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Il tormento dell’individuazione

Il tormento dell’individuazione sono quelli causati dal senso di colpa che si accompagna sempre, secondo lo psicoanalista Carl Gustav Jung, al processo di individuazione. Sia che assecondiamo la nostra personale realizzazione sia che veniamo meno ad essa, il tormento del senso di colpa rimane un sottofondo che attraversa la nostra esistenza…

“Quando parliamo di individuazione, parliamo di qualcosa che ha a che fare con la pienezza di sé: dunque, di qualcosa che va al di là di ogni traguardo sociale, di ogni dovere morale. Di ogni desiderio, proposito, volontà. Non c’è bisogno allora di addentrarsi più di tanto nel tema per comprendere quale scacco possa rappresentare per un’intera esistenza mancare la propria individuazione. (…) Detto altrimenti, mancare il compito fondamentale è la colpa più grande che potremmo commettere verso noi stessi e, di conseguenza, verso il mondo. Davanti al tribunale della natura, sosteneva ancora Jung, non giungere a comprendere chi siamo, e ancora più non diventarlo. non è mai giustificabile. Nella maggior parte di questi casi, succede che alla fine ci si accorge di essere diventati qualcun altro: abbiamo preso un modello, un esempio, l’abbiamo preso per attrazione, oppure per invidia, ne abbiamo peraltro tratto dei vantaggi. Noi stessi ce ne siamo vantati. Insomma, abbiamo preso una vita in prestito che, prima o poi, saremo chiamati a restituire. In vicende come queste, non c’è beneficio che potremmo aver tratto, capace di far tacere il senso di colpa, che prima o poi si farà sentire. (…) Se al contrario daremo credito all’appello interiore, e ci disporremo a interrogarci sulla nostra individuazione, se eviteremo la finzione, l’imitazione, la maschera, e ogni altro travestimento, ebbene sperimenteremo da subito quanto tutto ciò ci esponga inevitabilmente proprio al sentimento di colpa. Ogni passo verso la comprensione di noi stessi, e ancor più verso il nostro compimento, ogni tappa di questo percorso, ogni gradino di questa scala comporteranno infatti, inevitabilmente, quasi fosse una maledizione, di dover compiere qualche “peccato”. Ci sarà sempre qualcuno che, non volendo noi sacrificare nulla della nostra verità, finiremo per deludere, o per offendere, per tradire o per ferire, per abbandonare o per umiliare. L’individuazione è dunque una brutta storia, perché da qualunque parte la si prenda ha nel sentimento di colpa la sua “segreta simmetria”. Sospinti dall’appello individuativo, chi non faremo patire? A chi non procureremo un piccolo o grande dolore?

COMMENTO: Il tormento psicologico generato dal senso di colpa è un vissuto che si presenta inevitabilmente ogni volta che ci separiamo da qualcosa venendo meno ad aspettative, sensi di appartenenza, comodi modelli preformati, per seguire la strada del proprio sviluppo. Quando scegliamo di realizzare noi stessi, il tormento del senso di colpa è un prezzo da pagare  richiesto a ognuno di noi per portare avanti il processo di individuazione. Del resto è impossibile sfuggire da questo tipo di sofferenza perché il tormento del senso di colpa lo sperimenteremmo comunque, anche se cercassimo di sfuggire e di bloccare il nostro processo di individuazione. Infatti, anche la rinuncia a se stessi viene pagata con un caro prezzo, anch’esso rappresentato dal tormento di non avere avuto il coraggio di vivere la nostra vita, costruendola secondo le nostre aspirazioni e desideri. Come ricordano Quaglino e Roma: “Dunque, dovremmo dire, la colpa è un sentimento dal quale non potremo mai separarci, anzi, si potrebbe ora aggiungere, non dovremmo mai separarci. Tutte le psicologie che includono, tra le molte cose da cui vogliono salvarci, liberarci, riscattarci, anche il senso di colpa non fanno così realmente il nostro interesse. Semmai, il loro. Si mettono il cuore in pace, illudendosi di averci risanato da questo “disturbo”, illudendoci (illudendosi) di averci messo in salvo da questo ospite indesiderato.” In questa luce il tormento del senso di colpa non è da considerarsi come una punizione e, quindi, come qualcosa di cui sbarazzarsi, bensì come qualcosa che ci istruisce rispetto al percorso che stiamo per la nostra vita

