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La macchina uomo

Per quanto possiamo respingere questa idea, ogni essere umano è come una macchina, funzionando attraverso automatismi che guidano i nostri comportamenti e pensieri. Come ci ricorda P.D. Ouspensky: se riusciamo a vedere, o scoprire nella nostra memoria, quanto in maniera meccanica possiamo fare le cose più abominevoli, tali che in un secondo momento non ci capacitiamo di come abbiamo  potuto farle, allora sapremo cos’è la meccanicità. Tutta la nostra vita ci comportiamo come fossimo una macchina e se guardassimo anno dopo anno, mese dopo mese, scorgeremmo cose che non avremmo mai fatto consapevolmente, o cose che non abbiamo fatto, e che avremmo fatto se fossimo stati consapevoli. Questo è il modo in cui bisogna pensare al fatto che l’uomo è una macchina e si comporta automaticamente.

Prendiamo il corpo dell’essere umano: esso è il contenitore dei suoi organi e delle sue funzioni, dal pensiero alle emozioni. Tutte le manifestazioni frutto del funzionamento del corpo possono essere descritte, in maniera riduzionista,  nei processi chimici ed elettrici che avvengono al suo interno. Ogni parte del nostro organismo è strutturata in maniera tale da poter funzionare in modo automatico. In questo senso l’uomo è una macchina, notevolmente evoluta, che funziona e agisce in modo del tutto meccanico. L’automatismo che regola il nostro corpo e che ordina tutte le sue funzioni,  riguarda anche la nostra vita emozionale ed intellettuale. Tale constatazione genera difficoltà e confusione quando si decide di accettarla e di confrontarsi con essa. Infatti, secondo la concezione corrente ogni individuo si ritiene in grado di controllare consapevolmente il propria pensiero e le proprie emozioni. In parte ciò corrisponde alla verità, ma non ad un livello ordinario dell’esistenza ma solo ad un certo livello di sviluppo di sé.  Facciamo un esempio. Le prime volte che una persona apprende a guidare un’automobile, la sua attenzione è tutta rivolta ai movimenti che deve compiere e la sua concentrazione è puntata sul sincronizzare le manovre necessarie alla guida. Dopo qualche tempo che usa la macchina, quando questa persona si è assuefatta alla guida, tutto diventa automatico, ossia non occorre più che pensi a cosa deve fare per condurre l’auto e la sua attenzione può andare ad altre cose. In questo modo la guida dell’automobile è diventata automatica e meccanica, e la persona non si osserva più mentre la conduce, spesso diventando inconsapevole di come lo fa e delle conseguenze che questo comporta. Solo nel caso in cui accada qualcosa di inaspettato (un controllo da parte di una pattuglia della stradale e relativa contravvenzione, oppure un piccolo incidente, etc.) – un piccolo shock – la persona tornerà ad accorgersi, ad essere consapevole della propria guida e quindi a rendere tale azione meno meccanica.

Se non facciamo fatica ad ammettere la nostra meccanicità nel condurre l’automobile, altrettanto non accade per la nostra vita. Tuttavia, secondo la psicologia basata sull’insegnamento della Quarta Via è un’esperienza verificabile che siamo meccanici nel modo in cui viviamo la nostra esistenza. Riflettete su come camminate: lo fate semplicemente, non lo decidete voi quando uscite di casa; oppure notate come spesso pensieri e stati d’animo si innescano solo in risposta a eventi che accadono intorno a noi. Così è possibile dire che solo in certe circostanze, l’individuo ha la possibilità di esercitare un controllo e avere padronanza dei propri pensieri e delle proprie emozioni. Questa consapevolezza non si verifica in maniera automatica e involontaria; può intervenire in maniera episodica e non funzionale allo sviluppo del nostro essere ma se vogliamo che essa diventi uno strumento c’è bisogno di un certo impegno. La confusione che possiamo fare in merito alla consapevolezza sta nel fatto che nel momento in cui ci viene detto che siamo meccanici, allora la nostra attenzione viene portata, da quella osservazione, su di noi, su ciò che stiamo pensando, facendo o provando, proprio in quel momento, per cui allora diventiamo meno automatici e più consapevoli di noi stessi. Quindi. paradossalmente. in quel momento non è vero che siamo così meccanici, eppure fino a quel momento non eravamo consapevoli ed agivamo meccanicamente.

Secondo le indicazioni del lavoro su di sé, la nostra meccanicità deve essere sperimentata personalmente nelle nostre vite perché nessuno ce la può realmente mostrare. In modo automatico e  meccanico acquisiamo, durante l’esistenza una serie di complesse catene di comportamenti, pensieri e risposte emotive che vengono registrate nel nostro cervello, come se fossero le tracce incise su un CD. In questo modo acquisiamo memorie automatiche intellettuali, emozionali e motorie e, ogni volta che un evento esterno entra in contatto con noi, vengono evocate specifiche impressioni soggettive appreseed per via associativa viene espressa una risposta automatica allo stimolo. Tale risposta è meccanica nel senso che si esprime senza la partecipazione della nostra coscienza o volontà.  Questo è quanto è stato “progettato” dalla natura per l’uomo, quindi se continuassimo a credere di essere totalmente consapevoli dei nostri comportamenti e scelte sarebbe come rifiutare il dato oggettivo che ci dice che noi non possediamo tale potere. Un esempio della caducità della nostra consapevolezza (così come della forza della nostra volontà e della presunta unità del nostro Io) è rappresentata dalla situazione in cui prendiamo una decisione: per esempio, per mantenerci in forma oggi decidiamo di fare ogni giorno una camminata in mezzo al verde; tuttavia il giorno dopo, mentre ci accingevamo a fare quanto ci eravamo ripromessi la telefonata di un amico o un leggero altro imprevisto intervengono e mutano il programma che avevamo. Cosa è accaduto? Un nuovo stimolo ha determinato una nostra reazione che ha modificato quello che precedentemente avevamo deciso. Naturalmente se qualcuno ci facesse notare questa incoerenza, noi giustificheremmo e motiveremmo il cambiamento del nostro proponimento in modo molto convincete, ma così facendo  non noteremmo che comunque abbiamo contraddetto quello che avevamo precedentemente deciso. Questi Io che solertemente giustificano il nostro comportamento sono ciò che si definisce come respingenti o ammortizzatori e rappresentano gli strumenti che non ci permettono di scorgere le nostre contraddizioni e che ci consentono di credere alle illusioni che nutriamo sulla nostra natura e potenzialità ordinarie.

Questo stato di cose non è, tuttavia, assoluto, in quanto all’individuo è data la possibilità di arrivare ad avere la consapevolezza e il controllo sulla propria “macchina”. Questa evoluzione, come già detto, non accade spontaneamente ma al termine di un lavoro su di sé in cui l’individuo apprende come è formata la sua “macchina”, come funziona, e come equilibrarla. Quando una persona inizia a conoscere se stessa, può allora continuare a lavorare in sintonia con dei principi dell’esistenza diversi da quelli che governano la semplice esistenza funzionale della macchina. L’individuo che inizia a interrogarsi sul potere che le cose esercitano su di lui, può considerarsi già all’inizio del percorso che lo condurrà al cambiamento. Uscire tramite il lavoro su di sé da questa meccanicità vuol dire diventare un individuo che “può fare”, ossia divenire un essere che può agire coscientemente e di propria volontà. Forse non esiste una definizione più completa di cosa è un individuo evoluto.  Saper padroneggiare la propria volontà contraddistingue gli individui che hanno un livello di esistenza più evoluto rispetto all’essere di un uomo a livello ordinario. Solo chi ha raggiunto questo livello del proprio essere fatto di consapevolezza, unità dell’Io e volontà possiede il potere di “fare”. Altrimenti siamo degli automi, agiti meccanicamente da forze esterne.

L’esercizio di questa settimana è volto a interrompere intenzionalmente l’automaticità che contraddistingue la nostra vita per iniziare a comprendere la differenza tra consapevolezza e meccanicità . Questo esercizio è rivolto anche a fare esperienza delle tre parti in cui si suddivide un individuo: parte motoria/istintiva, parte e mozionale e parte intellettuale (pensiero). Le istruzioni dell’esercizio riguardano, dunque, la capacità di cogliere la differenza tra consapevolezza e meccanicità in ognuna di queste tre parti. La prima pratica che potete svolgere riguarda gli aspetti motori/istintivi: quando camminate osservate il modo in cui lo state facendo, constatando che il più delle volte non siete voi ad averlo scelto; quindi, modificate consapevolmente la vostra andatura. Un altro esercizio da svolgere mentre mangiate, consiste nel cercare di percepire intenzionalmente il sapore del cibo. Per la parte intellettiva l’esercizio è questo: quattro o cinque volte nel corso della giornata fermatevi a ricostruire la catena di pensieri che stavate facendo a partire dall’ultimo pensiero fatto. Per la parte emozionale: nel corso della giornata fermatevi più volte a far caso a quale è la “coloritura” emotiva del vostro stato. Non sempre le emozioni si presentano con colori vivi e accesi, a volte hanno tinte acquerello ma comunque dobbiamo essere in grado di riconoscerle. Provate inoltre a individuare cosa (situazione, pensiero, etc.) stia determinando quello stato emotivo.

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Questo post è parte di un percorso per stimolare in chi legge un lavoro su di sé ispirato alle idee della Quarta Via riviste nell’ottica della psicologia attuale. Nel corso dei post verranno fornite anche le indicazioni per una serie di esercizi volti a focalizzate l’attenzione sull’osservazione di se stessi al fine di acquisire una consapevolezza maggiore. Ogni post è di per sé esaustivo, ma chi intendesse usare questa risorsa per cominciare a lavorare su di sé, è importante seguire la cronologia dei post come progressione logicadegli argomenti.

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