo Recalcati: legami d’amore

Massimo Recalcati propone una idea dell’amore che non teme la dimensione del “per sempre” contro l’amore che si consuma veloce nel bisogno di rinnovare il desiderio con un nuovo oggetto. Massimo Recalcati conduce una serrata critica al paradigma del moderno desiderio “mordi e fuggi”, proponendo una visione dell’amore nella stabilità.

“È un dato di fatto: le coppie si separano, i matrimoni falliscono, la durata dei legami si abbrevia. In particolare la nascita di un bambino coincide spesso con una crisi del legame da ambo i lati; l’uomo fatica a ritrovare nella donna, divenuta madre, la donna che lo aveva fatto innamorare; la donna identificando l’uomo come padre della sua famiglia resta sessualmente insoddisfatta e ricerca in un altro l’oggetto capace di rianimare il suo desiderio erotico. La pratica psicoanalitica può offrire infiniti ritratti di questa tendenza. Ma il suo fondamento si trova in quella menzogna che nel nostro tempo sancisce l’equivalenza tra il Nuovo e la felicità. Questa menzogna ci costringe a vivere alla ricerca affannosa del Nuovo con il presupposto (falso) che nel Nuovo si troverebbe la piena realizzazione di se stessi. La ridicolizzazione del pathos amoroso verso l’assoluto, della promessa degli amanti che sia “per sempre”, non scaturisce solo dal disincanto cinico, ma anche e soprattutto dall’imperativo sociale del Nuovo e della sua miscela esplosiva con una versione riduttivamente macchinica dell’uomo (…). Il punto è che nel nostro tempo la difficoltà a unire il godimento sessuale all’amore, che, come abbiamo visto, per Freud definiva la nevrosi più comune della vita amorosa, è diventata l’emblema di una verità che pare inconfutabile: il desiderio è destinato a morire se non rinnova costantemente il suo oggetto, se non cambia partner, se si richiude per troppo tempo nella camera angusta dello stesso legame. (…) L’esigenza che sia “per sempre”, che accompagna ogni vero amore, resiste alla tendenza nichilistica del nostro tempo. Essa afferma in modo inattuale che il legame d’amore non è affatto destinato a dissolversi nel tempo, ma che in esso fa la sua apparizione la sospensione del tempo come figura irruente dell’eterno. L’amore che dura resiste alla spinta corrosiva del godimento fine a se stesso e rifiuta l’illusione che la felicità sia nel Nuovo, in ciò che ancora non si possiede.”

COMMENTO: Massimo Recalcati osserva come la società di oggi tenda a demolire cinicamente l’amore. E davanti a questo attacco le opzioni che restano sembrerebbero essere sole due. Da una parte c’è l’accettazione dell’inevitabile disgregarsi nel tempo del legame amoroso, per cui appare normale il ciclico cambiamento di partner per ridare vigore alle proprie passioni. Dall’altra, per chi non accetta la prima soluzione, – dice Massimo Recalcati – c’è la rassegnazione a trascorrere un’esistenza senza desiderio, all’interno di un quotidiano ménage familiare in cui in cambio della sicurezza affettiva ci si trova a vivere l’essiccamento della passione. Eppure, sostiene Massimo Recalcati le cose non debbono andare necessariamente così, esiste una terza via. Questa alternativa parte dal riconoscere che la nostra società, per ciò che attiene al discorso amoroso e non solo, si nutre di due menzogne fondamentali. La prima riguarda l’idea di un individuo indipendente, libero e autonomo rispetto a tutto; è la menzogna narcisistica che è alla base del culto individualistico di sé, per cui “io prima di tutto”, anche prima dell’oggetto amato.

La seconda menzogna riguarda l’esaltazione di ciò che è Nuovo, per cui solo la continua sua ricerca orienta e nutre desiderio. Ciò che gratifica e soddisfa è solo ciò che non si possiede ancora: nuovi oggetti di consumo, nuovi partner perché solo così si alimentano le nuove sensazione. Come osserva Massimo Recalcati in questa maniera si crea una versione nichilistica del desiderio, condannato per esistere a rincorrere ciò che, di per sé, è destinato a mancare sempre.

Le persone così facendo restano prigioniere di una scriteriata corsa del desiderio da un oggetto all’altro, in quella che sembra essere un’allucinazione collettiva. Una corsa che ci dovrebbe portare incessantemente verso nuovi oggetti, incontri, amori. In questo modo si finisce per non valorizzare mai ciò che si ha perché il “bene” è sempre il nuovo da raggiungere e che non si possiede. La noia, sottile e spesso inavvertito male del nostro tempo, logora i rapporti in essere spingendoci verso quello che non si ha. Quale è allora questa terza via, in grado di smascherare queste menzogne e di portarci fuori da questo desiderio impazzito. Massimo Recalcati riprende una delle tesi più profonde di Sant’Agostino, per cui il vero amore non si fonda sulla cupidigia e sul avido consumo del partner. L’amore mostra la sua vera natura nel suo essere un dono di noi stessi all’altro, attraverso cui non si perde o ci si indebolisce, bensì accresciamo noi stessi. Come diceva la Giulietta di Shakespeare rivolta al suo Romeo: “Più io ti do, più io ho”.

