Archivi tag: relazione di coppia

unità 1

L’ unita del nostro Io: un falso mito

Avere la percezione di una mancanza di unità in quello che definiamo essere il nostro solo ed unico Io, rappresenta il primo passo per desiderare di costituire un centro unificatore per le tante manifestazioni del nostro essere. Si arriverebbe così ad avere una volontà più forte e coerente e a non essere più in balia della frammentazione delle manifestazioni della nostra personalità

Nella precedente lezione abbiamo introdotto il concetto che il nostro Io, contrariamente a quanto siamo portati a ritenere, non si comporta nel tempo come dotato di unità e coerenza. Piuttosto, nel corso di una nostra qualunque giornata, possiamo parlare di un susseguirsi di numerosi Io dotati di propria volontà e spesso frammentati tra loro. Una moltitudine di differenti Io vive in ognuno di noi. Si tratta dei tanti differenti “Io” che appartengono tutti alla nostra personalità, e che è importante osservare per conoscerli. Altrimenti non sarà possibile nessuna conoscenza reale di noi, ma solo una immaginaria in cui ci “ inventiamo” cose su noi stessi. Nello stato ordinario della nostra esistenza, non abbiamo a disposizione un “Io” vero, stabile, immutabile. Non abbiamo una vera unità del nostro essere. Tutti noi non siamo altro che un insieme di Io differenti, alcuni migliori e altri peggiori, e ciascuno di questi Io  in noi, in certi momenti, ci fanno fare, dire e sentire ciò che vogliono. Facciamo ancora mente locale sul fatto che tutte le persone, nello stato ordinario, hanno ben radicata l’idea di essere uno. Tale illusione è presente in ognuno di noi ed è così “normale” che è possibile accorgersene in modo graduale solo attraverso l’osservazione personale. Ogni persona si attribuisce il possesso di una individualità e di una piena coscienza e volontà. Al contrario, il sistema di idee alla base del lavoro su di sé, insegna una verità frutto di esperienza per cui l’uomo non è uno ma molti individui differenti; per questo motivo egli non possiede una volontà ma molte differenti volontà che spesso sono in conflitto una con l’altra e determinano direzioni diverse nel proprio comportamento.

La percezione della nostra frammentazione interiore e mancanza di unità viene , in genere, neutralizzata da specifici meccanismi di difesa che funzionano come degli ammortizzatori in grado di attutire con comode giustificazioni o spiegazioni gli attriti interiori generati da palesi incoerenze nel nostro modo di agire. Il lavoro su noi stessi strutturato primariamente sull’auto osservazione e la costruzione di una vera consapevolezza di noi, ha tra i suoi scopi quello di consentirci di raggiungere una reale unità del nostro essere. Il lavoro per neutralizzare i respingenti è una lotta contro le menzogne che ci raccontiamo, e per essere affrontata è necessario un sostegno perché se eliminassimo i respingenti senza sostituirli con una percezione reale di noi, diventeremmo solo una “macchina fuori controllo”. Per creare qualcosa che prenda il posto dei respingenti c’è la necessità di un lavoro su di noi che sia in grado di sostenerci quando il potere dei respingenti verrà meno.

Nella precedente lezione avevamo suggerito come parte esperienziale quello di provare a osservare e a fare caso come nella nostra giornata tipo si susseguono tra loro questi Io. Questa osservazione non solo serviva per fare esperienza di quanto affermato ma anche per cominciare a prendere dimestichezza con i nostri Io, per vederli all’opera e differenziarli tra loro. Torna qui una idea fondamentale nel lavoro su se stessi, ossia la necessità di portare avanti la conoscenza con l’esperienza. Infatti, un individuo può dire: ” So che non sono uno ma molti perché le indicazioni sul lavoro su se stessi affermano questo”.   Ma tale affermazione ha poco valore se questa conoscenza rimane esterna a noi e non entra dentro di noi con l’esperienza. La conoscenza darà i suoi frutti nell’individuo, e in questo modo non sarà una vana conoscenza ma si tramuterà in comprensione, solo se egli avrà applicato la conoscenza a se stesso e, attraverso di essa, avrà lavorato sul proprio essere. In questo sistema di lavoro su se stessi si sottolinea spesso la profonda differenza tra conoscenza e comprensione; questo perché nella nostra epoca la conoscenza è andata molto più in la della comprensione, dal momento che l’uomo ha sviluppato unicamente il lato della conoscenza a discapito del corrispondente lato del proprio essere.