Quaglino G.P., Romano A., “Nel giardino di Jung. Raffaello Cortina Editore

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il senso di colpevolezza

Il senso di colpevolezza

Il senso di colpevolezza è un vissuto che tutte le persone provano anche se per alcune di loro esso diventa una condizione ripetitiva e cronica che accompagna molto tempo della propria giornata. Vediamo insieme come il senso di colpa si manifesta e quali potrebbero essere i modi di sbarazzarsene per provare a vivere una vita più felice.

“Il senso di colpevolezza viene a far parte della struttura emozionale di un individuo principalmente in due modi. Nel primo, il senso di colpevolezza viene appreso in tenerissima età e persiste nell’adulto come residua reazione infantile. Nel secondo, l’adulto si autoimpone il senso di colpa per una infrazione a un codice al quale professa di credere.

Senso di colpevolezza residuoÈ la reazione emotiva scatenata da ricordi dell’infanzia. Le frasi che la producono sono una quantità. Hanno inciso sul bambina, e questi, divenuto adulto, ancora se le porta dentro. Tra queste frasi si annoverano ammonizioni quali: “Se lo fai un’altra volta, papà si arrabbia”. “Dovresti vergognarti (quasi intendendo che gli farebbe bene). “Ah, va bene! Allora sono solo tua madre!”. Le implicazioni contenute in queste frasi possono ancora ferire l’adulto che deluda il capoufficio o persone nelle quali egli ravvisi quasi dei genitori. Persiste il tentativo di conquistarsi il loro appoggio, e persiste altresì il senso di colpa se i tentativi falliscono. (…)

Senso di colpevolezza autoimposto – Questa seconda categoria comprende reazioni di colpa assai più tormentose delle prime. L’individuo è immobilizzato da cose che ha fatto di recente, ma che non sono necessariamente collegate alla sua infanzia. Si tratta del senso di colpevolezza che ci si autoimpone allorché si viola una norma o un codice morale da adulti. (…) Puoi dunque considerare il tuo senso di colpevolezza come una reazione a certi standard che ti sono stati imposti, per cui cerchi tuttora di compiacere una persona anche assente investita di autorità su di te; oppure come il risultato del tentativo (fallito) di essere all’altezza di certi standard che ti sei autoimposto, ma che in realtà non hai fatto tuoi se non a parole.”

COMMENTO – Per ognuno di noi è possibile provare a modificare il proprio atteggiamento nei rispetto a ciò che genera il senso di colpevolezza. La maggior parte delle motivazioni che generano in noi il senso di colpa derivano dalla particolare mentalità che abbiamo sviluppato riguardo i fatti della vita e al sistema di valori che la sostengono. Si tratta di qualcosa che abbiamo appreso o che ci è stato insegnato a volte senza che ne noi ne fossimo direttamente consapevoli. Per esempio, possiamo aver appreso a non essere indulgenti con noi stessi, a comportarci in maniera inflessibile riguardo a certi aspetti della vita. Spesso il senso di colpa è collegato al piacere, nel senso di qualcosa che non dovremmo provare  o farlo solo “con discrezione” perché se ne ha una idea sbagliata. È possibile imparare a gustare il piacere senza sentirsi in colpa e a considerarsi persone che sono in grado e possono fare tutto ciò che rientra nel proprio sistema di valori a patto che non arrechi danno a qualcuno. Allo stesso modo possiamo lavorare per non sentire un senso di colpevolezza nei casi in cui facciamo qualcosa che non ci piace e proprio per questo ci ripromettiamo di non farla mai più. Scopriremo così che il senso di colpa non serve e che ci tiene solo immobilizzati impedendoci di vivere liberamente la nostra vita. Di seguito quattro piccoli ma preziosi consigli di Wayne Dyer su come lavorare per debellare il senso di colpa.

  • “Cominciare a guardare al passato come a qualcosa di immutabile, malgrado i penosi stati d’animo che può suscitare. È finito! Non c’è senso di colpa che possa cambiarlo.”
  • “Cominciare ad accettare certe cose di te stesso che tu hai scelto ma che ad altri possono non piacere. (…) Una volta che non avrai più bisogno di essere approvato, sparirà il senso di colpa derivante da un comportamento che non reca approvazione.”
  • “Insegnare alle persone che tentano di manipolarti col senso di colpa, che sei perfettamente capace di far fronte al loro disappunto o delusione.”
  • “Riconsiderare il tuo sistema di valori. A quali valori credi profondamente? Quali, invece, dai solo a vedere di accettare? Elenca questi valori fittizi, e decidi di vivere all’altezza di un codice di valori morali determinato da te, non imposto da altri.”

Wayne Dyer, Le vostre zone erronee, BUR Rizzoli

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la vergogna

La vergogna e il non amore di sé

La vergogna di sé spesso porta chi la sperimenta a non accettare o riconoscere aspetti del proprio carattere o del proprio aspetto fisico. Molto spesso tale sentimenti viene esteso all’intera persona provocando una generale disistima di sé. Imparare a essere consapevoli della propria vergogna è utile per poter lavorare ed elaborare le emozioni che ad essa si associano, per arrivare ad una reale accettazione di sé priva di rigidi pregiudizi.

“C’è un sentimento che i genitori non dovrebbero trascurare se si manifesta nei loro figli: la vergogna. La vergogna scaturisce laddove vi sono punti di conflitto tra individuo e società. Non amiamo ciò che ci fa vergognare: lo nascondiamo. Temiamo di essere disonorati, disprezzati e respinti. Ciò che è socialmente proibito suscita vergogna nell’individuo. Questa vergogna socialmente determinata non va confusa con il naturale pudore, la riservatezza di cui talvolta abbiamo bisogno, la ricerca dell’intimità. Le persone che si vergognano spesso quando sono in presenza degli altri non sono libere, non si amano, tendono a identificarsi con figure di riferimento idealizzate, sono inclini alla depressione. (…) Ci vergogniamo di ciò che non amiamo in noi; si tratti di una precisa parte del nostro corpo (magari le cosce grosse); di una caratteristica (per esempio il desiderio di un maschietto di giocare con le bambole), o ancora di un comportamento o di un crimine giustamente punito dalla società. Come sempre una parte è presa per il tutto: il disprezzo per un singolo aspetto di noi è il disprezzo per tutto il nostro essere. In questo modo, la parte nascosta non potrà esprimere il suo significato paradossale, il suo potenziale, la sua capacità trasformativa.”

COMMENTO: La Vergogna che va distinta dai sensi di colpa. La vergogna possiamo sintetizzarla nell’espressione “io sono cattivo”, il senso di colpa in “io ho fatto qualcosa di cattivo”. Dunque mentre il senso di colpa può sorgere in seguito a qualcosa che abbiamo fatto, a qualcosa che avvertiamo di aver sbagliato e che può generare sofferenza perché avremmo voluto comportarci diversamente, la vergogna implica invece qualcosa di più profondo. Essa, infatti, è una sensazione di imbarazzo o umiliazione che proviamo rispetto a qualche nostra caratteristica e, di conseguenza, è un’emozione associata a una valutazione negativa del Sé, accompagnata da sentimenti di angoscia, di sfiducia, di inadeguatezza. La vergogna si riferisce a ciò che noi pensiamo di essere e che ci appare come inaccettabile e non riparabile. Chi sperimenta la vergogna di solito cerca di non mostrare quegli aspetti di sé per cui provano vergogna, provano a non parlarne con nessuno. Questo modo di fare tuttavia non rappresenta una soluzione (negare un aspetto di sé) ma porta a sperimentare profonde ferite emotive. In conseguenza di ciò, nei casi più estremi, la persona che prova vergogna può arrivare a percepire gli altri come nemici da cui difendersi (sempre per nascondere aspetti di sé non accettati), arrivando ad essere aggressiva (passiva), manipolatoria e priva di fiducia.

Occorre tener presente che la vergogna è un’emozione acquisita, ossia in origine nessun bambino o bambina provano vergogna, ma sono i processi educativi e di socializzazione che ne determinano l’insorgenza. Questi processi generano quelle emozioni definibili come di autoconsapevolezza, come la vergogna, il senso di colpa o l’imbarazzo. Si tratta di emozioni che si fondano su come pensiamo che gli altri ci percepiscano e sul modo in cui noi stessi ci vediamo. Di per sé queste emozioni servono a creare una cooperazione tra gli individui e a favorire il vivere insieme in gruppo. Infatti, la vergogna e la colpa possono risultare utili, in certe occasioni, a regolare il comportamento dell’intero di un gruppo agendo a livello individuale. Le difficoltà nascono, invece, quando la vergogna smette di essere un’emozione in grado di regolare il comportamento per diventare una modalità tossica nel rapporto con se stessi e con gli altri. La vergogna tossica è una emozione rivolta verso la propria interiorità e che porta a gallala sensazione molto profonda e spiacevole di essere sbagliati e inadeguati; così facendo la vergogna non è più legata a una circostanza o a una situazione ma diventa parte centrale dell’identità della persona. Le origini di questa vergogna tossica sono da ricercarsi nella famiglia e nei contesti sociali in cui la persona è cresciuta nei quali è stata fatta esperienza di situazioni in cui si sono subiti giudizi o scherni per caratteristiche fisiche o per aspetti comportamentali o psicologici divergenti dalla norma. Proprio per questo chi soffre di vergogna tossica dovrebbe, in primo luogo, fare un lavoro che individui le radici di tali situazioni e la loro funzione nei contesti familiari o sociali in cui sono avvenute le discriminazioni. Per superare la propria vergogna è fondamentale avviare un processo di  negoziazione con se stessi, per costruire un modello del proprio Io meno ideale, più in sintonia ciò che realmente noi siamo; quindi, è importante lavorare sull’accettazione della propria realtà prendendo le distanze emotive da quegli atteggiamenti ricevuti dall’esterno che hanno inficiato l’immagine di noi stessi.

Peter Schellenbaum, La ferita dei non amati, Edizioni RED

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La paura degli altri e il senso di colpa

La paura degli altri, anche quando non produce una patologia evidente, è comunque causa di difficoltà esistenziale. La paura degli altri è in grado di generare il senso di colpa e tutto ciò ha origini spesso nella nostra infanzia, in quell’apprendimento che ha a che fare con il giudizio degli altri… Lucio della Seta, “Debellare il senso di colpa”, Marsilio Editore

La paura più grande di un essere umano, insieme a quella della morte cui è spesso associata, è di non valere agli occhi degli altri, di poter essere considerato in modo negativo o con ostilità. Ciò è strano, perché non è quasi mai vero che gli altri si occupino così tanto di noi; lo fanno solo occasionalmente e di sfuggita. Quando si prova questa sensazione vuol dire che agiscono ricordi emotivi di ferite che ha subito la nostra autostima durante l’infanzia, soprattutto per l’inadeguatezza psicofisica rispetto agli adulti con i quali convivevamo e ci confrontavamo, ma anche, con frequenza, a causa di episodi che avrebbero potuto essere evitati, come abbandoni, ritiri di affetto, ingiustizie, critiche malevoli, ferite all’amor proprio. Si tratta di un insieme di traumi grandi e piccoli che riemerge per qualche episodio di rapporto imbarazzante con qualcuno, oppure che è diventato un complesso di paura sociale permanentemente in superficie. Il tema centrale de la paura di questo tipo è una incertezza emotiva, irrazionale, sul nostro valore sociale nella percezione altrui. Per “sociale” intendo ogni e qualsiasi interazione o rapporto con una o più persone, anche quando l’interazione è solo nella nostra mente perché solo pensata. Le vere ragioni dell’angoscia che possiamo avere per una interazione passata, presente o futura, ci sfuggono, perché il vero motivo è un dubbio antico di essere inadeguati, e perciò inaccettabili da parte degli altri, ed è un motivo inconscio. Uso il termine “inconscio” per indicare tutto quello che è registrato nella memoria ma che non è, al momento, o mai, disponibile per la coscienza, e per i processi fisiologici che la coscienza percepisce senza poterli identificare. Non, quindi, l’inconscio romantico ottocentesco, popolato da demoni e dèi. Le cause di questa condizione umana universale sono psicobiologiche.