Massimo Recalcati, Non è più come prima. Raffaello Cortina Editore

Leggi altro di Massimo Recalcati: La fedeltà nell’amore

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i bisogni 4

I bisogni e i desideri, quali diversità

I bisogni sono una esperienza che costantemente attraversa la nostra vita; ma non sempre noi o i nostri interlocutori sono consapevoli di quali esigenze entrano in gioco nei conflitti interpersonali. Imparare a riconoscerli è quindi importante, e soprattutto saperli distinguere da quelli che sono i desideri. Thomas Gordon, “Relazioni efficaci”, Edizioni La Meridiana

Negli anni ’50 un giovane psicologo, Abraham H. Maslow, invece di dedicarsi allo studio della patologia umana, cominciò ad interessarsi al modo in cui le persone diventano sane e produttive. Le persone di successo, come Ruth Benedict, Albert Schweitzer, Eleanor Roosevelt, Winston Churchill, e altre che sembravano vivere pienamente la propria vita, diventarono così oggetto del suo peculiare studio. Egli scoprì che queste persone si assomigliavano per molti aspetti. Innanzitutto, non dovevano preoccuparsi della sopravvivenza personale o del senso di continuità. Esse avevano numerosi amici, relazioni amorevoli e solidali, carriere valide e stimolanti nonché frequenti peak experiences, ossia fenomeni che trascendevano l’ordinaria consapevolezza. Ciò che Maslow apprese da questo studio fu che i suoi soggetti avevano tutti i medesimi bisogni. E non è tutto, d’altronde chiunque li ha. Egli classificò i bisogni in una gerarchia in cui i bisogni fisiologici di sopravvivenza (cibo, indumenti, aria, rifugi, ecc.) venivano classificati come primari, seguiti dai bisogni di sicurezza e quindi dai bisogni sociali e cognitivi, in grado di soddisfare molto più della semplice sopravvivenza. Egli segnalò che quando i due bisogni primari di sopravvivenza e di sicurezza sono soddisfatti, affiorano alla coscienza il bisogno di relazionarsi e di appartenere, da lui definite necessità sociali e di appartenenza.

Continua a leggere su: Thomas Gordon, “Relazioni efficaci”, Edizioni La Meridiana

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Baciare : considerazioni psicoanalitiche

Baciare. Con lo straordinario virtuosismo della bocca, coinvolge alcuni piaceri del mangiare anche in assenza di nutrimento. Ma di tutto le attività autoconsolanti e autoerotiche la più ridicola, la più insoddisfacente e di conseguenza la più infrequente è il baciare se stessi. Il bambino si può carezzare o succhiare da solo, o può baciare altre persone e cose, ma non può baciare se stesso. Alla fine, scrive Freud nei Tre saggi sulla teoria sessuale, bacerà altre persone sulla bocca perché lì non gli è possibile baciarsi. Il baciare vedremo – il che a posteriori non sorprende – è, indirettamente, un elemento centrale nella teoria freudiana dello sviluppo sessuale.
Adam Philips, Sul baciare, il solleticare e l’essere annoiati. Il Pensiero Scientifico Editore

Gli adulti provano sentimenti intensi di riservatezza e imbarazzo riguardo al baciare. Ma questa ritrosia – sarebbe stupido o malizioso interessarsi ai baci – nasconde una forte curiosità, che ha origine nell’infanzia, per il baciare e il repertorio dei baci possibili. Ad esempio, una delle più comuni teorie sessuali infantili è quella che i bambini siano concepiti con un bacio. Teoria inesatta, come la maggior parte delle teorie sessuali dell’infanzia, ma suggestiva e metonomicamente corretta. I bambini, allusivamente, hanno ragione riguardo il baciarsi e del resto, come Freud riconosce, queste teorie infantile non svaniscono dopo che i bambini sono stati informati dei cosiddetti fatti della vita. Dopo la spiegazione, scrive Freud: “ i bambini conoscono ora qualche cosa che prima non conoscevano, ma non sanno che farsene di queste nuove nozioni che sono state loro elargite. (…) I bambini si comportano come quei popoli primitivi a cui è stato imposto il cristianesimo e che però continuano in segreto ad adorare i loro vecchi idoli.”
Vale la pena a questo punto di domandarsi quali siano i desideri impliciti nel baciare.
In certi periodi della vita spendiamo un sacco di tempo tramando per i baci, non solo come preliminari al rapporto sessuale, ma per se stessi. È un’esperienza che viene in genere considerata propria dell’adolescenza – ma già gli adolescenti di sesso maschile la giudicano indice di effeminatezza –  anche se l’adolescenza comporta molto facilmente come solo gli adulti possono sapere, il mettere da parte le cose sbagliate dell’infanzia. Nei romanzi e nei film romantici, del genere più popolare e sottovalutato, i baci ci sono ostentatamente mostrati nonostante ci siano, in letteratura come nella vita, delle convenzioni che regolano il dare e ricevere baci, è solo dai film che possiamo davvero imparare quali possono essere le convenzioni contemporanee al riguardo. I modi di un bacio possono essere visivamente rappresentati ma non facilmente descritti, come se il baciare resista alla rappresentazione verbale.

