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I bisogni e i desideri, quali diversità

I bisogni sono una esperienza che costantemente attraversa la nostra vita; ma non sempre noi o i nostri interlocutori sono consapevoli di quali esigenze entrano in gioco nei conflitti interpersonali. Imparare a riconoscerli è quindi importante, e soprattutto saperli distinguere da quelli che sono i desideri. Thomas Gordon, “Relazioni efficaci”, Edizioni La Meridiana

Negli anni ’50 un giovane psicologo, Abraham H. Maslow, invece di dedicarsi allo studio della patologia umana, cominciò ad interessarsi al modo in cui le persone diventano sane e produttive. Le persone di successo, come Ruth Benedict, Albert Schweitzer, Eleanor Roosevelt, Winston Churchill, e altre che sembravano vivere pienamente la propria vita, diventarono così oggetto del suo peculiare studio. Egli scoprì che queste persone si assomigliavano per molti aspetti. Innanzitutto, non dovevano preoccuparsi della sopravvivenza personale o del senso di continuità. Esse avevano numerosi amici, relazioni amorevoli e solidali, carriere valide e stimolanti nonché frequenti peak experiences, ossia fenomeni che trascendevano l’ordinaria consapevolezza. Ciò che Maslow apprese da questo studio fu che i suoi soggetti avevano tutti i medesimi bisogni. E non è tutto, d’altronde chiunque li ha. Egli classificò i bisogni in una gerarchia in cui i bisogni fisiologici di sopravvivenza (cibo, indumenti, aria, rifugi, ecc.) venivano classificati come primari, seguiti dai bisogni di sicurezza e quindi dai bisogni sociali e cognitivi, in grado di soddisfare molto più della semplice sopravvivenza. Egli segnalò che quando i due bisogni primari di sopravvivenza e di sicurezza sono soddisfatti, affiorano alla coscienza il bisogno di relazionarsi e di appartenere, da lui definite necessità sociali e di appartenenza.

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Bisogni artificiali e nuova umanità

I bisogni artificiali indotti in noi dalla società dei consumi hanno creato un nuovo tipo di umanità che fa del consumismo la sua nuova religione. Inoltre i bisogni artificiali sono diventati uno strumento di controllo sociale…  Erich Fromm, “L’amore per la vita”, Oscar Mondadori

È opinione ampiamente diffusa, non solo tra i profani ma anche tra molti uomini di scienza, che l’individuo sia una macchina funzionante secondo determinati requisiti fisiologici. Ci sono fame e sete, la necessità di dormire, la sessualità, e via dicendo: bisogni fisiologici o biologici che devono essere soddisfatti; e, qualora non lo siano, l’individuo diviene nevrotico oppure, come nel caso della fame, muore. Se invece sono soddisfatti, almeno in apparenza tutto va per il meglio. È tuttavia evidente che le cose non stanno affatto così. Può infatti darsi che tutti i bisogni fisiologici e biologici dell’individuo siano soddisfatti, e che ciononostante egli non sia soddisfatto, e dunque non viva in pace con se stesso ma si senta come se fosse affetto da una grave malattia interiore, sebbene in apparenza abbia tutto ciò che gli occorre. Gli manca la spinta, gli manca l’impulso che ne promuove l’attività. Mi limiterò ad alcuni rapidi esempi. In questi ultimi anni, si sono compiuti interessanti esperimenti sulla totale abolizione di stimoli. A tale scopo, si chiude un individuo in una cella di isolamento, gli si fornisce cibo, temperatura e illuminazione sempre eguali, eccetera, ma gli si fanno mancare completamente gli stimoli, sicché l’individuo vive in un certo senso in un ambiente simile a quello del feto nell’utero materno. Bastano pochi giorni perché nell’individuo oggetto dell’esperimento si riscontrino manifestazioni decisamente patologiche, speso di tipo schizofrenico: sebbene le sue esigenze fisiologiche siano soddisfatte, dal punto di vista psicologico una simile condizione di passività è patogena al punto da poter causare la pazzia. La stessa situazione, che nel caso del feto è normale (sebbene anche in questo caso non si abbia un’abolizione di stimoli altrettanto totale che nell’esperimento) nell’individuo adulto si rivela, ripeto, patogena. (…)

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