La psicologia della comunicazione

psicologia della comunicazione interpersonaleNella psicologia della comunicazione vige la regola per cui lo zero non esiste, o meglio anche lo zero ha un valore, un significato. Così una parola non detta, un gesto non fatto rappresentano, comunque, una comunicazione perché veicolano in ogni caso un messaggio. È sufficiente considerare il silenzio dopo una lite per capire che è impossibile non comunicare: l’ostentato comportamento dello stare zitti, del non parlare (comportamento spesso accompagnato da un linguaggio non-verbale evidente) costituisce un messaggio veicolato all’interlocutore. Una lettera non spedita, un appuntamento saltato, un invito a cui non si risponde, la non-partecipazione ad una riunione, sono soltanto alcuni esempi della vita quotidiana in cui il valore comunicativo del comportamento è elevato. Secondo la psicologia della comunicazione, l’uomo, qualunque cosa faccia, non può fare a meno di emettere comportamenti: in qualunque modo decidiamo di comportarci comunichiamo in ogni caso. Il tentativo di utilizzare in una relazione il silenzio presenta, tuttavia, un rischio. Questa forma di comunicazione è di per sé povera, nel senso che al di là del significato che è possibile attribuire al silenzio (rabbia, delusione, prostrazione), l’interlocutore non ha altri elementi a disposizione per “capire” il messaggio che gli giunge. Dovrà fare allora conto sulle proprie risorse interpretative per costruire un significato intorno alla situazione poco chiara. L’interpretazione, comunque, per quanto sia uno strumento utilissimo e a volte indispensabile, presenta a sua volta un rischio: la soggettività e quindi la possibilità di generare distorsioni nella comprensione. L’essere umano, infatti, deve sempre attribuire un significato e un valore alle cose che osserva o agli eventi che accadono; questo per poter comprendere e agire. Per la psicologia della comunicazione, si tratta di meccanismi cognitivi spontanei e a volte inconsapevoli. Una comunicazione povera di significati espliciti, come il silenzio, – povera soprattutto se non accompagnata da altre informazioni sul contesto – si presta, quindi, ad un’ampia gamma di interpretazioni. Esso, infatti, è spesso accompagnato dalla tacita e irrazionale pretesa che l’altro debba conoscerne i motivi e le ragioni. In queste condizioni, a volte la sensibilità dell’osservatore può essere uno strumento adeguato a capire il silenzio dell’altro, altre volte può invece rivelarsi inefficace

Considerazioni pratiche
Anche se la psicologia della comunicazione ci dice che è impossibile non-comunicare non va considerata come una sorta di “maledizione” per l’uomo, che lo condanna ad un’esistenza “di vetro”, trasparente al punto tale che tutto in lui viene conosciuto dagli altri perché comunque comunicato. Non sempre il nostro comportamento costituisce un’informazione per gli altri, ma lo è solo potenzialmente. Del resto, nella giornata non possiamo sempre essere attenti a tutto ciò che gli altri fanno, così come gli individui in genere non hanno la capacità di analizzare il comportamento altrui con tanta finezza. Il timore di un “Grande Fratello” rappresentato dalla paranoica paura di venire studiati dagli altri, costituisce più un mito che una reale possibilità.
Invece, prendere atto dell’impossibilità di non-comunicare significa dare un duro colpo alla pretesa, vagamente infantile, di neutralità espressa nell’atteggiamento “Ma io non ho fatto (detto) niente”. Tale giustificazione viene adottata con un duplice intento: rendere indipendente la risposta del nostro interlocutore da un nostro precedente comportamento e giustificare la propria azione comunicativa rispetto alle conseguenze indesiderate che ha prodotto.
La posta è spesso il luogo ideale dove osservare situazioni in cui le persone che fanno la fila danno dimostrazione di quanto siano poco attente al modo in cui comunicano. Un signore che ha diverse pratiche da sbrigare allo sportello e che richiedono un tempo più lungo del previsto, sente alle sue spalle una signora che per tutta la durata del suo turno sbuffa sonoramente e in continuazione si affaccia per veder a che punto sono le pratiche. Il signore terminato il suo turno se ne va lanciando occhiatacce alla signora e parlando da solo ad alta voce: “C’è gente veramente ignorante in giro.” La signora si rende conto che tutto ciò è rivolto a lei e girandosi verso il successivo cliente commenta: “Ma che cosa aveva quello, che gli ho detto mai”.
Non ci sentiamo di schierarci con nessuno dei due protagonisti dell’esempio, probabilmente avremmo usato nei loro panni comunicazioni diverse. L’esempio voleva solo evidenziare come, quotidianamente, capita di pensare di non aver comunicato e come quella illusione venga ogni volta contraddetta dai fatti che seguono.

Per saperne di più sugli aspetti pragmatici della comunicazione.
Scarica gratis il libro: LA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE