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Io autentico tra individualità e creatività

L’ Io autentico è ciò che ci contraddistingue dalla massa informe degli “altri”. L’ Io autentico è l’espressione più profonda del nostro Sé. Per sviluppare un Io autentico l’individuo deve essere in grado di muoversi creativamente, rifiutando l’acritico spogliarsi della propria individualità. Carotenuto analizza quegli aspetti della vita moderna che spesso rappresentano una trappola per lo sviluppo di un Io autentico. In questa disamina la televisione e tutti i mass media rappresentano una facile tentazione di assumere su di noi i modelli proposti rinunciando così a sviluppare il nostro Io autentico. Aldo Carotenuto. “Oltre la terapia psicologica”, Bompiani

Oggi la “normalità” è frutto di statistiche, di medie da cui il singolo individuo più o meno si discosta, ma mi piace pensare che è proprio in quel più o meno che possiamo scorgere l’unicità e l’irripetibilità della persona (il suo Io autentico). Questo mi induce ad affermare che stiamo assistendo, in questo scorcio di millennio, al nascere e diffondersi di una nuova patologia. Personalmente concordo con Georges Canguilhem – a mio parere un epistemologo fortemente innovativo –  quando sostiene che “il malato è malato per non saper ammettere che una sola norma. La malattia è un modo di vita ristretto, senza generosità creatrice perché senza audacia, nondimeno rimane il fatto che per l’individuo la malattia è una nuova vita”. Le nuove scoperte nel campo della biologia molecolare e della genetica tendono a negare alla malattia ogni rapporto con la responsabilità individuale, addebitando ogni mancanza a un errore, a una “svista” impersonale e casuale, privando così l’essere umano di ogni sua possibilità trasformatrice e autocreatrice. Il termine “errore” coinvolge meno l’affettività di quanto non lo facciano i termini di “malattia” o “male”. Personalmente rifuggo anche da quei principi adattativi che ci vorrebbero tutti ugualmente assuefatti all’ambiente in cui viviamo; l’ambiente non è una costante data e fissata, esso rappresenta l’opera di un essere vivente che momento per momento sceglie di offrirsi o sottrarsi a certe influenze.

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facoltà di critica 1

Facoltà di critica e individualità

La facoltà di critica è un prerequisito per la costruzione della propria individualità. Alla base della facoltà di critica c’è il gusto personale, vero e proprio strumento di differenziazione per l’essere umano. La facoltà di critica basa la propria forza non su dogmi e pregiudizi ma sulla capacità di sviluppare un pensiero autonomo basato sulla propria esperienza. La facoltà di critica può  favorita da una educazione che esalti il giudizio dei bambini senza imposizioni. Alexander Lowen, Il piacere. Un approccio creativo alla vita. Astrolabio

Nella sua piacevolissima serie di saggi Portraits from Memory, Bertrand Russel fa un’osservazione che riguarda se stesso: “È stato sempre l’intelletto scettico, quando ne avrei preferito uno silenzioso, a sussurrarmi dubbi, a tagliarmi fuori dal semplicistico entusiasmo altrui e a gettarmi in una desolata solitudine”. Sebbene fosse consapevole delle sofferenze che gli causava il suo scetticismo, Russel non riuscì a ridurlo al silenzio. Era sua parte integrante, e diventò anche parte integrante del suo lavoro. La sua affermazione pone due importanti quesiti: senza il suo spirito scettico, Russel sarebbe diventato quel pensatore che era? E in secondo luogo: si possono avere delle vere capacità intellettive se queste non includono lo scetticismo? La mia risposta a entrambi i quesiti è “No”. Lo scetticismo di Russel è l’espressione della sua individualità e della sua indipendenza. È la prerogativa di un libero pensatore che forma i propri giudizi in base alla sua esperienza. È la mente dell’uomo che riesce a dire di no. (…) Sarebbe un grave sbaglio credere che Russel mancasse di entusiasmo. Tutto ciò che si conosce di lui e ogni riga dei suoi scritti lo mostrano innamorato della vita, con una visione positiva dell’essere e con punti di vista costruttivi. Il suo scetticismo intellettuale rappresenta la limitazione e la moderazione esercitate da un Io sicuro per compensare una natura piena di entusiasmo. Al contrario, l’entusiasmo semplicistico dell’individuo medio è una disperata ricerca di significati e di sicurezza. Non avendo alcuna vera convinzione interiore, l’individuo di massa aderisce a qualsiasi idea nuova capace di sostenere momentaneamente il suo Io vacillante. I facili entusiasmi sono caratteristici degli amanti incostanti.