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il senso di colpa 2

Il senso di colpa e l’individuazione

Il senso di colpa è un vissuto inevitabile ogni volta che l’individuo si separa da qualcosa venendo meno ad aspettative, sensi di appartenenza, comodi modelli preformati. Quando decidiamo di realizzare noi stessi, di far percorrere alla nostra vita la sua strada, il senso di colpa è un inevitabile sentimento richiesto a ciascuno di noi per portare avanti il processo di individuazione. Quaglino G.P. e Romano A., “Nel giardino di Jung”. Raffaello Cortina Editore

La persona savia impara soltanto dalla propri colpa. Carl Gustav Jung

Si sa che l’individuazione è il tema centrale della psicologia di Carl Gustav Jung. Abbiamo detto il tema, e non il concetto, perché, come Jung stesso ci ricorda nella sua autobiografia, è la vita ad averglielo insegnato prima che la sua speculazione. La vita sua e forse anche quelle dei suoi pazienti gli hanno insegnato che l’individuazione non è altro che il sentiero che conduce al punto più alto dal quale si scorgono compiutamente il significato e lo scopo dell’esistenza. Da un lato, certo, ciò è piuttosto tautologico: essendo l’individuazione la realizzazione del compito ultimo della nostra vita, è in definitiva la sua stessa rivelazione. Ma dall’altro, ciò resta completamente misterioso: “Che cos’è l’individuazione? È un grande mistero […]: noi non sappiamo cosa sia […]. Per noi è una realtà, tuttavia una realtà proprio sulla linea di confine della comprensione umana”. Quando parliamo di individuazione, parliamo di qualcosa che ha a che fare con la pienezza di sé: dunque, di qualcosa che va al di là di ogni traguardo sociale, di ogni dovere morale. Di ogni desiderio, proposito, volontà. Non c’è bisogno allora di addentrarsi più di tanto nel tema per comprendere quale scacco possa rappresentare per un’intera esistenza mancare la propria individuazione. Quale perdita, quale sfortuna, quale sciagura. E quale peccato.

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senso di colpa 2

Senso di colpa : analisi e rimedi

Come si manifesta il senso di colpa? Quali sono i pensieri che lo sostengono? A cosa serve? E, soprattutto, come provare a sbarazzarsene. Wayne Dyer ci insegna come lavorare con i nostri inutili sensi di colpa per provare ad avere una vita più felice.
Wayne Dyer, Le vostre zone erronee, BUR Rizzoli

Siamo stati in molti a venire prescelti come vittime di una cospirazione, di un complotto non premeditato mirante a trasformarci in vere e proprie macchine da colpa. La macchina funziona nel modo seguente: qualcuno invia un messaggio destinato a rammentarti che, facendo o non facendo, dicendo o non dicendo una certa cosa, sei stato cattivo. Tu rispondi a quel messaggio contristandoti. Sei la macchina da colpa, un congegno strano, che cammina parla respira, e che reagisce con un senso di colpa ogni qualvolta le venga somministrato il combustibile appropriato. Se poi hai avuto un’immersione totale in una cultura come la nostra, che produce colpa, come macchina sei bene oliato. Come mai non hai respinto i messaggi di colpa e d’inquietudine che ti sono stati inviati in tutti questi anni? In gran parte per il motivo che, se non ti senti colpevole, ciò è considerato un “male”, e che non preoccuparsi è “inumano”. Tutto ciò ha a che fare col CUORE. Se qualcuno o qualcosa ti sta veramente a cuore, lo dimostri sentendoti colpevole per le cose terribili che hai commesso, oppure dando prova, visibilmente, di preoccuparti del futuro. È quasi come se tu dovessi dimostrare la tua nevrosi per guadagnarti l’etichetta di persona dotata di cuore.
Il senso di colpa è la più inutile di tutte le “zone” comportamentali. Di tutti gli sprechi di energia emozionale, è di gran lunga il maggiore. Perché? Ma perché, per definizione, ti senti paralizzato nel presente per una cosa che ha già avuto luogo: ciò che è stato, è stato, e nessun senso di colpa può mutarlo.

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