Quindi è fondamentale imparare a osservare questa moltitudine di Io in noi anche per un’altra ragione: accorgersi della mancanza di unità e del fatto che non possediamo coerenze nelle nostre manifestazioni. Altrimenti perché un individuo dovrebbe lottare per qualcosa che è convinto già di possedere? Questo è una delle conseguenze degli effetti dell’immaginazione, attraverso cui completiamo ciò che ci manca e che ci fa credere di essere cose che non siamo, quando in realtà siamo tutto il contrario. Il primo passo da compiere verso l’unificazione è il raggiungimento della consapevolezza, tramite l’esperienza.  che non siamo “uno”. A questo punto osservati i nostri diversi Io, si dovrà iniziare a confrontarci con i respingenti che non permettono di osservare le contraddizioni tra questi Io. Tramite il lavoro sui respingenti – smantellando tutte le giustificazioni e gli autoinganni – arriveremo a sviluppare la consapevolezza e la coscienza di quello che siamo e a distinguere la personalità (maschere)dall’essenza. Arriveremo così ad una vera coscienza di noi stessi e questo ci permetterà di sviluppare la volontà, ossia la capacità cioè di decidere consapevolmente quale sia l’azione che scegliamo di compiere in un dato momento. Ciò implica la capacità di assumersene la responsabilità; solo allora si potrà dire che possiamo “fare” cioè agire in armonia.

Per molto tempo durante il lavoro su di sé tornerà a galla l’idea di essere sempre un solo e medesimo Io; ne manterremo l’illusione ed essa produrrà attrito rispetto ai nostri tentativi di osservazione imparziale di noi stessi e difficoltà nella comprensione del senso delle osservazioni. Quando ciò accadrà l’istinto sarò quello di trovare scuse e giustificazioni per la mancanza di unità che noteremo in noi e cercheremo di trovare sollievo attaccandoci all’idea che siamo veramente uno e che abbiamo un’individualità permanente in cui sappiamo sempre ciò che facciamo e pensiamo. Saremo portati a trovare rifugio nell’illusione che abbiamo sempre coscienza di noi stessi e controllo. Posti davanti all’evidenza sarà molto difficile per noi ammettere che le cose non stanno così. Ma il percorso del lavoro su noi stessi è fatto di questi momenti a cui sapremo rispondere con fermezza interiore tanto più avremo proceduto in questo cammino. Quando si afferma che il lavoro su di sé ha come finalità quella di farci diventare una unità, questo non significa l’annullamento dei tanti Io o personalità con cui manifestiamo noi stessi. Semplicemente vuol dire trovare un centro unificatore che, attraverso scelte di consapevolezza, ci consenta di agire volontariamente a partire da una nostra profonda conoscenza.

Infatti non c’è nulla di male per il fatto di manifestarci con Io diversi in circostanze differenti: con i nostri figli come genitori, con un cliente o con un collega come lavoratori. Tuttavia, si potrà fare diretta esperienza attraverso l’osservazione di se stessi del fatto che il susseguirsi di questi Io non si verifica in modo volontario e intenzionale, ma è piuttosto il risultato di apprendimenti e risposte automatiche. Non c’è mai alla base di questi mutamenti un ragionamento, una valutazione o una scelta consapevole delle proprie azioni. Il modo in cui svolgiamo i diversi ruoli di genitore, lavoratore, amico, coniuge non avviene in conseguenza di un lavoro consapevole, alla cui base c’è capacità valutativa e di giudizio, oppure piena comprensione del ruolo e delle azioni, ma esso è il frutto di abitudini meccaniche. È importante ripeterlo: tutto ciò lo si può verificare nella nostra quotidianità e in quella delle persone intorno a noi; solo dopo questa verifica e piena comprensione si può iniziare il lavoro. In altri termini, per via di questi Io automatici, tutto quello che facciamo semplicemente accade, e se cerchiamo di cambiare qualcosa è difficile farlo perché la risposta che la nostra “macchina” attuerà e troppo rapida rispetto alla volontà di cambiamento e, in più, i respingenti si opporranno a che accada qualcosa di diverso dall’usuale perché questo ci farebbe sperimentare conflitti interiori.

