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la consapevolezza delle emozioni

La consapevolezza delle emozioni

La consapevolezza delle emozioni consente una profonda conoscenza di sé, aprendoci alla possibilità di controllarle. La consapevolezza delle emozioni richiede una continua attenzione rivolta ai propri stati interiori, attraverso cui la nostra mente osserva e studia l’esperienza emotiva. Solo una attenta pratica di questo aspetto della nostra vita ci può mettere nella condizione di gestile le nostre emozioni

“Essere consapevoli di sé, in breve, significa essere “consapevoli sia del nostro stato d’animo che dei nostri pensieri su di esso” (…). L’autoconsapevolezza può essere una forma di attenzione, non reattiva e non critica, verso i propri stati interiori. (…) Questa sensibilità può anche essere meno equilibrata; ecco alcuni pensieri tipici che rivelano l’autoconsapevolezza emozionale: “Non dovrei provare questo sentimento”, “Sto pensando a delle cose buone per tirarmi su” e, nel caso di un’autoconsapevolezza più limitata “Non pensarci”, una reazione di fuga in risposta a qualcosa che ci turba profondamente. Sebbene esista una distinzione logica fra l’essere consapevoli dei propri sentimenti e l’agire per modificarli, (…) a tutti i fini pratici le due cose procedano in stretta cooperazione: riconoscere uno stato d’animo profondamente negativo significa volersene liberare. Tuttavia, il riconoscimento delle emozioni è una cosa, e altra cosa distinta sono gli sforzi che facciamo per non agire sotto il loro impulso.”

COMMENTO – Per attuare la consapevolezza delle emozioni è possibile utilizzare quella che Freud definiva come “attenzione che si libra imparziale”. Grazie a questo tipo di attenzione è possibile osservare con imparzialità tutti gli aspetti della nostra vita emotiva che attraversano la nostra consapevolezza, allo stesso modo in cui un esploratore farebbe rispetto ad un territorio nuovo, interessato a tutto senza che giudizi o preclusioni gli impediscano di vedere ciò che è intorno a lui. Possiamo fare tutto ciò sviluppando quello che potremmo definire come “Io osservatore”. Utilizzando questa parte di noi, l’osservazione della nostra vita emotiva ci consentirà di raggiungere una consapevolezza equilibrata non solo delle emozioni positive ma soprattutto dei sentimenti più appassionati o irruenti. Ad un livello più avanzato per mezzo di questa auto osservazione potremmo maturare un distacco, anche appena accennato, dalle emozioni che stiamo vivendo, grazie al fatto di riuscire a fare un passo indietro rispetto all’esperienza per fermarci e osservare il tutto.

Apprendere a osservare noi stessi ci consente, dunque, di arrivare ad un altro livello di coscienza di noi stessi: non solo consapevoli di ciò che ci sta accadendo, ma anche capaci di non farci sommergere dalle emozioni o di perderci in esse. Come ricorda Daniel Goleman: “è la differenza che passa fra l’essere travolti da una furia omicida verso qualcuno e il pensare introspettivamente «Ecco, quella che sto provando è collera», anche nel momento stesso in cui ne siamo pervasi.” La consapevolezza delle emozioni è particolarmente importante nel caso dei sentimenti negativi molto intensi. Infatti, se nel momento in cui proviamo un’emozione negativa riusciamo a dire a noi stessi “Ecco, quella che sto provando è collera”, tale consapevolezza ci mette nella condizioni di avere un maggior grado di libertà e autonomia rispetto a quell’emozione negativa, dal momento che ci offre l’opportunità di scegliere non solo di non agire guidati dalla rabbia, ma anche di trovare altri modi di incanalarla in maniera più costruttiva.

Secondo Daniel Goleman esistono tre categorie relativamente al modo in cui gli individui percepiscono e gestiscono le proprie emozioni: gli autoconsapevoli, ossia coloro che riescono ad essere coscienti dei propri stati d’animo quando questi si presentano, per cui tali individui hanno una raffinata comprensione e conoscenza della propria vita emotiva; i sopraffatti, ossia coloro che spesso si sentonosommersi dalle proprie emozioni e non in grado di difendersi da esse, per cui quando le emozioni si affacciano nella loro vita mentale prendono il sopravvento; i rassegnati, ossia quelle persone che pur conoscendo abbastanza bene le proprie emozioni tendono ad accettarle senza cercare di modificarle, accettando per se stesse un un atteggiamento da “laissez-faire”.

