Archivi tag: inconscio

la volontà

La volontà e la trappola dei doveri

Non sempre la volontà è un utile strumento per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati, soprattutto quando gli sforzi che stiamo compiendo non sono a favore di mete che realmente sono nostre ma che ci vengono da influenze esterne che abbiamo inconsapevolmente assimilato…

“Le profonde influenze del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro hanno ripetutamente dimostrato di condizionare le nostre azioni, le nostre scelte, le nostre simpatie e antipatie. A nostra insaputa. La vita è fatta di dissolvenze: le esperienze si trasmettono da una situazione all’altra e influiscono su di noi in un secondo tempo, senza che ce ne rendiamo conto. Imitiamo e copiamo spontaneamente ciò che fanno gli altri e «ci prendiamo» -come se fossero un comune raffreddore – le loro emozioni e i loro comportamenti, addirittura fumiamo e beviamo di più se vediamo qualcuno che lo fa alla televisione. Gli obiettivi e i bisogni del momento influenzano i nostri giudizi favorevoli o sfavorevoli verso le cose e le persone, verso ciò a cui prestiamo attenzione e che poi ricorderemo, e influiscono su quante e quali cose compreremo nei negozi. Siamo arcisicuri di poter giudicare una persona solo dal suo volto, ma non è così. Sono numerosissime le influenze inconsce che agiscono sotto la superficie: come facciamo a controllarle? Siamo alla loro completa mercé?”

COMMENTO – Lo psicologo John Bargh ci porta a considerare quanto siamo individui liberi di compiere le nostre scelte e soprattutto a rivalutare il ruolo della volontà nel dirigere il nostro comportamento. Partendo dalla considerazione che siamo soggetti a molteplici influenze esterne che spesso si depositano a nostra insaputa nella parte inconscia della nostra mente, cosa possiamo fare per gestire al meglio la nostra esistenza evitando di opprimerla con sforzi compiuti solo dalla nostra mente cosciente. Questa, infatti, è spesso guidata da pensieri, gusti, idee non propriamente nostre ma che agiscono a nostra insaputa condizionando il nostro comportamento. Allora per non diventare i tiranni di noi stessi dobbiamo imparare alcuni piccoli trucchi per gestire la nostra vita in maniera più “leggera”.

La prima mossa da fare come suggerisce John Bargh è quello di ammettere con noi stessi che per quanto il pensiero cosciente sia importante, esso non è così onnipotente come si possa credere. Non possiamo controllare tutte le influenze e i condizionamenti, quindi, non possiamo avere il pieno controllo cosciente sulle cose della nostra vita. il secondo passo è, conseguentemente, riconoscere che la nostra volontà nelle sue manifestazioni (del tipo “voglio fare quella cosa”, oppure “voglio raggiungere quel traguardo”) non è pienamente libera, ossia controllata dalla nostra coscienza. Molto spesso i nostri “voglio questo” sono influenzati dalle tendenze inconsce frutto dei condizionamenti esterni. Iniziamo a renderci conto che a volte non possiamo raggiungere tutto ciò che desideriamo (e che spesso si tramuta in “devo fare questo o quello”) tramite uno sforzo compiuto coscientemente. Spesso questo meccanismo si tramuta in una trappola per noi stessi che ci troviamo a perseverare in inutili sforzi senza raggiungere l’obiettivo solo perché, probabilmente, quella meta che ”vogliamo” raggiungere forse in realtà non la desideriamo genuinamente ma è il frutto proprio di quei condizionamenti inconsci. Come afferma John Bargh: “il capitano saggio tiene conto dei venti e delle correnti, corregge le manovre quando gli elementi sono contrari e sfrutta la loro forza quando invece si muovono nella stessa direzione della nave. Quello cattivo insiste che l’unica cosa che conta è manovrare il timone, e così va a schiantarsi sugli scogli o finisce alla deriva.”

