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Il viziato : anatomia di una psicologia

L’individuo viziato è una personalità che nasce da un certo tipo di educazione e che, soprattutto, avrà una disposizione nell’affrontare la vita particolarmente svantaggiosa… Alfred Adler, “Il senso della vita”, Newton

Le persone viziate non godono di buona fama; non ne hanno mai goduta. Ai genitori non piace essere accusati di aver viziato i loro figli. Ogni persona viziata si rifiuta di essere considerata tale. Nessuno di noi saprebbe spiegare con esattezza cosa voglia dire viziare; però, come per intuizione, si sa che l’educazione viziante è un peso e un ostacolo a un corretto sviluppo. Essere viziati piace a tutti, ad alcuni però in modo particolare. Molte madri sanno solo viziare. Per fortuna molti figli si difendono con forza dall’essere viziati, con una forza che talvolta riesce a ridurre i danni che potrebbero venir arrecati. Ridurli ricorrendo a formule psicologiche è difficilissimo. Non possiamo adottarle come direttive perché nella ricerca delle basi di una personalità o per spiegare atteggiamenti o caratteri queste potrebbero venir applicate senza discernimento, alla cieca. Dobbiamo aspettarci sempre un milione di varianti e sfumature e cercare conferma a ciò che crediamo di aver scoperto tramite controlli e confronti. Infatti il bambino che non vuol essere viziato oppone di solito una resistenza esagerata, cioè si difende anche nelle situazioni in cui sarebbe opportuno l’aiuto esterno. Quando, in seguito, nella vita l’atteggiamento viziato tenta di farsi strada ma la libera volontà è integra, cosa molto frequente, il viziato prova disgusto per la situazione che si è venuta creando. Però questo disgusto non modifica lo stile di vita. Lo ha acquisito durante l’infanzia ed è un’abitudine ormai radicalizzata. Secondo la Psicologia Individuale il solo modo per capire un individuo consiste nell’osservare i comportamenti che adotta per risolvere i suoi problemi della vita.

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Il sentimento e la sua educazione

Il sentimento è un fiume che arriva alla nostra coscienza portando materiali direttamente dal nostro inconscio, spesso dalla sua parte più ombrosa. Il coraggio sta nel riuscire a mettere a tacere i tentativi esplicativi e normalizzanti della nostra razionalità e predisporci al suo ascolto. James Hillman, “Trame perdute”, Raffaello Cortina Editore

La scuola tende a sviluppare soprattutto le funzioni pensiero e sensazione, sebbene i test di intelligenza, con l’enfasi che pongono sulla rapidità e la capacità di indovinare, privilegino l’intuizione. L’educazione del sentimento, nel senso del gusto, dei valori, delle relazioni, non è certo al centro dell’educazione scolastica. La musica, l’arte, lo sport, le associazioni sociali, la religione, la politica, il teatro, la lettura fatta per il piacere di leggere, tutte queste sono attività facoltative e fuori programma. Ma il cuore, dove può andare a scuola? Forse non era poi tanto insensato sostenere che la psicoterapia come professione deve la sua esistenza allo stato inadeguato e immaturo della funzione sentimento in generale. Lo sviluppo della funzione sentimento tramite la psicoterapia non sarebbe così indispensabile, se la nostra abituale educazione avesse incluso maggiormente il sentimento fra i suoi scopi. Diceva Rousseau: “Colui che, fra tutti noi, sa meglio sostenere le gioie e i dolori della vita è, a mio avviso, il meglio educato”. L’educazione della mente razionale, così importante secondo quanto ci è stato fatto credere dall’indottrinamento della scuola, ci rende ben poco capaci di affrontare gioie e dolori. É vero piuttosto il contrario: l’educazione della mente razionale ci rende meno capaci di sentimento, perché sentimento e pensiero sembrerebbero svilupparsi, per lo più, l’uno a spese dell’altro. I romantici sapevano tutto questo: “Il sentimento può sbagliare, ma può essere corretto soltanto dal sentimento” scriveva Herder. Questa affermazione nega la superiorità della ragione della mente sulla ragione del cuore e contiene la minaccia romantica all’ordine classico. (…)

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Personalità ed educazione

Siamo troppo preoccupati di educare la personalità dei bambini da aver perso di vista che in primo luogo è l’educatore (genitore, insegnante,…) a dover educare e curare la propria personalità per svolgere il proprio ruolo con efficacia e in modo appropriato. Carl Gustav Jung – Lo sviluppo della personalità. Opere vol.17, Bollati Boringhieri