Daniel Goleman, Intelligenza emotiva. Rizzoli

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criticare

Criticare in modo sano e in modo sbagliato

Quali sono i modi giusti e i modi errati di esprimere una critica all’altro? Cosa nascondono gli atteggiamenti di disprezzo e collera verso i nostri interlocutori? Criticare ciò che fa qualcuno è molto diverso da criticare la persona stessa. Pochi e semplici regole per affrontare gli attriti e le conflittualità nel modo migliore evitando atteggiamenti aggressivi.

“Le differenze fra una protesta e una critica personale sono semplici. In una protesta, la moglie indica specificamente che cosa l’ha infastidita e critica l’azione del marito, spiegando come essa l’abbia fatta sentire, senza scagliarsi direttamente contro di lui: “Il fatto che hai dimenticato di prendere i miei vestiti in tintoria mi ha dato la sensazione di essere trascurata”. Questa è un’espressione di elementare intelligenza emotiva: sicura, senza aggredire né mostrare passività. Ma in una critica personale, la donna avrebbe usato la rimostranza specifica per lanciare al marito un attacco globale: “Sei così egoista e privo di attenzioni. Questo non fa che dimostrare che faccio bene a pensare che tu non ne possa mai combinare una giusta”. Questo tipo di critica provoca in chi la riceve sentimenti di vergogna e di colpa, oltre alla sensazione di non essere amato – tutte percezioni che scateneranno con maggiori probabilità una reazione difensiva, e non un reale tentativo di migliorare le cose. Questo è più che mai vero quando alle critiche va ad aggiungersi il disprezzo, un’emozione particolarmente distruttiva. Il disprezzo compare facilmente associato alla collera; di solito esso viene espresso non solo attraverso le parole usate, ma anche dal tono di voce e da un’espressione di collera. La sua forma più ovvia, naturalmente, è lo scherno o l’insulto – “scemo”, “puttana”, “smidollato”. Ma il linguaggio corporeo che trasmette il disprezzo non ferisce certo di meno: si pensi soprattutto al sogghigno, o al labbro sollevato, che sono i segni facciali universali per esprimere il disgusto, oppure al gesto di alzare gli occhi al cielo, come per dire “Oh, Dio!”.

COMMENTO: Esistono molti modi per affrontare un conflitto interpersonale in maniera tale da riuscire a esprimere il nostro disappunto al nostro interlocutore e al tempo stesso evitare inutili offese e svalutazioni dell’altro che non sono funzionali alla discussione. Così se ha senso criticare qualcosa che ha fatto una persona che a nostro parere si è comportata in un modo che riteniamo inopportuno o sbagliato, è invece del tutto errato e inutile attaccare il nostro interlocutore sul piano personale. Infatti, nel primo caso la conflittualità rimane al livello della discussione in merito all’oggetto della nostra contrarietà, nel secondo caso si passa su di un altro piano in cui l’oggetto del contrasto diventa la soggettività dell’altro. Quando ciò accade la persona che si sente attaccata sul piano personale tenderà a difendersi o ad attaccare a sua volta, o ancora se si trova in una posizione di subalternità, a rispondere con il silenzio e la frustrazione. In ogni caso la discussione non sarà più sui reali motivi che l’hanno determinata ma sarà passata sul piano relazionale tra i due contendenti. In conclusione: criticare è un’azione di per sé importante all’interno di un rapporto, sana e indice che nella relazione è ammessa la divergenza e una certa dose di conflittualità. Ma criticare si può fare in molti modi e bisogna tener ben presente che è profondamente diverso dire ad una persona “hai fatto una cosa sbagliata” o “sei una persona sbagliata”.

