Archivi tag: coppia

Aldo Carotenuto

Aldo Carotenuto: cosa siamo, coppia o diade?

Aldo Carotenuto, psicoanalista junghiano, traccia una differenza profonda nei rapporti amorosi, tra l’essere coppia o una semplice diade. La superficialità di molte relazioni tende a non considerare questa diversità, con il rischio che sempre di più i rapporti amorosi sono vissuti in maniera veloce e disimpegnata.

“Nonostante che il termine “rapporto” sia oggi abusato e supersfruttato, in realtà non esiste una conoscenza approfondita e completa di questo concetto. Uomo e donna si incontrano, instaurano legami e relazioni, spesso si sposano e hanno dei figli, e in ogni caso danno vita a ciò che dovrebbe definirsi “coppia” ma che, in realtà, altro non è se non una diade. La differenza che rende questi due termini non sovrapponibili è enorme, giacché per dar vita a una diade non sono necessari sentimenti autentici e profondi, non è indispensabile un coinvolgimento emotivo intenso, e lo stesso dicasi per il desiderio di dare senza aspettarsi nulla in cambio. La coppia, invece, è tutto questo e molto di più, è condivisione della vita, di idee e valori, è un volere affrontare insieme a un’altra persona il cammino dell’esistenza. La dimensione relazionale è sì una possibilità che viene offerta a tutti noi, ma si configura come una conquista difficilissima, come l’impresa più ambiziosa che ogni uomo e ogni donna dovrebbero cercare di realizzare. Si tratta però di un compito più gravoso e impegnativo di quanto si possa pensare, un compito a cui tutti siamo chiamati ma che solo pochi riescono a portare a termine. I fallimenti all’interno della sfera relazionale sono i più frequenti e dolorosi di cui sia possibile fare esperienza. Quando un rapporto fallisce o quando addirittura non riesce a concretizzarsi in niente altro che un disastro, è molto difficile ammettere di avere sbagliato, riconoscere i nostri errori, assumerci il peso delle nostre responsabilità. E così, mentendo a noi stessi ancora prima che agli altri, ci ostiniamo senza esitare a definire “coppia” o “rapporto” ciò che in realtà non è altro che un mero vivere insieme a un’altra persona.”

COMMENTO: Aldo Carotenuto pone il problema del perché la dimensione relazionale pur essendo tanto importante per le persone, si presenta spesso come fonte di problematiche rilevanti per uomini e donne. La risposta che lo psicoanalista junghiano dà, parte dalla considerazione che le persone non hanno ancora compreso il profondo significato di quello che è un “rapporto”. Aldo Carotenuto definisce tale situazione come “analfabetismo relazionale” ed imputa a questo il fallimenti dei rapporti interpersonali. Le relazioni uomo-donna, tutt’oggi, presentano profonde disparità in grado di creare lacune non ancora sanate. Infatti, fino ad oggi il rapporto uomo-donna ancora risente fortemente della condizione di sudditanza, per ragioni culturali, in cui si trova la donna e che è stata determinata nel tempo dalla forte prevaricazione del maschile sul femminile. La donna nonostante i cambiamenti sociali e le battaglie culturali non è ancora riuscita a liberarsi dal pesante condizionamento della cultura patriarcale. Dal canto suo il maschile stesso è imprigionato nei dettami di questa cultura che lo rendono schiavo del potere, ossessionato e condizionato dal bisogno di averlo.

Secondo Aldo Carotenuto questa dinamica tra un maschile aggressivo e prevaricatore e un femminile spesso inconsapevolmente rassegnato a tale sottomissione, ha generato lo strutturarsi di ruoli distinti e rigidi per l’uomo e la donna. È sufficiente provare a immaginare cosa usualmente ci aspettiamo da un uomo o da una donna (ad esempio, l’uomo non deve piangere facilmente, mentre questo è più accettabile da una donna) per comprendere come a questi due esseri, solo per il fatto di essere biologicamente diversi, spettino meccanicamente destini differenti: vengono assegnati all’uno e all’altra compiti da svolgere fortemente connotati come maschili e femminili, senza che ci sia una sola ragione o razionalità per questo. Per tornare al rapporto uomo-donna, spesso proprio queste differenze imposte dalla cultura impediscono un vero incontro tra il maschile e il femminile dei partner, che dunque creano solo relazioni diadiche (stare insieme, senza la compenetrazione con l’altro/a) che non riescono a transitare verso un vero “stare con l’altro/a”.

Aldo Carotenuto, L’anima delle donne. Bompiani

Leggi altri pensieri di Aldo Carotenuto

Leggi su Aldo Carotenuto

Robin Norwood

Robin Norwood: gli amori troppo…

Robin Norwood ci dice che si può amare troppo, quando l’amore nasconde in realtà una dipendenza affettiva. Questo tipo di distorsione dell’amore è riscontrabile soprattutto tra le donne, anche se gli uomini possono essere affettivamente dipendenti, specie in quelle che hanno vissuto la propria infanzia in famiglie disturbate nelle quali hanno dovuto costantemente adattarsi agli altri…

“Droga è una parola che fa paura. Evoca immagini di persone dedite all’eroina che si conficcano aghi nelle braccia e che stanno avviandosi verso l’autodistruzione. È una parola che non ci piace e non vogliamo applicarla al nostro modo di rapportarci agli uomini: ma molte di noi sono state “drogate” da un uomo e, come tutti gli altri drogati, hanno bisogno di capire e ammettere la gravità del problema prima di poter cominciare a curarsi e a liberarsene. (…) Se mai vi è capitato di essere ossessionate da un uomo, forse vi è venuto il sospetto che alla radice della vostra ossessione non ci fosse l’amore ma la paura; noi che amiamo in modo ossessivo siamo piene di paura: paura di restare sole, paura di non essere degne di amore e di considerazione, paura di essere ignorate, o abbandonate, o annichilite. Offriamo il nostro amore con la speranza assurda che l’uomo della nostra ossessione ci proteggerà dalle nostre paure; invece le paure e le ossessioni si approfondiscono, finché offrire amore con la speranza di essere ricambiate diventa la costante di tutta la nostra vita. E poiché la nostra strategia non funziona, riproviamo, amiamo ancora di più. Amiamo troppo.”

COMMENTO: Robin Norwood nel suo oramai classico “Donne che amano troppo” ci parla di quegli amori che hanno smesso – se mai lo sono stati – di essere rapporti che fanno crescere e che sono diventati per le donne delle pericolose trappole fatti di sofferenza e sacrifici, fino a rappresentare un reale pericolo anche per la loro vita. Quali sono i segnali che ci dicono che un amore è diventato oramai “tossico”? Robin Norwood porta alcuni esempi estremamente pratici: quando ci si è convinte che essere innamorate voglia dire necessariamente soffrire; quando parlando con le proprie amiche o amici la conversazione verte solo su di “lui” (cosa pensa, cosa sente) e sui suoi problemi e i suoi malumori che finiamo per giustificare sempre insieme al suo brutto carattere e a tutte le sue mancanze e insensibilità nei nostri confronti; quando ci si auto investe del ruolo di terapeuta del proprio “lui”; quando pur soffrendo nella relazione ci si adatta a quel rapporto pensando di non essere abbastanza attraenti per desiderare altro o che sicuramente lui cambierà i suoi modi di fare perché ci ama. Dunque, “amare troppo” non vuol dire amare molti uomini (o donne) o innamorarsi troppo spesso, o amare il proprio partner in maniera troppo intenso e profondo; piuttosto significa aver sviluppato un attaccamento ossessivo a un uomo e avere la pretesa di pensare che questo sia  amore.