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Pensare in sei modi diversi

Rgionare in modo complesso ma in maniera ordinata. È questa la filosofia di Edward de Bono che ci insegna un gioco molto utile per esplorare stili diversi di pensiero, immaginando di indossare tipi di cappelli differenti recitando ogni volta una parte diversa.
Edward de Bono, Sei cappelli per pensare. BUR

La maggiore difficoltà che si incontra nel pensare è la confusione. Cerchiamo di fare troppe cose alla volta. Emozioni, informazioni, logica, aspettative e creatività si affollano fino a farci il giocoliere con troppe palle.
Quello che propongo in questo libro è un concetto molto semplice che consente al pensatore di fare una cosa alla volta. Egli diviene capace di separare le emozioni dalla logica, la creatività dalle informazioni, e così via. Il concetto è quello dei «sei cappelli per pensare». Indossare uno di questi cappelli definisce un certo tipo di pensiero. Nel libro descrivo la natura e il contributo offerto da ogni tipo di pensiero. I sei cappelli per pensare ci consentono di dirigere il nostro pensiero come fa il direttore con l’orchestra. Possiamo trarne fuori quel che vogliamo. In un’interazione è molto utile far uscire le persone dal loro solito binario per farle pensare in maniera diversa alle questioni sul tappeto.  Il maggior valore del concetto dei sei cappelli per pensare è proprio la sua pura convenienza. (…)
Il ruolo primario del cappello per pensare è diviso in sei diverse parti, rappresentate da sei cappelli di diverso colore. Si decide quale dei sei cappelli mettere in un determinato momento. Lo si mette e poi si recita la parte indicata da quel cappello. Dovete guardarvi mentre recitate. Dovete fare del vostro meglio. Il vostro Io, protetto dal ruolo, si impegna fino in fondo nel recitare la sua parte.
Quando si cambia cappello si cambia ruolo. I ruoli devono essere mantenuti distinti. Distinti come la strega e il principe nella pantomima. Vi trasformerete in un gruppo di pensatori — che usano tutti la stessa testa. (…) Ciascuno dei sei cappelli per pensare viene descritto nelle pagine seguenti.

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creatività 1

Creatività e vita quotidiana

La creatività consiste nel mantenere, nel corso della vita, qualcosa che appartiene all’esperienza infantile: la capacità di creare il mondo.
Donald Winnicott, Dal luogo delle origini. Raffaello Cortina Editore

Qualunque sia la definizione di creatività che si voglia accettare essa deve includere il concetto di validità o di inutilità della vita a essere vissuta, e ciò quale conseguenza dell’accettazione o della negazione che la creatività faccia parte dell’esperienza individuale del soggetto. Per essere creativa, una persona deve esistere e avere il sentimento di esistere, non tanto come certezza consapevole, quanto come un dato di base da cui partire. La creatività dunque è l’azione che deriva dall’essere, segno che colui che è, è vivo. L’impulso può essere silente, ma quando possiamo parlare di «fare», allora siamo già in presenza della creatività.
É possibile dimostrare che, talora, in alcune persone, tutte quelle attività che indicano che l’individuo è vivo non sono altro che risposte a stimoli: sospeso lo stimolo, la persona non ha più vita. Ma nel caso limite, la parola essere non ha alcun significato: affinché l’individuo esista, e ne abbia il sentimento, deve predominare in lui il fare impulsivo su quello reattivo. (…) Cercando il termine «creare» in un dizionario, ho trovato questa definizione: «portare a esistere». Una creazione può essere «un prodotto della mente umana». Non è sicuro che la creatività sia una parola del tutto gradita agli eruditi. Per vita creativa io intendo la possibilità di non essere continuamente uccisi o annientati dalla compiacenza verso o dalla reazione a un mondo che fa violenza all’individuo; si tratta di riuscire a vedere ogni cosa in modo sempre nuovo. Mi riferisco all’appercezione in contrapposto alla percezione.

