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La felicità, cosa è?

Tutti sono convinti di sapere cosa sia la felicità e forse è anche giusto che sia così visto il carattere ampiamente soggettivo di questa esperienza. Eppure, pur ammettendo questo, è possibile non solo provare a dare una definizione sufficientemente ampia di cosa sia la felicità ma anche evidenziare quali sono quei fallaci convincimenti in proposito che ci portano lontano da un obiettivo comune a tutti noi: la ricerca della felicità.

“Tutti la vogliamo. Tutti la bramiamo. Tutti ci sforziamo di raggiungerla. Persino il Dalai Lama ha detto: «Il vero scopo della vita è la ricerca della felicità». Ma che cos’è esattamente? La parola «felicità» ha due significati molto diversi. Quello più comune è «sentirsi bene». In altre parole, provare un senso di piacere, contentezza o gratificazione. A tutti noi piacciono queste sensazioni, quindi chiaramente le rincorriamo. Come tutte le emozioni umane, però, le sensazioni di felicità non durano. Per quanto ci sforziamo di trattenerle, ogni volta scivolano via. E, come vedremo, una vita dedicata all’inseguimento di queste belle sensazioni è, sul lungo periodo, profondamente insoddisfacente. In realtà, più rincorriamo le sensazioni piacevoli, più tendiamo a soffrire di ansia e depressione. L’altro significato della parola «felicità», molto meno comune, è «vivere una vita ricca, piena e significativa». Quando agiamo in nome di ciò che conta veramente nel profondo del nostro animo, ci muoviamo nelle direzioni che consideriamo degne e preziose, chiariamo cosa è importante per noi nella vita e ci comportiamo di conseguenza, allora la nostra esistenza diventa ricca, piena e significativa, e proviamo un forte senso di vitalità. Non si tratta di una sensazione fugace: è un senso profondo di una vita ben vissuta. E per quanto una vita di questo tipo ci darà sicuramente molte sensazioni piacevoli, ce ne darà anche di spiacevoli, come tristezza, paura e rabbia. Dobbiamo metterlo in conto. Se viviamo una vita piena, proveremo l’intera gamma delle emozioni umane.”

COMMENTO – Tutte le persone cercano la propria felicità ma in questa ricerca commettono alcuni errori che nascono da alcuni pregiudizi a proposito di questo argomento. Tali “miti” su cosa sia la felicità possono essere di intralcio al percorso di ricerca, portando l’individuo spesso esattamente nella direzione opposta. Russ Harris individua quattro falsi miti che circolano a proposito della felicità: la felicità è la condizione naturale di tutti gli esseri umani; se non sei felice, hai qualcosa che non va; per avere una vita migliore dobbiamo sbarazzarci dei sentimenti negativi: dovresti essere capace di controllare ciò che pensi e che provi. Sul primo falso mito è sufficiente scorrere alcune statistiche che parlano della sofferenza del genere umano: il numero dei suicidi, quello delle separazioni o quello dei consumi di psicofarmaci. In realtà, dunque, la felicità è solo un traguardo per le persone e non una condizione naturale, per cui chi la desidera deve rimboccarsi le maniche e impegnarsi. Il secondo falso mito è una conseguenza del primo: la mancanza di felicità è ritenuta una debolezza o una colpa, il frutto di qualche cosa che non va nella nostra mente. Sappiamo bene, guardandoci intorno, che le cose non stanno così per cui non dobbiamo sentirci in colpa dei nostri disagi. Semmai ci dovremmo rammaricare di non impegnarci per cercare di essere felici. Sul terzo falso mito Russ Harris ci ammonisce che: “viviamo nella società dello «star bene», intrisa di una cultura ossessionata dalla ricerca della felicità. E che cosa ci dice di fare questa società? Di eliminare le emozioni «negative» e di fare il pieno di quelle «positive».” Si tratta di un proposito molto bello ma che non riconosce la natura dell’essere umano nella cui esperienza trovano posto sia emozioni positive che negative. Quindi non sentiamoci in colpa se ci capiterà di vivere vissuti spiacevoli o negativi. L’importante è non indulgere in essi. Sul quarto mito c’è da dire che effettivamente gli individui possono avere un certo grado di controllo sui propri pensieri e sule proprie emozioni. Tuttavia tale controllo è sicuramente inferiore a quanto spesso ci viene detto che dovremmo avere. Ben più importante è la gestione dei nostri comportamenti e delle azioni perché è “praticando, facendo che ci creiamo una vita ricca, piena e significativa alla luce di ciò che ciascuno di noi ritiene importante e cui dà valore”. Purtroppo se basiamo troppo la nostra vita sul desiderio dell’assoluto controllo di pensieri ed emozioni, quando il nostro impegno fallisce ci troveremo a sperimentare una profonda frustrazione accompagnata da un senso di inadeguatezza e imperfezione. Sicuramente tutto ciò non ci aiuterà nella ricerca della felicità.