Daniel Goleman, Intelligenza emotiva. BUR

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Daniel Goleman

Daniel Goleman: emozioni e successo

Daniel Goleman – psicologo statunitense tra i principali studiosi dell’intelligenza emotiva – ci spiega che la capacità di saper “maneggiare” ed avere dimestichezza con le nostre emozioni è un requisito molto importante nella vita delle persone, non solo perché tale competenza è positivamente correlata con il successo ma anche perché ci consente di avere un’esistenza più equilibrata e soddisfacente.

“La vita emotiva è una sfera che, come sicuramente accade nel caso della matematica o della lettura, può essere gestita con maggiore o minore abilità, e richiede un insieme di competenze esclusive. La destrezza di una persona in tali ambiti è fondamentale per comprendere come mai alcuni soggetti abbiano successo mentre altri, intellettualmente non da meno, imbocchino vicoli ciechi: l’attitudine emozionale è una “meta- abilità”, in quanto determina quanto bene riusciamo a servirci delle nostre altre capacità – ivi incluse quelle puramente intellettuali. Naturalmente, ci sono molte strade per avere successo nella vita, e molte sfere nelle quali vengono premiate altre attitudini. Nella nostra società, sempre più imperniata sulla conoscenza, la capacità tecnica è certamente una di queste. C’è una barzelletta da bambini che dice: “Come si chiama uno «stupido secchione» quindici anni dopo?”. La risposta è: “Capo”. Ma anche fra “secchioni” l’intelligenza emotiva offre un ulteriore vantaggio sul posto di lavoro (…). Molti dati testimoniano che le persone competenti sul piano emozionale – quelle che sanno controllare i propri sentimenti, leggere quelli degli altri e trattarli efficacemente – si trovano avvantaggiate in tutti i campi della vita, sia nelle relazioni intime che nel cogliere le regole implicite che portano al successo. Gli individui con capacità emozionali ben sviluppate hanno anche maggiori probabilità di essere contenti ed efficaci nella vita, essendo in grado di adottare gli atteggiamenti mentali che alimentano la produttività; coloro che non riescono ad esercitare un certo controllo sulla propria vita emotiva combattono battaglie interiori che finiscono per sabotare la loro capacità di concentrarsi sul lavoro e di pensare lucidamente. (…)”

COMMENTO: Come ci spiega Daniel Goleman, l’intelligenza emotiva è una componente dell’intelligenza, e riguarda la capacità dell’individui di percepire, valutare, comprendere, utilizzare e gestire le emozioni. Chi ha una elevata intelligenza emotiva è in grado di riconoscere le proprie e le altrui emozioni, sa fare distinzioni tra di esse e può, quindi, utilizzare tali informazioni per guidare il proprio pensiero e il comportamento. Daniel Goleman osserva che le persone dotate di un’alta intelligenza,  intesa tradizionalmente, non sempre sono quelle che hanno successo nella vita professionale e nei rapporti con gli altri. Infatti è l’intelligenza emotiva la vera variabile fondamentale a innescare il successo e la felicità. Daniel Goleman osserva che quando ci troviamo a dover prendere decisioni e compiere azioni i sentimenti giocano un ruolo determinante almeno tanto quanto il pensiero razionale. Ignorando questo aspetto può allora capitare che a nostra insaputa le emozioni prendono il sopravvento e se ciò accade l’intelligenza tradizionale può non esserci di nessun aiuto.

Secondo Daniel Goleman l’intelligenza emotiva si compone di cinque aspetti. Il primo è rappresentato dalla la consapevolezza di sé, ossia dalla capacità di riconoscere le proprie emozioni e di comprendere come queste influenzano il nostro agire e pensare. Il secondo è il dominio di sé, ossia capacità di gestire e controllare le proprie emozioni, senza lasciare che siano esse a manovrarci. emozioni. Il terzo fattore consiste nella motivazione a scoprire i veri e profondi motivi che guidano il nostro agire. Questo ci aiuterebbe a meglio realizzare i nostri obiettivi reali, rafforzando l’impegno nonostante i possibili ostacoli. Il quarto aspetto è quello dell’empatia, ossia della capacità di sentire gli altri, favorendo il contatto con essi grazie proprio alla dimestichezza che abbiamo maturato nel conoscere le emozioni. Infine c’è la capacità di stare insieme agli altri, cercando di comprendere le dinamiche interpersonali alla base dei rapporti con le altre persone.