Il terzo momento consiste, quindi, nell’imparare maggiormente ad avere un sincero contatto con noi stessi, ad ascoltarci. Questo non vuol dire assumere un atteggiamento rinunciatario; bisogna sempre cercare di raggiungere un obiettivo che ci si è proposti, ma quando dopo reiterati tentativi andati a male compiuti con la forza di volontà, proviamo ad ascoltare le altre istanze che sono dentro di noi perché sono proprio queste le cose contro cui lotta la nostra volontà. Forse queste istanze, ossia altre parti di noi, vogliono altro e noi non le stiamo ascoltando impegnandoci in un conflitto con noi stessi. Queste altre istanze interne, forse, hanno altri obiettivi e per questo andrebbero prese in considerazione. Allora proviamo a ragionare in un modo del tutto diverso: se sto facendo troppa fatica a raggiugere uno scopo, la richiesta di ulteriori sforzi che comporterebbe infelicità e disagio ci dice che probabilmente siamo sulla strada sbagliata, che forse quella meta non fa per noi. Impariamo, dunque, non tanto a porci nella vita degli obiettivi ma a scegliere le nostre vere mete. Ricordiamo sempre che la forza di volontà quando è richiesta implica nella nostra mente un contrasto tra parti di noi stessi che “tirano” in direzione opposta. Così l’idea di affidarsi solo alla forza di volontà vuol dire annullare e schiacciare una di queste due istanze, ossia una parte di noi. Questo in termini di salute mentale, di equilibrio non è mai un buon modo di procedere perché agisce in modo unilaterale sopprimendo qualcosa di noi che, comunque, è importante.

John Bargh, “A tua insaputa”, Bollati Boringhieri

Leggi altri pensieri di John Bargh: Obiettivi futuri e scelte inconsce

Leggi su John Bargh

Roberto Assagioli

Roberto Assagioli: osservare l’ inconscio

Roberto Assagioli, fondatore della psicosintesi, ci mostra come gran parte della nostra vita sia guidata da processi mentali inconsci. Tale inconsapevolezza del nostro agire e pensare ci equipara a delle marionette mosse da una volontà non propria…

“Noi ignoriamo le radici, la provenienza, le cause di molte nostre idee, convinzioni, stati d’animo, impulsi; vediamo per così dire il prodotto già formato. Abbiamo delle concezioni filosofiche, religiose, poetiche; dati atteggiamenti di fronte agli altri, impulsi a fare certe cose. Di questo siamo coscienti; ma le loro vere cause ci sfuggono, hanno radici nel profondo del nostro essere. Basta questo a dimostrare l’importanza pratica, vitale dello studio dell’inconscio. Se noi non vogliamo essere spinti quali marionette mosse da fili invisibili, se vogliamo essere consapevoli del come, del perché pensiamo ed agiamo in dati modi, dobbiamo fare un esame profondo, coraggioso di questa zona oscura che è in noi. Si potrebbe domandare perché tutta la nostra psiche non è cosciente, perché siamo consapevoli solo di una parte della nostra personalità. Si può facilmente capire perché ciò avvenga e debba avvenire. Se vi è una molteplicità di elementi e di attività contemporanee non possiamo seguirli tutti ad un tempo.”

COMMENTO: Secondo Roberto Assagioli il motivo per cui ci sfuggono molti contenuti del nostro inconscio non è dovuto solo a questioni di funzionamento della nostra attenzione, ma esistono dei veri e propri ostacoli che impediscono  l’affioramento dell’inconscio, una vera e propria repressione e rimozione. Infatti, la parte cosciente della nostra mente allontana da sé, rimuove tutti quegli elementi che ci riguardano e che al tempo stesso rifiutiamo perché spiacevoli o perché ci spaventano. In questo modo pensiamo che scacciandoli tali elementi vengano annullati, ma questo modo di fare simile a quello dello struzzo che nasconde la testa davanti ad un pericolo, è profondamente illusorio. Non vedere un problema non vuol dire che quello stesso problema si sia annullato. Infatti, questi contenuti rimossi, non più sotto il controllo della coscienza, sono ora liberi “di scorrazzare, di insidiare l’inconscio, come delinquenti che tanto più operano indisturbati, quanto più se ne nega l’esistenza”. Un altro ostacolo alla conoscenza dei nostri contenuti inconsci, secondo Roberto Assagioli, sta nel fatto che spesso essi sono difficilmente assimilabili per la nostra coscienza. Essi, infatti, hanno una natura così differente rispetto alla nostra personalità cosciente, che si fa fatica a riconoscerli come propri e quindi ad inserirli in un più ampio “come siamo”.  Così accade nei confronti di tali contenuti ci comportiamo come quando diciamo di avere qualcosa “sulla punta della lingua” ma non riusciamo a ben focalizzarla. Allora ci succede di avvertire questi contenuti come se essi premessero dentro di noi per uscire fuori “ma non riusciamo a farla entrare nella coscienza”.