Secondo Robin Norwood questi segnali sono la chiara spia che c’è qualcosa che non va il cui nome è dipendenza affettiva. Questo problema è soprattutto diffuso tra la popolazione femminile, in donne che cresciute in famiglie disturbate nelle quali hanno subito situazioni di stress e di sofferenza; si erano sentite poco amate pur desiderandolo molto e soprattutto in cui hanno appreso a !barattare” l’affetto con l’adattamento. Così nelle storie di queste donne – nota Robin Norwood – si osserva un bisogno di superiorità e, al tempo stesso, di sofferenza che riescono soddisfare assumendo un ruolo salvifico e di dedizione verso il partner. Ma perché un numero inferiore di uomini rispetto alle donne soffre di dipendenze affettive?

Sicuramente anche tra gli uomini ci sono individui che mostrano questa ossessione nei confronti della propria partner o che hanno vissuto lo stesso tipo di esperienze infantili. Tuttavia, grazie soprattutto a fattori culturali gli uomini, solitamente, riescono a proteggersi e ad “alleviare le proprie pene” ponendosi mete per lo più esterne: tendono a dedicarsi al lavoro o agli hobby; mentre le donne tendono di più a risolvere la propria “incompletezza” all’interno di relazioni.Robin Norwood nota che non è facile riconoscere la propria dipendenza affettiva, utilizzando il meccanismo della negazione rispetto a ciò che penoso da accettare rispetto a se stesse. Si tratta di un modo naturale, automatico e spontaneo per proteggersi. Purtroppo per risolvere un amore tossico fatto di dipendenza affettiva non ci sono scorciatoie per liberarsi dalla propria inclinazione ad “amare troppo”: bisogna abbandonare il partner anche se questa operazione sarà una dolorosa esperienza che costerà paure e angoscia. Quando certi schemi fanno parte di noi fin dall’infanzia e per il resto della vita li si è praticati automaticamente, non ci sono altre vie d’uscita. Robin Norwood ci ricorda che, in ogni caso, se non si decide per una soluzione così netta e si resta aggrappati al proprio amore tossico, sicuramente non ci aspetta una fatica minore: si dovranno affrontare rispetto al partner molte lotte per resistere all’infelicità, con la differenza che questi sforzi non saranno rivolti alla crescita ma solo alla sopravvivenza. Sta a voi la scelta. Forse, il momento di riconoscere tutto questo non è ancora giunto, l’importante è però sapere che verrà un giorno in cui ci si sentirà pronte a lasciarsi alle spalle una relazione tossica e quel giorno si sarà in grado di affrontare le proprie paure di stare da sole e di guardare fino in fondo le proprie esperienze passate e i sentimenti più profondi.

Robin Norwood, Donne che amano troppo. Feltrinelli

Leggi altri pensieri di Robin Norwood: Donne dipendenti, come riconoscersi

Leggi articolo: Come liberarsi da dipendenza da una persona

Massimo Recalcati

Massimo Recalcati: legami d’amore

Massimo Recalcati propone una idea dell’amore che non teme la dimensione del “per sempre” contro l’amore che si consuma veloce nel bisogno di rinnovare il desiderio con un nuovo oggetto. Massimo Recalcati conduce una serrata critica al paradigma del moderno desiderio “mordi e fuggi”, proponendo una visione dell’amore nella stabilità.