Russ Harris, La trappola della felicità, Erickson

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Emozioni positive e felicità

Le emozioni positive sono la via di accesso alla felicità che, a sua volta, favorirà successo e risultati nella nostra vita. Dunque la prospettiva che vuole che sia il successo a generare la felicità viene completamente ribaltata… Shawn Achor, “Il vantaggio della felicità”, Edizioni “Scuola di Palo Alto”

Per innumerevoli generazioni siamo stati portati a credere che la felicità orbitasse intorno al successo, che, se lavoriamo sodo, avremo successo e solo allora saremo felici. Il successo doveva essere il punto fermo nell’universo del lavoro e la felicità era pensata per ruotargli attorno. Ora, grazie ai progressi nel campo in espansione della Psicologia Positiva, stiamo imparando che è vero il contrario. Quando siamo felici – cioè quando la nostra mentalità e il nostro umore sono positivi – siamo più intelligenti, più motivati e, quindi, otteniamo un successo maggiore. La felicità è il fulcro e il successo le ruota attorno. Sfortunatamente, malgrado decenni di ricerche che ci illustrano come stanno davvero le cose, molte aziende e i loro leader rimangono ostinatamente attaccati al vecchio modo – errato – di pensare. Coloro che detengono l’autorità e il potere continuano a dirci che se oggi lavoriamo sodo avremo successo e, di conseguenza, saremo più felici, in un futuro più o meno vicino. Mentre siamo impegnati a raggiungere i nostri obiettivi, la felicità è quasi irrilevante, oppure rappresenta un lusso di cui possiamo facilmente fare a meno o una ricompensa che può essere guadagnata solo dopo una vita di fatica e sacrifici. Alcuni la considerano addirittura una debolezza, un sintomo che non ci stiamo dando da fare abbastanza. (…)

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Emozioni distruttive : cosa sono, cosa fare

Le emozioni distruttive inquinano la nostra mente. Per cui le emozioni distruttive sono da evitare perché ci impediscono di vedere realmente le cose per come sono. La prospettiva della psicologia buddhista apre sulle emozioni distruttive una interessante prospettiva di lavoro. Dalai Lama e Daniel Goleman, Emozioni distruttive, Oscar Mondadori

Il primo obiettivo affrontato da Matthieu fu lo iato tra il termine inglese e quello buddhista per definire il concetto di emozione. Fece notare che «emozione» è un termine molto generico. L’inglese «emotion» deriva dalla radice latina emovere – l’idea di qualcosa che mette la mente in movimento verso un’azione che può essere dannosa, neutra o positiva. «Nel contesto del buddhismo, invece, si chiama emozione qualcosa che condiziona la mente, facendole adottare un certo punto di vista o visione delle cose. Non è necessariamente un riferimento a uno scatto emotivo verificatosi all’improvviso nella mente, che è forse quanto di più vicino a ciò che gli scienziati studiano come emozione. Il buddhismo considera un evento del genere un’emozione grossolana, come quando una persona è evidentemente arrabbiata, triste o in preda a un’ossessione.» Per chiarire ulteriormente questa distinzione cruciale tra la concezione buddhista e quella occidentale delle emozioni, Matthieu offrì una panoramica estremamente concisa della questione, affrontandola dal punto di vista della psicologia buddhista. Cominciò descrivendo un parametro molto diverso da quello usato in Occidente per identificare un’emozione come distruttiva: essa è tale non tanto se provoca danni evidenti ma se ne provoca uno ben più sottile, e cioè se distorce la percezione della realtà. «Come si distinguono le emozioni costruttive da quelle distruttive in una prospettiva buddhista?» continuò. «In linea di massima, un’emozione distruttiva – alla quale ci si riferisce anche come a un fattore che “oscura” o “affligge” – è qualcosa che impedisce alla mente di riconoscere la realtà per quello che è. In presenza di un’emozione distruttiva, ci sarà sempre uno iato tra apparenza ed essenza delle cose.

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Psicologia positiva : capacità e potenzialità

La psicologia positiva è un nuovo modo di approcciarsi all’essere umano non più facendo attenzione agli aspetti “mal funzionanti” della nostra psiche ma sugli aspetti di crescita e di miglioramento dell’uomo. Essa ha così posto l’accento su quegli atteggiamenti mentali e comportamentali in grado di sostenere il nostro benessere al fine di promuovere una maggiore consapevolezza su di essi e studiare efficaci strategie per potenziarle. Paolo Meazzini, Vivere con il sole in tasca, Franco Angeli.

Il primo decisivo passo verso la psicologia positiva fu quello di creane una codificazione degli elementi individuali e sociali che danno vita alla psicologia positiva e che vanno sotto il nome di Virtues and strengths. Di non facile traduzione, a dire il vero, visto che quella letterale di virtù e di forza non dicono nulla o ben poco al lettone italiano. Una traduzione sicuramente meno letterale ma più facilmente comprensibile potrebbe essere quella di capacità (virtues) e di potenzialità (strengths). Al fine di poter elencare capacità e potenzialità, che costituiscono il nucleo della psicologia positiva, furono organizzati gruppi di ricerca il cui scopo era quello di consultare i testi fondamentali delle religioni (Bibbia, Corano, Unpanishad ecc.) e delle diverse filosofie (da quella greca a quella moderna). Un lavoro davvero imponente, che richiese l’intervento di decine di studenti e ricercatori (…) Uno sforzo così grandioso approdo infine a un elenco di 24 capacità, che costituiscono le basi della psicologia positiva. per ognuna delle quali è indicato un numero diverso di potenzialità, come si può evincere dalla lettura della tab. 1. (…) Nella tab. 1 viene presentato il risultato di questa attività, volta a individuare capacità e potenzialità, che costituiscono la base dell’attuale psicologia positiva. ln essa le capacità sono elencate nella colonna di sinistra e le potenzialità in quelle di destra.

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Il sito della Società Italiana di Psicologia Positiva

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Ottimismo : come funziona

Cosa è l’ottimismo? Quanti tipi di ottimismo esistono e come influenzano la nostra vita. La psicologia positiva ha riscoperto una serie di caratteristiche dell’individuo e a dimostrato come queste siano correlate al benessere personale, oltre che influenzare la ricerca della propria felicità.
La condivisione del benessere, a cura di Antonella Delle Fave. Franco Angeli

L’ottimismo, in quanto stato d’animo positivo e disposizione generale ad attendersi dall’ambiente fisico e sociale qualcosa di favorevole che sia motivo di piacere e fonte di vantaggio per se stessi, non costituisce un concetto univoco. Esso deriva dalla psicologia del senso comune e, in quanto tale, presenta aree d’indeterminatezza concettuale e di vaghezza teorica (è il classico “bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto”). Dal momento in cui l’ottimismo è stato assunto all’interno della psicologia scientifica ed è diventato un costrutto scientifico, esso è stato declinato in molti modi diversi, a livello sia teorico sia operativo. Appare quindi opportuno analizzare i principali modelli al fine di fornire una mappa concettuale in cui ogni forma di ottimismo occupa una posizione distinta.

Ottimismo realistico e ottimismo irrealistico
Innanzi tutto, è utile procedere alla distinzione fra ottimismo realistico e ottimismo irrealistico. Il primo è una prospettiva a partire dalla quale si attendono risultati positivi nella vita, pur sapendo tenere conto dei vincoli e feedback fomiti dall’ambiente fisico e sociale, mentre il secondo risulta ingenuo e illusorio, poiché orienta i soggetti a stimare in modo infondato di avere maggiori probabilità di sperimentare eventi positivi rispetto alla maggioranza degli altri e, nello stesso tempo, a ritenere di avere minori probabilità di andare incontro a eventi negativi rispetto alla maggioranza degli altri. Si tratta di una forma comparativa che conduce a una distorsione ottimista di natura illusoria e magica.
Mentre l’ottimismo realistico svolge importanti funzioni di adattamento e ha effetti rilevanti sul benessere fisico e mentale, il secondo è un atteggiamento di disadattamento e induce effetti negativi sulla salute fisica e psicologica.

Continua a leggere su: Rolf Selling, Le persone sensibili hanno una marcia in più. Feltrinelli

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