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I bisogni e i desideri, quali diversità

I bisogni sono una esperienza che costantemente attraversa la nostra vita; ma non sempre noi o i nostri interlocutori sono consapevoli di quali esigenze entrano in gioco nei conflitti interpersonali. Imparare a riconoscerli è quindi importante, e soprattutto saperli distinguere da quelli che sono i desideri. Thomas Gordon, “Relazioni efficaci”, Edizioni La Meridiana

Negli anni ’50 un giovane psicologo, Abraham H. Maslow, invece di dedicarsi allo studio della patologia umana, cominciò ad interessarsi al modo in cui le persone diventano sane e produttive. Le persone di successo, come Ruth Benedict, Albert Schweitzer, Eleanor Roosevelt, Winston Churchill, e altre che sembravano vivere pienamente la propria vita, diventarono così oggetto del suo peculiare studio. Egli scoprì che queste persone si assomigliavano per molti aspetti. Innanzitutto, non dovevano preoccuparsi della sopravvivenza personale o del senso di continuità. Esse avevano numerosi amici, relazioni amorevoli e solidali, carriere valide e stimolanti nonché frequenti peak experiences, ossia fenomeni che trascendevano l’ordinaria consapevolezza. Ciò che Maslow apprese da questo studio fu che i suoi soggetti avevano tutti i medesimi bisogni. E non è tutto, d’altronde chiunque li ha. Egli classificò i bisogni in una gerarchia in cui i bisogni fisiologici di sopravvivenza (cibo, indumenti, aria, rifugi, ecc.) venivano classificati come primari, seguiti dai bisogni di sicurezza e quindi dai bisogni sociali e cognitivi, in grado di soddisfare molto più della semplice sopravvivenza. Egli segnalò che quando i due bisogni primari di sopravvivenza e di sicurezza sono soddisfatti, affiorano alla coscienza il bisogno di relazionarsi e di appartenere, da lui definite necessità sociali e di appartenenza.

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L’ autorità e i modi di opporci ad essa

L’autorità non sempre è spiacevole, anzi talvolta ricorriamo ad essa. Ma quando essa esercita un potere su di noi costringendoci a comportamenti contrari ai nostri bisogni, mettiamo in moto tutta una serie di azioni per fronteggiare la sua “prepotenza”. Thomas Gordon, “Relazioni efficaci”, Edizioni La Meridiana

Innanzitutto, esistono diversi tipi di autorità. Quella che scaturisce dall’esperienza gode di grande stima. Quando, ad esempio, si guasta un’automobile, senza dubbio vogliamo che venga riparata da un meccanico molto esperto, da una autorità nella meccanica automobilistica. Analogamente, ci si aspetta che il proprio medico sia un’autorità in materia di salute, diagnosi e terapia delle patologie; che i docenti e gli allenatori dei propri figli siano autorità nell’istruzione e nello sport. Per descrivere queste persone, utilizziamo espressioni quali: “E un’autorità nel campo dell’economia” oppure “Parla con grande autorevolezza”. Le persone dotate dell’autorità che deriva dalla loro conoscenza, competenza, esperienza, formazione, saggezza e istruzione sono molto ambite e spesso assai ben retribuite; e la loro autorità quasi mai suscita problemi relazionali. Esiste poi un secondo tipo di autorita conferita a precise figure professionali o riconosciuta e accordata a determinate funzioni lavorative. Ad esempio, la polizia è autorizzata a emettere multe, i presidenti dei comitati a dare inizio e porre fine alle riunioni, i giudici a pronunciarsi in merito alle leggi, i direttori dei quotidiani ad assegnare compiti, e via discorrendo. Anche l’autorità inerente l’ambito lavorativo suscita raramente problemi relazionali se le funzioni lavorative sono concordate e legittimare. Un terzo tipo ha a che vedere con i contratti e gli accordi, che possono variare dalla semplice stretta di mano alla ratifica formale di trattati internazionali. Certi avvocati si specializzano in giurisprudenza contrattualistica, diventando assai abili nel redigere documenti che precisano in modo inequivocabile i termini e le condizioni contrattuali. Tuttavia, per la maggior parte degli accordi non è necessario redigere contratti formali.

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