“È un dato di fatto: le coppie si separano, i matrimoni falliscono, la durata dei legami si abbrevia. In particolare la nascita di un bambino coincide spesso con una crisi del legame da ambo i lati; l’uomo fatica a ritrovare nella donna, divenuta madre, la donna che lo aveva fatto innamorare; la donna identificando l’uomo come padre della sua famiglia resta sessualmente insoddisfatta e ricerca in un altro l’oggetto capace di rianimare il suo desiderio erotico. La pratica psicoanalitica può offrire infiniti ritratti di questa tendenza. Ma il suo fondamento si trova in quella menzogna che nel nostro tempo sancisce l’equivalenza tra il Nuovo e la felicità. Questa menzogna ci costringe a vivere alla ricerca affannosa del Nuovo con il presupposto (falso) che nel Nuovo si troverebbe la piena realizzazione di se stessi. La ridicolizzazione del pathos amoroso verso l’assoluto, della promessa degli amanti che sia “per sempre”, non scaturisce solo dal disincanto cinico, ma anche e soprattutto dall’imperativo sociale del Nuovo e della sua miscela esplosiva con una versione riduttivamente macchinica dell’uomo (…). Il punto è che nel nostro tempo la difficoltà a unire il godimento sessuale all’amore, che, come abbiamo visto, per Freud definiva la nevrosi più comune della vita amorosa, è diventata l’emblema di una verità che pare inconfutabile: il desiderio è destinato a morire se non rinnova costantemente il suo oggetto, se non cambia partner, se si richiude per troppo tempo nella camera angusta dello stesso legame. (…) L’esigenza che sia “per sempre”, che accompagna ogni vero amore, resiste alla tendenza nichilistica del nostro tempo. Essa afferma in modo inattuale che il legame d’amore non è affatto destinato a dissolversi nel tempo, ma che in esso fa la sua apparizione la sospensione del tempo come figura irruente dell’eterno. L’amore che dura resiste alla spinta corrosiva del godimento fine a se stesso e rifiuta l’illusione che la felicità sia nel Nuovo, in ciò che ancora non si possiede.”

COMMENTO: Massimo Recalcati osserva come la società di oggi tenda a demolire cinicamente l’amore. E davanti a questo attacco le opzioni che restano sembrerebbero essere sole due. Da una parte c’è l’accettazione dell’inevitabile disgregarsi nel tempo del legame amoroso, per cui appare normale il ciclico cambiamento di partner per ridare vigore alle proprie passioni. Dall’altra, per chi non accetta la prima soluzione, – dice Massimo Recalcati – c’è la rassegnazione a trascorrere un’esistenza senza desiderio, all’interno di un quotidiano ménage familiare in cui in cambio della sicurezza affettiva ci si trova a vivere l’essiccamento della passione. Eppure, sostiene Massimo Recalcati le cose non debbono andare necessariamente così, esiste una terza via. Questa alternativa parte dal riconoscere che la nostra società, per ciò che attiene al discorso amoroso e non solo, si nutre di due menzogne fondamentali. La prima riguarda l’idea di un individuo indipendente, libero e autonomo rispetto a tutto; è la menzogna narcisistica che è alla base del culto individualistico di sé, per cui “io prima di tutto”, anche prima dell’oggetto amato.

La seconda menzogna riguarda l’esaltazione di ciò che è Nuovo, per cui solo la continua sua ricerca orienta e nutre desiderio. Ciò che gratifica e soddisfa è solo ciò che non si possiede ancora: nuovi oggetti di consumo, nuovi partner perché solo così si alimentano le nuove sensazione. Come osserva Massimo Recalcati in questa maniera si crea una versione nichilistica del desiderio, condannato per esistere a rincorrere ciò che, di per sé, è destinato a mancare sempre.

Le persone così facendo restano prigioniere di una scriteriata corsa del desiderio da un oggetto all’altro, in quella che sembra essere un’allucinazione collettiva. Una corsa che ci dovrebbe portare incessantemente verso nuovi oggetti, incontri, amori. In questo modo si finisce per non valorizzare mai ciò che si ha perché il “bene” è sempre il nuovo da raggiungere e che non si possiede. La noia, sottile e spesso inavvertito male del nostro tempo, logora i rapporti in essere spingendoci verso quello che non si ha. Quale è allora questa terza via, in grado di smascherare queste menzogne e di portarci fuori da questo desiderio impazzito. Massimo Recalcati riprende una delle tesi più profonde di Sant’Agostino, per cui il vero amore non si fonda sulla cupidigia e sul avido consumo del partner. L’amore mostra la sua vera natura nel suo essere un dono di noi stessi all’altro, attraverso cui non si perde o ci si indebolisce, bensì accresciamo noi stessi. Come diceva la Giulietta di Shakespeare rivolta al suo Romeo: “Più io ti do, più io ho”.