Questo post è parte di un percorso per stimolare in chi legge un lavoro su di sé ispirato alle idee della Quarta Via riviste nell’ottica della psicologia attuale. Nel corso dei post verranno fornite anche le indicazioni per una serie di esercizi volti a focalizzate l’attenzione sull’osservazione di se stessi al fine di acquisire una consapevolezza maggiore. Ogni post è di per sé esaustivo, ma chi intendesse usare questa risorsa per cominciare a lavorare su di sé, è importante seguire la cronologia dei post come progressione logica degli argomenti.

Leggi lezione n. 7

Leggi sull’Io

la libertà dell'altro 1

La libertà dell’altro nella coppia

La libertà dell’altro all’interno della coppia è una questione che prima o poi si ripropone in ogni rapporto. La libertà dell’altro non dovrebbe essere negata, tantomeno vissuta come pericolosa. La libertà dell’altro fa parte di quei processi di cambiamento che in ogni copia seguono la fase iniziale dell’unione. Raffaele Morelli, “Come amare ed essere amati”, Mondadori

C’era un tempo, quando eravamo fidanzati, in cui non facevamo nulla senza l’altro – mi racconta Angela, 36 anni, sposata da quattro. «Ora lui vuole uscire da solo la sera e alla domenica mattina, quando potremmo finalmente stare insieme, va a giocare a calcetto e torna alla una stanco e affamato. Poi mangia e si sdraia sul divano a guardare la tv. È come non averlo. Io intanto saccheggio il frigorifero per la rabbia, mentre per lui va tutto bene. Non c’è problema mi dice, io sono felice. Mi dica dottore, si può andare avanti così?». Angela è in crisi per un matrimonio che non risponde alle sue aspettative. Ha sposato un uomo sempre attento, presente, pieno di iniziativa e si ritrova un egoista, che «pensa solo al suo divertimento e non mi aiuta mai in casa». La donna cerca di riproporre in una situazione diversa uno schema che di norma la quiete matrimoniale, tende a far tramontare. Vede le mancanze dell’altro e non coglie l’essenza del rapporto: tutta concentrata su cosa lui fa o non fa, non ha più punti di riferimento. Un’attitudine di questo genere, peraltro molto comune quando l’innamoramento si concretizza in un’unione stabile, è il frutto di un errore di prospettiva. Angela non si chiede, come dovrebbe fare, se lei stessa si diverte con il marito, ma si tortura sulle piccole gioie che lui si prende da solo, indipendentemente dalla sua presenza. «Ho bisogno dei miei spazi». Una frase che tutti, prima o poi, abbiamo detto o che ci siamo sentiti dire. Una frase che, in ogni modo, ha scatenato inevitabilmente liti furibonde o musi lunghi. La libertà dell’altro è vissuta perlopiù come un pericolo per la coppia. C’è il timore che “dare la corda lunga” porti l’altro lontano da noi, lo induca a trovare nuovi stimoli, quelli che noi non siamo in grado di dargli, o addirittura a incontrare nuovi partner, chiudendo così l’ultimo atto della storia. Ma non è così.