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Pensare : istruzioni per l’uso

Pensare è un’attività per lo più automatica. Tutti diamo per scontato di saper pensare e, in questo modo, trascuriamo la possibilità di modificare, migliorare e potenziare questa nostra capacità. Edward De Bono, ci spiega altre modalità di pensare e come questa facoltà possa essere utilizzata in maniera più funzionale a risolvere i nostri problemi.
Edward De Bono, Sei cappelli per pensare. Biblioteca Universale Rizzoli

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Pensare è la massima risorsa dell’uomo. Tuttavia non siamo mai soddisfatti della nostra capacità fondamentale. Per quanto si diventi bravi, occorre sempre desiderare di essere migliori. Di solito le uniche persone soddisfatte del la loro capacità di pensiero sono quei poveretti che credo no che il pensieri serva a togliersi il gusto di dimostrare che hanno ragione. Solo una visione limitata di quel che il pensiero può fare, e nient’altro, può renderci soddisfatti della nostra bravura in questo campo. La maggiore difficoltà che si incontra nel pensare è la confusione. Cerchiamo di fare troppe cose alla volta. Emozioni, informazioni, logica, aspettative e creatività si affollano in noi ostringendoci a fare il giocoliere con troppe palle. (…)
Recitate la parte del pensatore: lo diventerete (…) Voglio che voi vi raffiguriate la tanto usata — e abusata — immagine del Pensatore di Rodin. Voglio che immaginiate la posa con la mano sul mento che si suppone debba assumere ogni pensatore non del tutto frivolo. In proposito, io sono convinto che pensare dovrebbe essere qualcosa di attivo e vivace, e non di malinconico e solenne. Ma per il momento l’immagine tradizionale ci è utile.
Mettetevi in quella posa — fisicamente, non mentalmente — e diventerete pensatori. Perché? Perché se recitate la parte del pensatore lo diventerete.

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Vita : il suo senso in termini psicologici

Qual è il senso della vita? Donald Winnicott ci parla, in termini psicologici, dei tre livelli della via di un essere umano e del ruolo fondamentale che il gioco e la creatività hanno nel creare quel complesso sistema che è la cultura.
Donald Winnicott, Dal luogo delle origini. Raffaello Cortina editore

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(…) Voglio prendere in considerazione il tipo di vita che una persona sana è in grado di condurre. Cos’è la vita? Non so dare una risposta precisa, ma penso che possiamo essere d’accordo nell’affermare che la vita è più una questione di “essere” che di sesso. Lorelei ha detto: «I baci sono molto piacevoli, ma un bracciale di brillanti rimane per sempre». Essere e sentirsi reali sono caratteristiche specifiche della salute mentale, e solo quando l’essere è un fatto acquisito possiamo procedere verso cose più positive. Ritengo che non si tratti soltanto di un giudizio di valore, ma che vi sia un legame tra la salute emozionale dell’individuo e il senso di sentirsi reali. Senza alcun dubbio la maggior parte della gente dà per scontato il fatto di sentirsi reali, ma a quale prezzo? In quale misura essi negano la verità che di fatto esiste il pericolo di sentirsi non reali, posseduti, di non essere se stessi, di precipitare all’infinito, di non avere una direzione, di essere separati dal proprio corpo, annientati, di essere un nulla, di non avere un luogo in cui stare? La salute non è compatibile con la “negazione” di alcunché.

Le tre vite
Concludo parlando dei tre tipi di vita che le persone sane possono condurre:

La vita nel mondo, con le relazioni interpersonali che costituiscono una chiave anche per l’utilizzazione dell’ambiente non umano

La vita della realtà psichica personale (a volte detta interna). É questo l’ambito in cui una persona creativa si dimostra più ricca di un’altra, più profonda e più interessante. A questa vita appartengono i sogni (o ciò da cui scaturisce il materiale del sogno). (…)

L’area dell’esperienza culturale. L’esperienza culturale ha inizio con il gioco e conduce a tutto ciò che costituisce il mondo umano, dalle arti ai miti della storia, alla lenta marcia del pensiero filosofico e ai misteri della matematica, fino alle istituzioni sociali e alla religione.