Massimo Recalcati, Non è più come prima. Raffaello Cortina Editore

Leggi altro di Massimo Recalcati: La fedeltà nell’amore

Leggi su Massimo Recalcati

relazione 2

La relazione psicologica nel matrimonio

La relazione psicologica indica il rapporto diretta tra i due individui che compongono una coppia. Si tratta di una situazione relazionale che presuppone che i due partner abbiano raggiunto un certo grado di consapevolezza di sé e che siano capaci di affrancarsi il più possibile dai vincoli imposti dal proprio inconscio. Carl Gustav Jung, Il matrimonio come relazione psicologica. In Opere vol. 17. Bollati Boringhieri

Sempre, quando parliamo di relazione psicologica, presupponiamo la coscienza. Non esiste relazione psicologica tra due persone che siano entrambe in una condizione di inconsapevolezza. Dal punto di vista psicologico, esse sarebbero totalmente prive di rapporto. Potrebbero essere in rapporto da qualsiasi altro punto di vista, quello fisiologico per esempio; quella relazione tuttavia non si potrebbe definire psicologica. Certo, la totale inconsapevolezza che abbiamo ipotizzato non si riscontra mai in questa misura, esistono tuttavia condizioni di parziale inconsapevolezza di dimensioni non trascurabili. La relazione psicologica è limitata nella misura in cui esistono tali zone di inconsapevolezza. Nel bambino la coscienza emerge dalle profondità della vita psichica inconscia: dapprima non affiorano che singole isole, le quali solo lentamente si uniscono a formare un “continente”, una coscienza coerente. Il progressivo processo di evoluzione spirituale è un ampliamento della coscienza. Nel momento stesso in cui nasce una coscienza unitaria è data la possibilità di una relazione psicologica. La coscienza, fin dove giunge la nostra comprensione, è sempre coscienza dell’Io. Per essere conscio di me stesso devo potermi differenziare dall’altro. Solo dove esista questa differenziazione può esserci rapporto. Benché in genere si operi questa differenziazione, di norma essa è lacunosa, essendo inconsci ambiti magari molto vasti della vita psichica. Rispetto ai contenuti inconsci non ha luogo alcuna differenziazione, e quindi in queste regioni non può neppure crearsi alcuna relazione; qui domina ancora la condizione inconscia originaria di una primitiva identità tra l’Io e l’altro, dunque una totale assenza di relazione.

Continua a leggere su: Carl Gustav Jung, Il matrimonio come relazione psicologica. In Opere vol. 17. Bollati Boringhieri

Leggi altro articolo su: Coppia ovvero l’arte del noi

Leggi su Carl Gustav Jung

psichico 3

La coppia : cinque idee per riflettere

La coppia d’oggi viene raccontata ricorrendo a cinque idee che possono aiutare a ripensare questo tipo di unione. Virginia Satir, storica terapeuta familiare, introduce cinque nuovi modi di pensare alla coppia che possono sensibilmente cambiare il modo in cui gli stessi membri del la coppia possono rapportarsi tra loro. Virginia Satir, Il cambiamento nel la coppia. In M. Andolfi (a cura di) “La crisi del la coppia”, Raffaello Cortina Editore