Roberto Assagioli afferma che un altro motivo per cui i contenuti dell’inconscio sono esclusi dalla nostra coscienza “è che non sono pronti, sufficientemente elaborati”. Alcune cose che ci accadono non vengono “digerite” normalmente come accade in genere alle esperienze quotidiane e quindi non sono subito pronte e disponibili per la nostra coscienza. Hanno bisogno di un tempo di decantazione nel nostro inconscio che continua a lavorarle per noi. Finché questa elaborazione non è giunta a termine, i contenuti di queste esperienze “non possono nascere nella nostra coscienza; esse possono premere su di noi, darci un senso di disagio, di pena, di fatica, ma non affiorare”. Chiaramente uno degli sforzi fondamentali per la nostra crescita interiore va proprio indirizzato ad osservare e scandagliare questa dimensione inconscia della nostra vita mentale, esplorandola metodicamente e mettendo da parte i nostri pregiudizi su noi stessi. Osserviamo realmente come siamo senza cercare di difenderci dalla percezione di cose di noi che non ci piacciono; impariamo a essere sinceri in questo “guardarci dentro” e riusciremo a vedere fino in fondo tute quelle dinamiche che muovono il nostro essere.

Roberto Assagioli, Cambiare se stessi. Astrolabio

Leggi altri pensieri di Roberto Assagioli: L’atto di volontà

Leggi su Roberto Assagioli

intuizione 1

L’intuizione secondo James Hillman

Cosa è l’ intuizione? Qualcosa di cui fidarsi ciecamente oppure una facoltà psicologica da usare con cautela e da sottoporre a verifica e controllo… James Hillman, “Il codice dell’anima”, Adelphi

La modalità tradizionale per percepire l’invisibile (…) è l’intuizione. L’intuizione comprende anche quella che ho chiamato sensibilità mitica, perché quando un mito ci colpisce, esso sembra la verità e di colpo ci fa vedere le cose da dentro. In psicologia, intuizione significa «conoscenza diretta e non mediata», «percezione immediata o innata di un insieme complesso di dati». L’intuizione prescinde dal pensiero ma non è uno stato emotivo; è una percezione chiara, fulminea e completa, «il suo tratto distintivo essendo l’immediatezza del processo». Le intuizioni «arrivano senza che vi siano passaggi logici coscienti o processi di pensiero riflessivo». È essenzialmente intuitiva, per esempio, la nostra percezione delle persone. Noi assorbiamo l’altro tutto insieme – accento, vestiti, corporatura, espressione, carnagione, voce, postura, gesti, i vari caratteri etnici, sociologici, di classe: tutti questi dati si offrono istantaneamente, come una Gestalt globale, all’intuizione. Gli internisti di una volta usavano l’intuizione nel fare le diagnosi; e usano l’intuizione i fotografi, gli astrologi, i direttori del personale, gli scopritori di campioni sportivi, chi decide l’ammissione a una Facoltà e, presumibilmente, anche gli analisti della cia, tutti coloro che rintracciano le informazioni pertinenti e che in una massa di dati tediosi riescono a vedere un significato invisibile. L’intuizione percepisce l’immagine, il paradigma, una Gestalt. Le intuizioni arrivano, non le facciamo noi. Ci arrivano come idea improvvisa, giudizio certo, significato colto al volo. Arrivano insieme a un evento, come se fossero portate da quell’evento o insite in esso. Un amico mi dice una cosa e io, zac!, ho capito tutto.

Continua a leggere su: James Hillman, “Il codice dell’anima”, Adelphi

Leggi altro articolo: Le funzioni della coscienza

Leggi su James Hillman

lo psichico 1

Lo psichico, un mix di conscio e inconscio

Lo psichico è un aspetto della vita dell’essere umano che ancora oggi, spesso, viene associato solo alla vita mentale conscia. In realtà lo psichico è composto di due qualità: il conscio e, soprattutto, l’inconscio. Ecco alcune prove su questa seconda qualità della vita mentale dell’individuo, nelle parole di Sigmun Freud. Sigmund Freud, “Alcune lezioni elementari di psicoanalisi”, In “Opere”, Bollati Boringhieri

Anche la psicologia è una scienza naturale. Che altro mai dovrebbe essere? Eppure il suo caso è diverso. Non tutti si azzardano a esprimere un giudizio su temi di fisica, e tutti invece – il filosofo come l’uomo della strada – hanno un loro parere da esternare su problemi di psicologia, e si comportano come se fossero quantomeno psicologi dilettanti. E succede una cosa ben strana: che tutti, o quasi tutti, sono d’accordo nel dire che ciò che è psichico ha in effetti un carattere comune, nel quale si esprime la sua essenza. E questo carattere unico e indescrivibile (ma non c’è alcun bisogno di descriverlo) è il carattere della consapevolezza. Tutto ciò che è conscio sarebbe psichico e, viceversa, tutto ciò che è psichico conscio. Questo sarebbe ovvio e non avrebbe senso contraddirlo. (…) No, la consapevolezza non può essere l’essenza de lo psichico, essa è soltanto una sua qualità e anzi una qualità incostante, che talvolta c’è ma assai più spesso non c’è. Lo psichico in sé, quale che sia la sua natura, è inconscio, e probabilmente è di specie analoga a tutti gli altri processi della natura di cui siamo venuti a conoscenza. Per motivare la propria asserzione la psicoanalisi chiama a raccolta parecchi fatti di cui diamo un saggio nel testo che segue. Si sa cosa si intende quando si parla di “idee improvvise”: pensieri che d’un tratto affiorano belli e fatti alla coscienza, senza che nulla si sappia della loro preparazione, che pure dev’esser consistita in atti psichici. Addirittura può accadere che si pervenga in questo modo alla soluzione di un difficile problema intellettuale sul quale prima, invano, si era riflettuto a lungo.

Continua a leggere su: Sigmund Freud, “Alcune lezioni elementari di psicoanalisi”, In “Opere”, Bollati Boringhieri

Leggi altro articolo su l’inconscio: L’esperienza dell’inconscio

Leggi su Sigmund Freud

obiettivi futuri 1

Obiettivi futuri e scelte inconsce

Gli obiettivi futuri che ci poniamo influenzano le nostre scelte nel presente. Tutto ciò va bene fintanto che tali obiettivi futuri sono consapevoli perché questo ci permette di modificarli se ci accorgiamo che influenzano negativamente il nostro presente. Ma se questi obiettivi futuri sono inconsci ne potremmo subire le conseguenze senza essere consci che ciò accada… John Bargh, “A tua insaputa”, Bollati Boringhieri.

Chi, che cosa e dove vogliamo essere nel futuro, prossimo o lontano, condiziona ciò che pensiamo, proviamo e facciamo nel presente. Quello che vogliamo o che abbiamo bisogno di ottenere, dove e chi vogliamo o abbiamo bisogno di essere sono cose che condizionano moltissimo ciò che ci piace o non ci piace ora, in questo preciso momento. Si diventa quello a cui si aspira e si comincia a vedere il mondo attraverso le lenti dell’obiettivo prefissato, indipendentemente dal fatto che l’obiettivo da raggiungere sia consapevole oppure no. I desideri esercitano un grande potere su di noi. È come se i nostri obiettivi futuri ci riconfigurassero, trasformandoci temporaneamente in una persona diversa, con valori diversi e che fa cose diverse da quelle che fa di solito. Purtroppo, spesso ce ne rendiamo conto solo a cose fatte, dopo che l’obiettivo è stato raggiunto o quando non lo rincorriamo più, e a quel punto ci chiediamo che cosa ci sia passato per la testa. (…)Dunque, gli obiettivi futuri intenzionali possono produrre conseguenze indesiderate. Se non altro, quando un desiderio è cosciente possiamo toglierci da davanti agli occhi le lenti dell’obiettivo prefissato e pensare agli effetti pratici del suo conseguimento. Spesso, tuttavia, e per una serie di ragioni, le nostre motivazioni operano a livello inconscio, nascoste dietro le quinte, e influenzano ciò che facciamo a nostra insaputa.