Sono fin troppo evidenti i gravi guasti provocati da un’educazione balorda ricevuta in famiglia о nella scuola, che possono durare anche tutta la vita, e fin troppo inderogabile appare la necessità di metodi pedagogici più ragionevoli. Tuttavia, volendo prendere questo male veramente alla radice, ci si deve seriamente domandare: perché è accaduto e continua ad accadere che si utilizzino metodi educativi stupidi e ottusi? Evidentemente solo e unicamente perché esistono educatori stupidi, che non sono esseri umani, bensì macchine pedagogiche fatte persona. Chi vuole educare, dev’essere egli stesso educato. Ma la pratica, oggi ancora in uso, di imparare a memoria i metodi e di applicarli meccanicamente non è educazione, né per il bambino, né per l’educatore stesso. Si parla incessantemente del fatto che il bambino dovrebbe essere educato in modo da sviluppare la sua personalità. Naturalmente io ammiro questo alto ideale educativo. Ma chi educa allo sviluppo della personalità? Sono prima di tutto e soprattutto i soliti genitori incompetenti, che spesso restano essi stessi tutta la vita per metà о interamente bambini. Chi si aspetterebbe da un normale genitore che sia una “personalità”, e chi ha mai pensato di escogitare dei metodi su come fornire ai genitori una “personalità”? Naturalmente ci si aspetta di più dal pedagogo, dallo specialista qualificato, cui bene о male è stata insegnata la psicologia, cioè il punto di vista di questa о quella scuola – spesso radicalmente diverse – su come si presume sia il bambino e su come lo si debba trattare. Dei giovani che hanno scelto la pedagogia come loro professione si presuppone che abbiano ricevuto essi stessi un’educazione. Nessuno vorrà pretendere che al tempo stesso siano anche già tutti quanti “personalità”. Nel complesso essi hanno ricevuto la stessa educazione inadeguata dei bambini che dovrebbero educare, e di regola sono tanto poco personalità formate quanto questi ultimi. Tutta la nostra problematica educativa risente dell’attenzione unilaterale che si dedica al bambino da educare e del disinteresse, altrettanto unilaterale, per la mancanza di educazione dell’adulto che dovrebbe educare.

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Educazione : il ruolo dell’immaginazione

Educazione : ancora una volta Hillman rovescia la questione parlando non solo del ruolo che l’immaginazione ha in questo processo, ma soprattutto ponendo l’accento sul ripensare a cosa dovrebbe fare l’educatore e soprattutto sul ruolo che il nostro ambiente  – il modo in cui esso è pensato e organizzato – riveste nel plasmare i processi educativi
James Hillman, I fuochi blu. Adelphi

Come disse Jung nella conferenza su questo argomento tenuta nel 1924, l’educazione del bambino ha inizio con l’educazione dei genitori e degli insegnanti, e con l’istruzione elementare, non con quella superiore; con i bambini ritardati anziché con quelli precoci; con l’abbassare il nostro sguardo e le loro norme, giù, carponi; con i dipinti eseguiti con le dita, con i tamburi, con i piedi nudi; con giorni più lenti anziché con ore più lunghe; con l’assaggiare anziché con il saggiare; con i nonsense anziché con i gerghi. Vi sembra che faccia troppo Rousseau ed educazione sentimentale? Troppo Rudolf Steiner, libere scuole, e giocondi e giocosi giardini d’infanzia? Non fraintendetemi: sto parlando di noi, gli adulti, non di quello che dovrebbero fare i bambini.
Se le filastrocche senza senso e la pittura con le dita sembrano troppo infantili, guardiamo un poco a quello che oggi stiamo facendo con il Bambino: musi lunghi, cibi in scatola, violenza sportiva passiva/aggressiva davanti alla TV, cartocci di popcorn, secchi di birra. Il focolare domestico degli adulti con i suoi balocchi fasulli, la casa come baracca per contenere la radio, isola di fantasia o sgabuzzino delle cianfrusaglie, le sue stanze dei giochi, i suoi attrezzi per il culturismo, man mano che l’immaginazione s’immeschinisce e si dissecca. La Barbie e le edizioni economiche da supermercato. E nel frattempo, la crescita, l’originalità e l’iniziativa, le forze primordiali del Bambino, vengono corrose da quella fantasia iperattiva di onnipotenza che va sotto il nome di «sviluppo»: sviluppo personale, mistico o finanziario; proiezione di sé nello spazio.

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Base sicura e salute psicologica

La base sicura è la possibilità e la capacità di un individuo di avere intorno a sé persone fidate con cui instaurare legami di attaccamento reciproci e solidi. John Bowlby, psicoanalista inglese, ci spiega come funzionano i i rapporti interpersonali sani in base al concetto di base sicura, sfatando anche il mito dell’indipendenza.
John Bowlby, Costruzione e rottura dei legami di attaccamento. Raffaello Cortina Editore

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Abbiamo ampie prove del fatto che gli esseri umani di ogni età sono più sereni e in grado di affinare il proprio ingegno per trarne un maggiore profitto se possono confidare nel fatto che al loro fianco ci siano più persone fidate che verranno loro in aiuto in caso di difficoltà. La persona fidata, nota anche come figura di attacca­mento, può essere considerata come quella che for­nisce la sua compagnia assieme a una base sicura da cui operare.
L’esigenza di una figura di attaccamento come sicura base perso­nale non è in alcun modo limitata ai bambini, anche se, a causa del­la sua urgenza nei primi anni di vita, è più evidente in quegli anni, e proprio in quegli anni è stata maggiormente studiata. Vi sono buoni motivi per credere, comunque, che tale esigenza possa essere riferi­ta anche ad adolescenti e adulti maturi. Certo, in questi periodi l’esigenza è in genere meno evidente e probabilmente differisce sia a seconda del sesso che delle varie fasi della vita. Per tali ragioni e an­che per motivi derivanti dai valori della cultura occidentale, l’esi­genza da parte degli adulti di una base sicura tende spesso ad essere trascurata, se non denigrata.
Il quadro della personalità che si delinea comprende due princi­pali serie d’influenze. La prima riguarda la presenza o l’assenza, parziale o totale, di una figura fidata, volonterosa e capace di forni­re il tipo di base sicura richiesto per ogni fase del ciclo vitale.
Queste costituiscono le influenze esterne, o ambientali. La secon­da serie riguarda la relativa capacità o incapacità di un individuo di riconoscere se una persona sia fidata e dotata della volontà di forni­re una base e, una volta riconosciuto ciò, di collaborare con questa persona in modo da stabilire e mantenere un rapporto reciproca­mente gratificante. Queste costituiscono le influenze interne o dell’organismo.

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