Nel tempo sono emerse cinque nuove idee che possono sensibilmente cambiare i modi in cui i membri di una coppia si rapportano, come le persone guardano a se stesse e come i terapeuti lavorano. La prima: la possibilità di formare una coppia sana dipende dalla capacità di avere un senso di eguaglianza rispetto all’altro. Questo in contrasto con l’idea vecchia di secoli che la coppia si basa su una disuguaglianza per cui si forma una relazione di dominanza-sottomissione del tipo vittima-carnefice, infermiere-malato ecc. La seconda: ogni persona, maschio o femmina che sia, contiene parti intuitive e parte cognitive. Per funzionare al meglio queste parti devono essere sviluppate e integrate. In passato gli uomini sono stati relegati nel ruolo cognitivo e le donne in quello intuitivo. Credo che il bisogno di pienezza comune a tutti necessiti di entrambi. Nel passato le persone hanno cercato di restringere questa integrazione attraverso relazione maschio-femmina: due persone per fare un intero. La donna rappresentava la parte intuitiva anche per l’uomo e viceversa. Era come se la donna dovesse usare la testa dell’uomo perché non ne aveva una e l’uomo il cuore della compagna. Dal momento che abbiamo bisogno di entrambe le parti, le relazione tra uomo e donna diventava questione di vita o di morte. Come si fa a vivere senza testa o senza cuore? È risultato poi chiaro che questo arrangiamento richiede la “morte del sé” al servizio della “sicurezza amorosa” che porta con sé effetti collaterali catastrofici come senso di colpa, ansia e paura. A loro modo, attraverso i sintomi, le coppie combattono per diventare un intero. Da qualche parte nel profondo sanno che questi effetti collaterali se ne andranno quando saranno persone intere.

Continua a leggere su: Virginia Satir, Il cambiamento nel la coppia. In M. Andolfi (a cura di) “La crisi del la coppia”, Raffaello Cortina Editore

Leggi altro articolo: Partner, i comportamenti di coppia

Leggi su Virginia Satir

matrimonio 1

Matrimonio : tipologie e forme

Matrimonio è un termine che Whitaker applica a una grande varietà di relazioni. Il grande psicoterapeuta statunitense ci racconta quali sono le funzioni di questo tipo di rapporto umano, descrivendoci alcune tipologie di matrimonio. Carl Whitaker, Le funzioni del matrimonio. In M. Andolfi (a cura di) “La crisi della coppia”, Raffaello Cortina Editore

Ci sono molti modi di parlare del matrimonio. Dal punto di vista funzionale ci si può chiedere cosa succede all’individuo nel matrimonio, che cosa ne ricava. (…) Per parlare del matrimonio bisogna avere qualche idea di che cosa è l’uomo, di che cosa è l’individuo prima di unirsi a qualcuno e di quali siano gli aspetti funzionali dell’unione. È ovvio pensare che l’uomo è un handicappato dal punto di vista biologico. Io sono un handicappato biologico; da solo non ho la possibilità di continuare nel tempo: sono tagliato fuori. Sono un handicappato perché non ho seno, né vagina. Non posso riprodurmi. Questo handicap è parte del background funzionale dell’intenso desiderio dell’uno per l’altro. Se eliminiamo per un attimo l’istinto di riproduzione, ci accorgiamo che il problema è quello di essere incompleti. Mancano componenti che sono parte della necessità biologica. per cui ciò che sta dietro il matrimonio è che siamo individui ai quali manca qualcosa. Ci sono altre cose che hanno a che fare con l’individuo. Il concetto di transfert, il fatto che ciascuno trasferisce emozioni da uno stato all’altro. L’omeostasi: lo sforzo dell’individuo di mantenere una sicurezza, una condizione di stabilità. Il carattere fasico dell’essere insieme: puoi raggiungere gli altri e poi perderli. Il fatto che a un certo punto sei con te e in un altro sei oltre te stesso. Questo flusso e riflusso del processo della vita rende difficile il potersi accontentare di dove siamo.