Continua a leggere su: John Bargh, “A tua insaputa”, Bollati Boringhieri.

Leggi altro articolo: Obiettivi e l’efficacia delle nostre scelte

Leggi su John_Bargh

funzioni 4

Le funzioni della coscienza

Cosa è la coscienza, quali rapporti ha con l’inconscio e quali sono le sue funzioni? Carl Gustav Jung con la sua solita chiarezza e semplicità ci parla delle quattro funzioni della nostra vita psichica… Carl Gustav Jung, Fondamenti della psicologia analitica. In Opere complete, Bollati Boringhieri

La psicologia è, in primo luogo, la scienza della coscienza. In secondo luogo, è la scienza che studia i prodotti di quella che denominiamo la psiche inconscia. Non possiamo esplorare direttamente la psiche inconscia perché l’inconscio è inconscio e perciò inaccessibile. Possiamo solo avere a che fare con i prodotti consci che supponiamo essere scaturiti da quel campo che chiamiamo l’inconscio, il territorio delle “rappresentazioni oscure”, come le definisce nella sua Antropologia il filosofo Kant, secondo il quale costituiscono una metà del mondo. Sull’inconscio possiamo dire solo quel che ci suggerisce la coscienza. La psiche inconscia, la cui natura ci è totalmente ignota, si esprime sempre attraverso la coscienza e le sue modalità. Non abbiamo altra possibilità. Non possiamo spingerci oltre, e dobbiamo sempre tenerlo presente, come parametro ultimo del nostro giudizio. La coscienza e una cosa strana. È un fenomeno intermittente. Un quinto, o un terzo o forse persino la metà della nostra vita umana trascorre in condizione di incoscienza. La nostra prima infanzia è inconscia. Ogni notte sprofondiamo nell’inconscio, e soltanto nelle fasi tra la veglia e il sonno abbiamo una coscienza più o meno lucida. E fino a che punto lo sia, non è nemmeno del tutto chiaro. Per esempio presumiamo che un bambino o una bambina di dieci anni siano coscienti, ma si potrebbe facilmente dimostrare che si tratta di un tipo molto particolare di coscienza, presumibilmente una coscienza senza alcuna consapevolezza dell’Io. Conosco diversi casi di ragazzi che intorno agli undici, dodici, quattordici anni o anche oltre, esperiscono improvvisamente il proprio Io. Per la prima volta nella loro vita si rendono conto di essere loro a vivere determinate esperienze, e di poter riandare a un passato nel quale sono accadute certe cose, che ricordano, senza però rammentare di esserne stati attori. Dobbiamo riconoscere che, quando diciamo “io”, non disponiamo di un criterio assoluto per valutare se esperiamo pienamente questo “Io”. È possibile che la nostra esperienza dell’Io sia ancora frammentaria e che in futuro la gente saprà molto più di noi quel che esso significa. (…)

Continua a leggere su: Carl Gustav Jung, Fondamenti della psicologia analitica. In Opere complete, Bollati Boringhieri

Leggi altro articolo di Carl Gustav Jung: La personalità e la sua struttura

Leggi su Jung

C.G. Jung

C.G. Jung parla di sé e della sua vita

C.G. Jung è il padre fondatore della psicologia analitica ed è stato il primo grande eretico all’interno della psicoanalisi freudiana. In questo scritto Jung ci parla della sua vita condotta sotto la spinta della sua voglia di esplorare la natura umana e il suo inconscio. Jung racconta della sua voglia di andare al di là delle cose. Jung ha fatto della sua vita una costante ricerca. Jung parla di sé e della prolungata immersione nelle profondità dell’io, una turbolenta esplorazione dei luoghi più reconditi e inaccessibili della nostra interiorità. C.G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni. BUR