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Desiderio e amore: un’antitesi psicologica

Desiderio e amore, due termini che spesso fanno fatica a stare insieme. Una logica che sembra escluderne sempre uno nel rapporto con l’altro. Umberto Galimberti ci spiega le loro logiche e il perché di questa apparente incompatibilità.
Umberto Galimberti, Le cose dell’amore. Feltrinelli

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Amore è solo la chiave che ci apre le porte della nostra vita emotiva di cui ci illudiamo di avere il controllo, mentre essa, ingannando la nostra illusione, ci porta per vie e devianze dove, a nostra insaputa, scorre, in modo tortuoso e contraddittorio, la vitalità della nostra esistenza.
Tutti, chi più chi meno, abbiamo esperienza del fatto che l’amore si nutre di novità, di mistero e di pericolo e ha come suoi nemici il tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall’idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e tramuta l’amore in un affetto privo di passione o nell’amarezza della disillusione.
L’amore svanisce perché nulla nel tempo rimane uguale a se stesso, specialmente quando si ha a che fare con le persone che la vita costringe a un inarrestabile cambiamento. Ma non è il cambiamento a degradare l’amore, siamo piuttosto noi a fare di tutto per degradarlo. E ci sono ottime ragioni per cui siamo interessati a questo degrado. La prima ragione è l’impotenza psichica” di cui parla Freud a proposito dell’autolimitazione che noi operiamo della nostra capacità di desiderare e di sostenere il desiderio, per cui, scrive Freud: “Dove amiamo non proviamo desiderio, e dove lo proviamo non possiamo amare”.
Privo di desiderio, l’amore garantisce tenerezza , intimità, sicurezza, ma non prevede l’avventura , la tensione e il senso del rischio che alimentano la passione. Dal canto suo il desiderio senza amore è stimolante, eccitante, vibrante, ma non ha l’intensità e il senso di un’elevata posta in gioco che rendono profonda la relazione. Non ci è dato, se non per brevi attimi, di fare esperienza nello stesso tempo dell’amore e del desiderio verso la stessa persona.

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Maternità e desiderio femminile

La maternità non deve risolvere completamente il desiderio della madre nella cura del figlio. La maternità dovrebbe contemplare anche quel desiderio della madre che è altro rispetto alla fusione con il proprio figlio. È proprio questo “altro desiderio” che garantisce alla donna di non cedere all’imposizione “patriarcale” di una femminilità idealizzata nella maternità. Massimo Recalcati, nel solco dell’insegnamento lacaniano, ci parla del “desiderio della madre”.
Massimo Recalcati, Le mani della madre. Feltrinelli

maternità

La figura più decisiva della madre è quella del suo desiderio, del desiderio della madre. Questa figura è assente nel modello contenuto-contenitore attraverso il quale molti psicoanalisti, soprattutto di scuola anglosassone, hanno voluto interpretare il rapporto madre (contenitore) e bambino (contenuto). Al cuore di questo modello c’è la figura della madre come contenitore della vita del figlio; contenitore che deve saper offrire al figlio un ambiente sicuro e affidabile, bonificato dall’angoscia, entro il quale il figlio stesso possa crescere positivamente.
Con il riferimento al “desiderio della madre” (…) non si tratta tanto di negare l’importanza della dimensione costante e affidabile della presenza della madre, quanto piuttosto di mostrare che, per essere una madre davvero “sufficientemente buona”, è indispensabile che il desiderio della donna che è diventata madre non si risolva mai tutto in quello della madre. Ecco il punto chiave: la differenza, la discontinuità della donna dalla madre. Per questa ragione Lacan adotta l’espressione “desiderio della madre” (…) e ci sollecita, per cogliere l’efficacia o la difficoltà di una madre, ad affrontare il problema della sessualità femminile: come in quella donna che diviene madre si è mantenuto, o meno, il desiderio della donna in quanto inesauribile in quello della madre? (…) Se la madre può essere soddisfatta di avere i propri bambini, la donna indica quella parte del desiderio della madre che resta giustamente insoddisfatto. Il fatto che nella madre appaia la donna è una salvezza sia per il bambino che per la madre stessa. Quando la madre cede alla collera e all’irrequietezza è, molto spesso, perché la donna rigetta il suo sacrificio avanzando richieste irriducibili a quelle della maternità.

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Video incontro Massimo Recalcati su “Le mani della madre”
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