trasformazione

La trasformazione di se stessi

Lo sviluppo del nostro essere, richiede la trasformazione del modo con cui ci rapportiamo alla vita. Questo è possibile solo agendo al livello delle impressioni che ci facciamo degli avvenimenti esterni che ci coinvolgono.

Tommaso: «Oramai vedo le cose con una certa lucidità. (…) quante cose si finiscono per sapere se si resta un po’ soli. E quante cose restano da fare. Mi viene il sospetto di essere rimasto ai margini di una impresa che invece mi riguardava. E non ho avuto la forza di andare fino in fondo. Molte volte mi consolo dicendo che non avevo neppure l’intelligenza…» La notte – Michelangelo Antonioni

Il lavoro su se stessi, finalizzato alla maturazione di una maggiore consapevolezza di sé,  pone le sue radici nell’idea della possibilità di una trasformazione psicologica della persona. Proviamo a fare chiarezza su questo concetto per sottrarlo da una nebbiosa indefinitezza e per comprenderne il significato pratico all’interno di un percorso di sviluppo di sé. I due concetti di sviluppo e di trasformazione sono sicuramente l’uno parte dell’altro, dal momento che non può esserci un processo di sviluppo che non comporti anche una qualche forma di trasformazione. Constatiamo questo in ambito biologico quando osserviamo lo sviluppo di qualunque essere vivente dove non si osserva solo un accrescimento delle dimensioni, ma un vero e proprio cambiamento delle forme. Questa semplice costatazione che nell’ambito della vita biologica appare quasi scontata e che non si fa fatica a riconoscere, solleva molte più resistenze quando passiamo ad estenderla alla vita psichica delle persone. In  ambito più strettamente psicologico si fa oggigiorno un gran parlare di sviluppo personale e molta gente desidera per sé il raggiungimento dell’obiettivo della crescita personale. Tuttavia, ben pochi hanno coscienza che il raggiungimento di tale traguardo richiede, per poter dar luogo ad un reale sviluppo di sé, una profonda trasformazione personale senza la quale qualunque cambiamento rimane solo in superficie.

L’idea della trasformazione per l’essere umano è sempre esistita e nel linguaggio dell’alchimia (secondo Carl Gustav Jung, suo profondo conoscitore, una delle prime forme di psicologia del profondo) era impiegata nell’insegnamento per riferirsi alla possibilità di passaggio da parte di un individuo da una condizione ordinaria (equiparata nel linguaggio esoterico al “vile metallo”) ad uno stato più elevato del proprio essere (la metafora dell’oro). Tale possibilità di una trasformazione è una condizione latente nell’individuo che può essere realizzata solo attraverso un “lavoro”. Se pensiamo alla vita in generale, essa stessa è un processo di trasformazione: tutti gli esseri viventi attuano costantemente nel proprio organismo trasformazioni di qualcosa in qualcos’altro. Pensiamo, per esempio, all’alimentazione per cui al fine di nutrirci ingeriamo nel nostro organismo del cibo. La possibile di utilizzare tali alimenti al fine di fornire al nostro organismo le sostanze di cui ha bisogno, sta nella trasformazione che il cibo subisce nel corso della digestione. Senza tale trasformazione sarebbe impossibile trarre, per esempio da un boccone di pane, del nutrimento per noi.

Questo processo che avviene per l’alimentazione accade anche a livello psicologico. Infatti, la nostra mente riceve dall’esterno, in ogni momento delle degli input nella forma di impressioni. Gli input sono stimoli che però per poter essere “digeriti” dalla nostra mente, venendo a contatto con la nostra struttura mentale individuale diventano impressioni, ossia sono trasformati aderendo alla nostra soggettività. Per esempio se incontriamo una persona (input), in base alle nostre esperienze passate e ai nostri schemi mentali, potremmo avere una impressione negativa (“non mi piace, è antipatica”); al contrario se ci imbattiamo in un’altra persona per motivi analoghi potremmo rispondere con una impressione positiva (“mi piace, è simpatica”). In questo modo la vita è un susseguirsi di impressioni e non, come in genere si pensa, di esperienze oggettive. Anche ciò che riteniamo essere il dato più oggettivo come il frutto della nostra vista, è in realtà una impressione ad un input esterno elaborata in base alle caratteristiche del nostro sistema nervoso: occhi diversi, appartenenti per esempio ad un essere vivente di altra specie, vedono cose diverse. Dunque, ci rapportiamo alla vita nelle forme delle nostre impressioni, che sono esse stesse il frutto di una trasformazione degli input.