Quando mi si dice che sono un sapiente, o un saggio, mi rifiuto di crederlo. Un uomo una volta immerse un cappello in un fiume e lo ritrasse colmo d’acqua. Che cosa vuol dire? Non sono quel fiume. Sono in riva al fiume, ma non faccio nulla. Altri si trovano sulla riva dello stesso fiume, ma molti di loro pensano di doverlo fare essi stessi. Io non faccio nulla. Non penso mai di essere colui che si debba preoccupare che le ciliegie abbiano gambi. Sto lì a guardare e ammiro ciò che la natura sa fare. C’è una bella antica leggenda di un rabbino. Uno studente andò da lui e disse: “Nei tempi passati vi furono uomini che videro Dio in faccia. Perché questo non succede più?” Il rabbino rispose: “Perché oggi nessuno sa chinarsi tanto.” Bisogna chinarsi un poco, per attingere l’acqua dal fiume. La differenza tra me e la maggior parte degli altri uomini è che per me i “muri divisori” sono trasparenti. È questa la mia caratteristica.

Continua a leggere su: C.G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni. BUR

Leggi altro articolo di Jung: C. G. Jung e la vita semplice

Leggi su Carl Gustav Jung

l'inconscio 2

L’inconscio e la conoscenza di sé

L’inconscio è una parte fondamentale della nostra vita psichica, troppo spesso trascurato o trattato con superficialità. Dalle parole di Jung i reali benefici che un sano rapporto con l’inconscio può comportare in ciascuno di noi. L’inconscio non è solo una parte oscura di noi ma è l’altra parte di ciò che noi siamo. Carl Gustav Jung,  “Un colloquio con Jung sulla psicologia del profondo”, Opere vol. 18, Boringhieri

Conoscere l’“altra faccia” di sé stessiil proprio lato oscuro de l’inconscioproduce un sollievouna riduzione della tensione? La conoscenza di sé stessi non incrementa invece la tensione tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere?

Il fatto di esprimersi è in sé già un grosso sollievo; in generale però lavorare con l’inconscio in un primo momento incrementa e intensifica le tensioni, perché, rendendoli coscienti, attiva i contrasti presenti nella psiche. Del resto tutto dipende dalla situazione di partenza. Chi è troppo ottimista e spensierato, quando diventa consapevole della propria situazione, cade in depressione; nel caso di chi invece non fa altro che tormentarsi il senso di oppressione diminuisce. La situazione di partenza decide se in un primo momento si avrà un sollievo o un aumento del disagio. Grazie all’indagine su sé stessi condotta nell’analisi, le persone si rendono improvvisamente conto dei loro effettivi limiti. Quante volte una donna si è sentita una tenera colomba, senza avere il minimo sentore del demonio che pure si celava in lei. Senza questa consapevolezza però, non potrà né guarire, né trovare la sua integrità! Per qualcuno quindi una più profonda conoscenza di sé stessi si rivela un castigo, per qualcun altro è una benedizione. In generale, qualsiasi presa di coscienza implica una tensione di opposti. Per evitare questa tensione, si rimuovono i propri conflitti. Ma se se ne diventa consapevoli, si va incontro anche alla tensione corrispondente. E questa a sua volta è la spinta determinante per la soluzione dei problemi che sono emersi.

Continua a leggere su: Carl Gustav Jung,  “Un colloquio con Jung sulla psicologia del profondo”, Opere vol. 18, Boringhieri

Leggi altro articolo su l’inconscio: L’esperienza dell’inconscio

Leggi ancora su l’inconscio:

psichico 1

Psichico : quali sono le sue caratteristiche

Psichico : quali sono le caratteristiche di ciò che definiamo con questo termine? Perché non possiamo limitare a ciò che è cosciente questa dimensione della vita mentale dell’uomo? Sigmund Freud, La natura dello psichico. In Opere vol. 11, Bollati Boringhieri