Continua a leggere su: Raffaele Morelli, “Come amare ed essere amati”, Mondadori

Leggi altro articolo di Raffaele Morelli: Lo ZEN, l’arte di vivere il presente

Leggi sulla coppia: Come costruire una coppia felice

matrimonio 1

Matrimonio : tipologie e forme

Matrimonio è un termine che Whitaker applica a una grande varietà di relazioni. Il grande psicoterapeuta statunitense ci racconta quali sono le funzioni di questo tipo di rapporto umano, descrivendoci alcune tipologie di matrimonio. Carl Whitaker, Le funzioni del matrimonio. In M. Andolfi (a cura di) “La crisi della coppia”, Raffaello Cortina Editore

Ci sono molti modi di parlare del matrimonio. Dal punto di vista funzionale ci si può chiedere cosa succede all’individuo nel matrimonio, che cosa ne ricava. (…) Per parlare del matrimonio bisogna avere qualche idea di che cosa è l’uomo, di che cosa è l’individuo prima di unirsi a qualcuno e di quali siano gli aspetti funzionali dell’unione. È ovvio pensare che l’uomo è un handicappato dal punto di vista biologico. Io sono un handicappato biologico; da solo non ho la possibilità di continuare nel tempo: sono tagliato fuori. Sono un handicappato perché non ho seno, né vagina. Non posso riprodurmi. Questo handicap è parte del background funzionale dell’intenso desiderio dell’uno per l’altro. Se eliminiamo per un attimo l’istinto di riproduzione, ci accorgiamo che il problema è quello di essere incompleti. Mancano componenti che sono parte della necessità biologica. per cui ciò che sta dietro il matrimonio è che siamo individui ai quali manca qualcosa. Ci sono altre cose che hanno a che fare con l’individuo. Il concetto di transfert, il fatto che ciascuno trasferisce emozioni da uno stato all’altro. L’omeostasi: lo sforzo dell’individuo di mantenere una sicurezza, una condizione di stabilità. Il carattere fasico dell’essere insieme: puoi raggiungere gli altri e poi perderli. Il fatto che a un certo punto sei con te e in un altro sei oltre te stesso. Questo flusso e riflusso del processo della vita rende difficile il potersi accontentare di dove siamo.

Continua a leggere su: Carl Whitaker, Le funzioni del matrimonio. In M. Andolfi (a cura di) “La crisi della coppia”, Raffaello Cortina Editore

Leggi altro articolo: Coppia, ovvero l’arte del noi

Leggi su Carl Whitaker

coppia 2

Coppia ovvero l’arte del “noi”

Coppia è stare in due. Ma in che modo è questo stare? Sottolineando le differenze oppure preferendo la fusione. Coppia vuol dire compiacere l’altro? Coppia è avere un partner su cui proiettare i nostri fantasmi? Asha Phillips, I no che aiutano a crescere. Feltrinelli

Il sì come dono – Spesso si desidera far piacere al partner, offrirgli qualcosa di unico e di speciale. Ci si dimostra solidali con lui, lo si appoggia, si approvano le sue iniziative. Usiamo espressioni come “la mia metà”, parliamo di essere “un corpo e un’anima sola”, ammiriamo e invidiamo quelli che non si separano mai, che hanno un’unione intima e profonda. Questa immagine della coppia ideale, però, sottovaluta l’importanza del “no”, della differenza. Nella coppia, come con i figli che crescono, un accordo profondo, un’intima unione danno piacere e promuovono la crescita, perché rappresentano una base sicura. Sono convinta tuttavia che anche qui ci sia bisogno di uno spazio, di una distanza fra i due individui perché possano svilupparsi e crescere davvero. Il convolvolo, che vive abbarbicato a un’altra pianta, non la aiuta, ma attorcigliandosi intorno ad essa a volte la soffoca. Dicendo sempre sì al vostro compagno od alla vostra compagna, anche se l’accordo vi sembra reale, finirete per avere entrambi la sensazione che fra voi non ci sia differenza. Può essere un’idea confortante, ma genera staticità: nella vostra vita ci sarà poco movimento. Se in uno dei due avviene un cambiamento, può essere vissuto come un terribile tradimento, come la rottura di un tacito patto. Un altro errore in cui si incorre facilmente è quello di dire sì per compiacere l’altro, anche se non si è del tutto d’accordo. E’ normale essere felici di offrire al compagno qualcosa che gli fa piacere: il vostro sì, per esempio, come un dono. Ma se diventa un’abitudine può sembrare che venga dato per scontato, con l’inevitabile strascico di malumore e di accuse: “Faccio tanto per lui (o per lei) e non mi dimostra mai un po’ di riconoscenza!” In realtà siete stati voi a scegliere questa strada; siete responsabili delle vostre azioni.

Continua a leggere su: Asha Phillips, I no che aiutano a crescere. Feltrinelli

Leggi altro articolo: Psicologia della relazione a due

Leggi articoli su: Vita di coppia

La coppia: psicologia della relazione a due

la coppia: psicologia della relazione a dueLa coppia, secondo una banale definizione, corrisponde a due persone che stanno insieme e che, forse, oggi è possibile pensare non solo più come una diade eterosessuale ma anche omosessuale. Di fatto questa descrizione lascia impliciti molti aspetti della coppia. Cosa vuol dire “stare insieme”? E poi, siamo certi che “coppia” voglia dire semplicemente due? Proprio da quest’ultima domanda vorremmo iniziare la descrizione della coppia per introdurre subito l’elemento della complessità.

“Il sistema coppia è un animale a quattro zampe. Le quattro zampe sono: lui, lei, il modello di coppia che ha lui e le sue aspettative, il modello e le aspettative di lei. L’organizzazione di questi quattro elementi costituisce una coppia. Come un aereo, che è fatto di una carlinga, un carrello di atterraggio, un motore, delle eliche, delle ali, etc.: nessuna di queste parti è in grado di volare, ma tutte insieme, organizzate in un certo modo hanno questa qualità. La coppia è diversa dalla somma delle caratteristiche dei singoli che la compongono. Riteniamo che una diade possa considerarsi coppia, a prescindere dal sesso e dallo stato giuridico, quando i due individui condividono i tre aspetti, i tre sottosistemi che caratterizzano la coppia: quello sessuale, quello emotivo, quello sociale.” (Cancrini M.G., Harrison L., Potere in amore, 1986:23)

La coppia non è la semplice somma di due individui, 1+1, perché quando si entra nel mondo della relazione bisogna pensare che l’addizione non è un buon criterio descrittivo e predittivo. Una buona squadra di calcio non è data solo dal numero di campioni che scendono in campo ma anche dal modo in cui giocano insieme. In ogni campionato di calcio troviamo esempi di squadre sulla carta fortissime, imbattibili che poi alle prime difficoltà sul campo non riescono più a “far spogliatoio” inanellando una serie di brutte figure e di sconfitte che non fanno altro che peggiorare la situazione.
Ogni partner sa bene di essere portatore all’interno della coppia non soltanto della propria presenza fisica ma anche della propria esperienza che ha contribuito nel tempo a creare un modello di come si vorrebbe che fosse la propria coppia e quindi delle aspettative legate a questo ideale. Tutto questo si incontra con ciò che porta l’altro partner e, come accade per l’aeroplano dell’esempio, non basta mettere i pezzi l’uno accanto all’altro, bisogna organizzarli in maniera tale che possano consentire alla coppia di decollare e tenere il cielo.
Del resto confrontarsi con la coppia in quanto sistema complesso non risolve ancora la domanda di cosa considerare come coppia. Per evitare che in questa descrizione entrino giudizi morali o eccessivi condizionamenti culturali è possibile trattare come coppie tutte quelle diadi che condividono essenzialmente tre aree: quella sociale, emotiva e sessuale. In questa descrizione non interviene la variabile tempo, nel senso che una coppia può svolgere il proprio ciclo vitale nel lasso di una breve vacanza o nell’arco di una vita intera. Nell’uno e nell’altro caso assisteremo a tutte e tre le fasi principali che scandiscono l’esistenza della coppia: l’incontro, la quotidianità, la separazione.
Ci sono coppie che vivono una lunga “luna di miele” per cui il momento fusionale dell’incontro è un periodo molto lungo fatto di esclusività e di batticuore così come di passione e di promesse per l’eternità. Altre coppie attraversano più rapidamente questa fase a volte per la veloce entrata in alcune fasi del ciclo vitale (matrimoni, nascite di figli), a volte perché l’aspetto fusionale è vissuto con imbarazzo. Sta di fatto che in tutte le coppie, anche quelle in crisi, è possibile ricostruire la fase dell’incontro anche se a volte vuol dire confrontarsi con l’illusione costruita nel momento dell’innamoramento. In tutte le coppie il momento dell’incontro è quello dell’attrazione per l’altro del riconoscimento di qualità che possiede il partner tali da farlo spiccare tra tutti gli altri possibili. Anche se queste qualità sono state dimenticate, esse sono sempre lì pronte a tornare fuori se solo si è disposti a relazionarsi con l’altro in maniera tale da farle riemergere. La fase dell’incontro è quella cantata da tutti i poeti e scrittori, romantica e coinvolgente, proprio perché le immagini dell’altro che i partner rimandano sono belle: ci sentiamo bene e siamo innamorati perché l’altro ci fa sentire indispensabili, attraenti, oggetti sessualmente eccitanti, interessanti. Lo sanno bene quelli che innamorati sono, invece, sottoposti alla pena del rifiuto: tutto viene rovesciato. Ci sentiamo allora, come nel titolo di un film, “brutti, sporchi e cattivi” proprio perché l’immagine che l’altro ci rimanda di noi non contiene elementi positivi.
Poi tutto finisce, o meglio poi inizia la vita a due. Dipende dai punti di vista! E allora si entra nella quotidianità che può essere un inferno o un porto tranquillo e sicuro. Sicuramente l’adrenalina scende e pure gli ormoni si attestano su nuovi equilibri. È la prova del nove anzi del sette perché a questo punto, secondo un detto popolare, esistono tutti i rischi per costruire la famigerata crisi del settimo anno. Alcune coppie ci arrivano prima, altre vanno oltre superando non solo gravi crisi ma anche le tensioni quotidiane.
Ci sono coppie che sono così terrorizzate dalla quotidianità che evitano di attraversarla passando dall’incontro alla separazione. Non pensiamo da questo punto di vista che il matrimonio sia la tomba dell’amore o non viviamo come pericolosa la convivenza perché ci abitua all’altro. Crediamo che ogni coppia costruisce il periodo della quotidianità individuando e scegliendo la giusta formula. Sta di fatto che durante questo periodo la coppia deve confrontarsi con questioni sicuramente poco adatte ai grandi romanzi d’amore che forse possiamo ritrovare nei racconti dei minimalisti:  pagare le bollette, comprare la carta da parati, scegliere la marca dei surgelati, decidere quanto e come vedere i parenti. Forse tutto ciò non lo ritroviamo neppure nelle telenovelas ma sappiamo che in ogni caso è possibile attraversare indenni la quotidianità solo se entrambi i partner sanno essere due buoni sceneggiatori che scrivono puntate interessanti della propria storia a due. Davanti a una telenovela noiosa non resisterebbe nessun spettatore, tantomeno i due partner accetterebbero di recitarne le parti.
E alla fine tutto finisce. Così immancabilmente ci si deve confrontare con il tema della separazione. In molte coppie questa separazione arriva con la morte di uno dei due partner in altre coppie dopo drammi e colpi di scena anche se in questi casi il copione è sempre quello del tradimento o dell’esaurirsi delle risorse della coppia stessa. Sta di fatto che la separazione per quanto atto conclusivo resta comunque importante. Non sono pochi i casi di coppie che pur separatesi per l’intervento di avvocati restano di fatto legatissime attraverso giochi relazionali che impediscono di mettere la parola fine alle puntate della telenovela. E così pur se in modo diverso la storia continua anche se il piacere e il divertimento oramai non fanno più parte del gioco.

Leggi anche: consigli per una vita di coppia serena
Leggi: amore un’arte che si apprende