ascoltare gli altri

Ascoltare gli altri

La capacità di ascoltare gli altri è di primaria importanza per la creazione di relazioni sane e soddisfacenti. Spesso però anche le persone più capaci di ascoltare se stesse trovano difficoltà nell’ascoltare gli altri perché in genere siamo troppo presi da noi stessi e “comprendiamo” tutto quello che ci arriva sempre in riferimento a noi stessi, trovando grande difficoltà a metterci nei panni dell’altro.

“Quando avviamo un dialogo con qualcuno, non troviamo ascolto e non ne diamo, perché nella comunicazione con gli altri siamo portati a ricercare prevalentemente l’eco delle nostre parole e il riverbero delle nostre percezioni. Ascoltiamo noi stessi e non siamo in grado di recepire veramente i messaggi dei nostri interlocutori. Interpretiamo i loro discorsi e i loro comportamenti secondo le nostre esigenze e i nostri propositi, fuorviati dal pressante bisogno – oltre che magari di ottenere eventuali vantaggi concreti – di trovare conferme, di ricevere attestazioni di affetto e apprezzamento. Anche se la diversità ci attrae e ci incuriosisce, soprattutto nell’ambito delle relazioni stabili e significative, siamo alla ricerca della somiglianza e delle analogie. Il disaccordo delle opinioni e la dissonanza degli intenti ci disturbano e ci predispongono a un atteggiamento di chiusura e di sospetto.”

COMMENTO – È esperienza comune il fatto che le persone veramente capaci di ascoltare gli altri siano veramente rare. Naturalmente parliamo di coloro che non “sentono” solo ciò che gli altri dicono ma che sono in grado di comprendere in maniera corretta gli stati d’animo dell’interlocutore, le sue intenzioni e le sue richieste contenuti nel suo esprimersi. Le persone che sanno fare ciò riescono a cogliere la densità di significato nel discorso degli altri, riescono a vedere realmente il proprio interlocutore. Soprattutto chi sa ascoltare gli altri è sinceramente interessato “a colmare la distanza emotiva che spesso separa gli esseri umani e a cercare uno spazio di condivisione, facendoci sentire non più viaggiatori solitari e dispersi nel vasto mondo, ma depositari di un comune destino che ci affratella.” Per queste persone gli altri sono veramente un valore e non solo “una scocciatura” nel momento in cui l’incontro chiede anche attenzione e compenetrazione.

All’opposto l’incomprensione creata da un ascolto carente tende a generare chiusure e ostilità tra gli interlocutori; e se a tale frattura non si pone subito un rimedio essa può diventare definitiva, portando a situazioni di rottura del rapporto o, forse peggio, a condizioni di alta conflittualità. Ne troviamo traccia specie in quelle due tipologie di rapporti più fondamentali e al tempo stesso più soggette a complesse patologie della relazione. Nelle coppie, dove l’incapacità di ascoltare l’altro non consente di “preservare l’integrità del loro rapporto attraverso la capacità di confronto e rinnovamento continuo”. Nei rapporti genitori e figli in cui i due attori in gioco sembrano talvolta parlare linguaggi  incompatibili, in grado di creare allontanamenti  enormi dove ascoltare l’altro diventa sempre più impossibile fino a rendere la relazione irrecuperabile. Alla domanda sul perché nei rapporti affettivi, soprattutto quando essi sono problematici, è così difficile cambiare, la risposta sta sempre nella scarsa disponibilità che ciascuno di noi ha nell’ascoltare gli altri, di prendere in considerazione le loro richieste e i loro bisogni. La maggior parte di noi è sintonizzata solo sulle proprie esigenze e sui propri punti di vista.  

Siamo così concentrati “sulle nostre convinzioni, sulle nostre pretese e sulle nostre aspettative che le parole dei nostri interlocutori rischiano di diventare solo un fluire ininterrotto di suoni che neppure ci scalfisce. É una sorta di rassicurante rumore di fondo che ci tiene compagnia e ci trasmette la consolante, per quanto illusoria, sensazione di non essere soli, di essere in contatto con altri essere umani, integrati in un sistema sociale che ci rimanda un gratificante, seppur precario, senso di appartenenza. Con tali presupposti, verrebbe da concludere che siamo almeno capaci di comunicare con noi stessi. Eppure questa autoreferenzialità, questa centratura sulla nostra personale visione del mondo e sulla nostra peculiare esperienza affettiva, non ci deve illudere. L’attenzione che rivolgiamo a noi stessi non va confusa con un’effettiva capacità di ascolto, non significa necessariamente essere in contatto con se stessi, con la propria sfera più intima e genuina.”

Ivana Castoldi, Piccolo dizionario delle emozioni. Feltrinelli

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