Continua a leggere su: Carl Whitaker, Le funzioni del matrimonio. In M. Andolfi (a cura di) “La crisi della coppia”, Raffaello Cortina Editore

Leggi altro articolo: Coppia, ovvero l’arte del noi

Leggi su Carl Whitaker

coppia 2

Coppia ovvero l’arte del “noi”

Coppia è stare in due. Ma in che modo è questo stare? Sottolineando le differenze oppure preferendo la fusione. Coppia vuol dire compiacere l’altro? Coppia è avere un partner su cui proiettare i nostri fantasmi? Asha Phillips, I no che aiutano a crescere. Feltrinelli

Il sì come dono – Spesso si desidera far piacere al partner, offrirgli qualcosa di unico e di speciale. Ci si dimostra solidali con lui, lo si appoggia, si approvano le sue iniziative. Usiamo espressioni come “la mia metà”, parliamo di essere “un corpo e un’anima sola”, ammiriamo e invidiamo quelli che non si separano mai, che hanno un’unione intima e profonda. Questa immagine della coppia ideale, però, sottovaluta l’importanza del “no”, della differenza. Nella coppia, come con i figli che crescono, un accordo profondo, un’intima unione danno piacere e promuovono la crescita, perché rappresentano una base sicura. Sono convinta tuttavia che anche qui ci sia bisogno di uno spazio, di una distanza fra i due individui perché possano svilupparsi e crescere davvero. Il convolvolo, che vive abbarbicato a un’altra pianta, non la aiuta, ma attorcigliandosi intorno ad essa a volte la soffoca. Dicendo sempre sì al vostro compagno od alla vostra compagna, anche se l’accordo vi sembra reale, finirete per avere entrambi la sensazione che fra voi non ci sia differenza. Può essere un’idea confortante, ma genera staticità: nella vostra vita ci sarà poco movimento. Se in uno dei due avviene un cambiamento, può essere vissuto come un terribile tradimento, come la rottura di un tacito patto. Un altro errore in cui si incorre facilmente è quello di dire sì per compiacere l’altro, anche se non si è del tutto d’accordo. E’ normale essere felici di offrire al compagno qualcosa che gli fa piacere: il vostro sì, per esempio, come un dono. Ma se diventa un’abitudine può sembrare che venga dato per scontato, con l’inevitabile strascico di malumore e di accuse: “Faccio tanto per lui (o per lei) e non mi dimostra mai un po’ di riconoscenza!” In realtà siete stati voi a scegliere questa strada; siete responsabili delle vostre azioni.

Continua a leggere su: Asha Phillips, I no che aiutano a crescere. Feltrinelli

Leggi altro articolo: Psicologia della relazione a due

Leggi articoli su: Vita di coppia

partner 4

Partner : i comportamenti di coppia sbagliati

Partner  : quali sono i modi sbagliati di esprimere una critica all’altro? Cosa nascondono gli atteggiamenti di disprezzo e collera verso il/la partner? Daniel Goleman analizza le conseguenze di questi comportamenti distruttivi per una sana vita di coppia
Daniel Goleman, Intelligenza emotiva. BUR

Fred: Hai ritirato la mia roba in tintoria?
Ingrid: (Con tono di scherno) “Hai ritirato la mia roba in tintoria?” Vattela a prendere da te la tua maledetta roba. Che cosa sono, la tua serva?
Fred: Magari. Se lo fossi, almeno sapresti fare il bucato.

Se si trattasse di uno scambio di battute in una “sitcom”, potrebbe essere anche divertente. Ma questo dialogo dolorosamente caustico ebbe luogo in una coppia che (fatto non molto sorprendente) divorziò nel giro di pochi anni.161 Teatro del loro scontro fu il laboratorio diretto da John Gottman, uno psicologo della Chicago University che ha compiuto l’analisi più dettagliata forse mai condotta sulle emozioni che cementano le unioni e sui sentimenti corrosivi che possono invece distruggerle.162 Nel suo laboratorio, la conversazione dei due partner viene videoregistrata e poi sottoposta a ore e ore di microanalisi per rivelare eventuali correnti emozionali sotterranee. Questa mappatura dei comportamenti distruttivi che possono portare una coppia al divorzio dimostra l’importanza cruciale dell’intelligenza emotiva nella sopravvivenza di un matrimonio.

Continua a leggere su: Daniel Goleman, Intelligenza emotiva. BUR

Leggi articolo “10 insegnamenti utili per la coppia”
Leggi articolo “Uomo e coppia: coppia o diade”