Fin qui si è cercato di mostrare come i processi di trasformazione sono parte intima del nostro vivere. Passiamo ora a descrivere come questi possono essere usati consapevolmente nel lavoro su noi stessi. Il primo punto che deve essere chiaro è che il lavoro su noi stessi  non si fa sulla vita esterna a noi ma sulle impressioni che abbiamo rispetto ai fatti esterni. Se una persona è solita arrabbiarsi con il proprio coniuge può pensare che la colpa di ciò sia dell’altro e ritenere che si arrabbierebbe di meno se l’altro cambiasse: questo modo di vedere le cose è ragionevole, è plausibile ma non va nella direzione del lavorare su di sé. Al contrario impegnarsi in un lavoro su se stessi, in questo caso, vorrebbe dire occuparsi della propria rabbia e capire come mai le impressioni che elaboriamo a partire dagli input del nostro coniuge ci portano a provare rabbia. Iniziare a porsi nei confronti della vita in questo modo, non solo interrompe l’usuale meccanicità del nostro agire (non ci arrabbiamo subito) ma ci porta anche a capire qualcosa in più sul modo con cui elaboriamo le nostre impressioni. Nel caso specifico dell’esempio fatto, potremmo diventare consapevoli che spesso la nostra rabbia è generata dalle nostre aspettative, per cui ”andiamo in crisi” se le persone non rispondono come noi vorremmo. Se, con l’esercizio, apprendiamo a porci in questo modo nei confronti degli input esterni, ci metteremo nella condizione di agire sulla trasformazione a cui questi sono sottoposti dalla nostra soggettività, interrompendo l’automaticità di tale processo.

Lavorare su di noi in questo modo fa sì che la vita non agirà più su di noi come prima e si inizierà a pensare e a comprendere i fatti della vita stessa in un modo nuovo. Questo segna  l’inizio della propria trasformazione, sviluppando il nostro essere verso nuove forme di consapevolezza di noi e della realtà esterna. Al contrario continuare a comportarsi e a pensare sempre allo stesso modo, fa sì che noi prendiamo la vita nella stessa maniera e nulla cambierà in noi. Trasformare le impressioni con cui elaboriamo la vita significa trasformare se stessi, e questo è possibile solo facendo proprio un modo di pensare completamente nuovo.

Bisogna comprendere che i fatti della vita ci portano sempre a reagire ad essa in base alle nostre impressioni; che, ad un livello ordinario del nostro funzionamento mentale, noi reagiamo sempre allo stesso modo alla vita, meccanicamente, in modo stereotipato; che tutte queste reazioni formano quella che chiamiamo la nostra vita; che cambiare la nostra vita, nella direzione di uno sviluppo, non vuol dire cambiare le circostanze esterne ma imparare a trasformare le nostre impressioni, quindi, le proprie reazioni.

Questo post è parte di un percorso per stimolare in chi legge un lavoro su di sé ispirato alle idee della Quarta Via riviste nell’ottica della psicologia attuale. Nel corso dei post verranno fornite anche le indicazioni per una serie di esercizi volti a focalizzate l’attenzione sull’osservazione di se stessi al fine di acquisire una consapevolezza maggiore. Ogni post è di per sé esaustivo, ma chi intendesse usare questa risorsa per cominciare a lavorare su di sé, è importante seguire la cronologia dei post come progressione logica degli argomenti.

Leggi la lezione n. 29: Stati interni e fatti esterni

Leggi: Come cambiare noi stessi