La psicoanalisi ha scarse prospettive di diventare beneamata o popolare. A parte che parecchi suoi contenuti offendono i sentimenti di molte persone, quasi altrettanto disturbante è il fatto che la nostra scienza comprende alcune ipotesi – non si sa se annoverarle fra i presuppostio fra i risultati della nostra ricerca – che certamente appaiono quanto mai stravaganti per il normale modo di pensare della maggior parte delle persone, e si pongono in radicale contraddizione con la mentalità imperante. (…) La psicoanalisi è una parte della scienza dell’anima, della psicologia. È chiamata anche “psicologia del profondo”, il perché lo vedremo in seguito. Se qualcuno dovesse domandare cosa sia in fin dei conti lo psichico, sarebbe facile rispondergli rinviando ai suoi contenuti. Le nostre percezioni e rappresentazioni, i nostri ricordi, sentimenti e atti di volontà: tutto ciò appartiene allo psichico. Ma se viene posto l’ulteriore quesito, se tutti questi processi non abbiano una caratteristica comune, che ci consenta di cogliere con più precisione la natura, o come anche si suol dire, l’essenza dello psichico, rispondere diventa più difficile. (…)Non tutti si azzardano a esprimere un giudizio su temi di fisica, e tutti invece – il filosofo come l’uomo della strada – hanno un loro parere da esternare su problemi di psicologia, e si comportano come se fossero quantomeno psicologi dilettanti. E succede una cosa ben strana: che tutti, o quasi tutti, sono d’accordo nel dire che ciò che è psichico ha in effetti un carattere comune, nel quale si esprime la sua essenza. E questo carattere unico e indescrivibile (ma non c’è alcun bisogno di descriverlo) è il carattere della consapevolezza. Tutto ciò che è conscio sarebbe psichico e, viceversa, tutto ciò che è psichico conscio. Questo sarebbe ovvio e non avrebbe senso contraddirlo. Ebbene, non si può dire che con questa soluzione si getti molta luce sull’essenza dello psichico (…). La psicoanalisi si è sottratta a queste difficoltà contestando energicamente l’equiparazione dello psichico con il cosciente. No, la consapevolezza non può essere l’essenza dello psichico, essa è soltanto una sua qualità e anzi una qualità incostante, che talvolta c’è ma assai più spesso non c’è. Lo psichico in sé, quale che sia la sua natura, è inconscio, e probabilmente è di specie analoga a tutti gli altri processi della natura di cui siamo venuti a conoscenza. Per motivare la propria asserzione la psicoanalisi chiama a raccolta parecchi fatti di cui diamo un saggio nel testo che segue.

Continua a leggere su: Sigmund Freud, La natura dello psichico. In Opere vol. 11, Bollati Boringhieri

Leggi altro articolo correlato: L’esperienza dell’inconscio

Leggi altro sul tema “inconscio”

atto mancato

Atto mancato : il lapsus rivelatore

L’ atto mancato come i lapsus o altre dimenticanze non sono eventi casuali. Ogni atto mancato secondo la psicoanalisi maschera le intenzioni di chi lo compie e la sua analisi rivela i veri motivi che ne hanno causato il verificarsi. L’analisi dell’ atto mancato – spiega Freud – è in grado di mostrare le ragioni inconsce che lo hanno determinato.
Sigmund Freud, L’interesse per la psicoanalisi. Opere complete, Bollati  Boringhieri

Le dimenticanze di parole e nomi altrimenti familiari, la dimenticanza di propositi, i lapsus verbali, di scrittura, di lettura, lo smarrimento di oggetti che li rende introvabili, la perdita di oggetti, gli errori nonostante migliore conoscenza, alcuni gesti e movimenti abituali – fenomeni questi che raggruppo tutti sotto la denominazione di atti mancati dell’uomo sano e normale – sono stati nel complesso poco apprezzati dalla psicologia, classificati come “distrazioni” e fatti derivare dall’affaticamento, dal deviamento dell’attenzione, dall’effetto secondario di certi lievi stati morbosi. L’indagine analitica dimostra invece, con una certezza che basta a soddisfare ogni esigenza, che i fattori succitati hanno semplicemente il valore di condizioni agevolanti che possono anche non presentarsi. Gli atti mancati sono fenomeni psichici pienamente validi, dotati sempre di un significato e di un fine. Essi obbediscono a determinate intenzioni che a causa della situazione psicologica del momento non riescono a esprimersi diversamente. Di regola si tratta di situazioni caratterizzate da un conflitto psichico, attraverso il quale l’intenzione soccombente viene sviata dall’espressione diretta e indirizzata verso vie indirette.

Continua a leggere su: Sigmund Freud, L’interesse per la psicoanalisi. Opere complete, Bollati  Boringhieri

Leggi altro articolo: L’esperienza dell’inconscio
Leggi su Freud