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Pensiero laterale : creare le soluzioni

Pensiero laterale e pensiero verticale ovvero creatività e logica a confronto. Edward De Bono con “il dilemma della figlia del mercante” ci introduce alla scoperta di quella forma di pensiero in grado di trovare nuove soluzioni a problemi apparentemente irrisolvibili.
Da: Edward De Bono, Il pensiero laterale. Biblioteca Universale Rizzoli

pensiero laterale

Molti anni fa, ai tempi in cui un debitore insolvente poteva essere gettato in prigione, un mercante di Londra si trovò, per sua sfortuna, ad avere un grosso debito con un usuraio. L’usuraio, che era vecchio e brutto, si invaghì della bella e giovanissima figlia del mercante, e propose un affare. Disse che avrebbe condonato il debito se avesse avuto in cambio la ragazza. Il mercante e sua figlia rimasero inorriditi della proposta. Perciò l’astuto usuraio propose di lasciar decidere alla Provvidenza. Disse che avrebbe messo in una borsa vuota due sassolini, uno bianco e uno nero, e che poi la fanciulla avrebbe dovuto estrarne uno.
Se fosse uscito il sassolino nero, sarebbe diventata sua moglie e il debito di suo padre sarebbe stato condonato. Se la fanciulla invece avesse estratto quello bianco, sarebbe rimasta con suo padre e anche in tal caso il debito sarebbe stato rimesso. Ma se si fosse rifiutata di procedere all’estrazione, suo padre sarebbe stato gettato in prigione e lei sarebbe morta di stenti. Il mercante, benché con riluttanza, finì coll’acconsentire. In quel momento si trovavano su un vialetto di ghiaia del giardino del mercante e l’usuraio si chinò a raccogliere i due sassolini. Mentre egli li sceglieva, gli occhi della fanciulla, resi ancor più acuti dal terrore, notarono che egli prendeva e metteva nella borsa due sassolini neri. Poi l’usuraio invitò la fanciulla a estrarre il sassolino che doveva decidere la sua sorte e quella di suo padre. Immaginate ora di trovarvi nel vialetto del giardino del mercante. Che cosa fareste nei panni della sfortunata fanciulla? E, se doveste consigliarla, che cosa le suggerireste? Quale tipo di ragionamento seguireste?
Se riteneste che un rigoroso esame logico potesse risolvere il problema – ammesso che esista davvero una soluzione – ricorrereste al pensiero verticale. L’altro tipo di pensiero è infatti quello laterale. Chi si servisse del pensiero verticale non potrebbe però essere di grande aiuto a una ragazza che si trovasse in simili frangenti. (…)
Ebbene: la ragazza dell’aneddoto introdusse la mano nella borsa ed estrasse un sassolino, ma senza neppur guardarlo se lo lasciò sfuggire di mano facendolo cadere sugli altri sassolini del vialetto, fra i quali si confuse. “- Oh, che sbadata! – esclamò. – Ma non vi preoccupate: se guardate nella borsa potrete immediatamente dedurre, dal colore del sassolino rimasto, il colore dell’altro.”
Naturalmente, poiché quello rimasto era nero, si dovette presumere che ella avesse estratto il sassolino bianco, dato che l’usuraio non osò ammettere la propria disonestà. In tal modo, servendosi del pensiero laterale, la ragazza riuscì a risolvere assai vantaggiosamente per sé una situazione che sembrava senza scampo. La ragazza, in realtà, si salvò in un modo molto più brillante di quanto non le sarebbe riuscito se l’usuraio fosse stato onesto e avesse messo nella borsa un sassolino bianco e uno nero, perché in tal caso avrebbe avuto solo il cinquanta per cento delle probabilità in suo favore. Il trucco che escogitò le offrì invece la sicurezza di rimanere col padre e di ottenergli la remissione del debito.

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