Daniel Goleman, Intelligenza emotiva. BUR Universale Rizzoli

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Consapevolezza di sé : sapersi guardare

La consapevolezza di sé ci permette non solo di valorizzare le nostre risorse personali ma, soprattutto, di lavorare sui nostri “difetti”. La consapevolezza di sé è però fortemente ostacolata dalla tendenza a rimuovere gli aspetti “negativi” di noi. La consapevolezza di sé, opportunamente utilizzata, ci permette di migliorarci attraverso i feedback che ciascuno di noi può ricevere dall’esterno. La consapevolezza di sé può entrare in azione nel momento in cui mettiamo da parte le resistenze a vedere con “oggettività” ciò che noi siamo e facciamo.
Daniel Goleman, Lavorare con l’intelligenza emotiva. BUR

Un dirigente era stato promosso ai vertici di una grande società manifatturiera e a causa della riorganizzazione e dei ridimensionamenti di organico effettuati nelle divisioni che aveva diretto in precedenza, aveva la reputazione di vero artista nel riportare i bilanci in attivo con la tecnica del «calcio-nel-sedere». «Non sorrideva mai: sul suo volto era permanentemente stampata un’espressione corrucciata», mi raccontò Kathryn Williams, formatrice di dirigenti per la KRW International. «Era sempre impaziente, lesto a montare in collera. Quando qualcuno gli portava cattive notizie, se la prendeva con il messaggero, e perciò la gente smise di informarlo. Non si rendeva assolutamente conto di spaventare le persone. Fintanto che era stato uno specialista nel guidare l’inversione di rotta dei bilanci a suon di tagli nell’organico, il suo comportamento intimidatorio e scortese aveva funzionato, ma ora lo stava danneggiando.»
E così Williams fu chiamata a offrire la sua consulenza al dirigente. Lo videoregistrò mentre era in attività, e poi gli fece vedere il nastro, mostrandogli l’effetto che la sua abituale espressione, tanto ostile, aveva sulla gente. Fu una rivelazione: «Quando si rese conto dell’impressione che faceva, aveva le lacrime agli occhi», ricorda Williams. Per il dirigente un tempo scortese, quello fu l’inizio di un cambiamento positivo. Ma non accade sempre così: troppo spesso chi arriva ai vertici delle organizzazioni può interpretare il bisogno di cambiare come un segno di fallimento o di debolezza. La stessa competizione che li ha portati dove sono può impedir loro di ammettere i propri difetti, anche solo per il timore dell’effetto che ciò avrebbe sui loro concorrenti nella politica dell’organizzazione.
Tutti noi abbiamo questa tendenza alla negazione, una strategia emotivamente rassicurante che ci protegge dal disagio associato al riconoscimento della dura verità. Questa strategia difensiva può esprimersi in diverse forme: minimizzando i fatti, filtrando informazioni fondamentali, razionalizzando ed escogitando «buone scuse» – qualunque cosa pur di spogliare i fatti della loro verità emotiva.

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Autocontrollo : dialogare con le emozioni

L’ autocontrollo o padronanza di sé è un requisito fondamentale in tutte le relazioni. Autocontrollo non significa soffocare le emozioni – anche quelle negative – ma saper scegliere come manifestarle e utilizzarle. Daniel Goleman sfata i falsi miti sull’autocontrollo proponendo un rapporto costruttivo con le nostre emozioni.
Daniel Goleman, Lavorare con l’intelligenza emotiva. BUR

La padronanza emotiva (autocontrollo) comprende non solo la capacità di smorzare il disagio o di soffocare l’impulso; significa anche saper evocare intenzionalmente un’emozione, magari spiacevole. Mi hanno raccontato che alcuni esattori, prima ci chiamare le persone rimaste indietro con i pagamenti, si «caricano» stimolando in se stessi uno stato di irascibilità e stizza. I medici che devono dare cattive notizie ai pazienti o alle loro famiglie fanno la stessa cosa, calandosi in uno stato d’animo appropriatamente cupo e malinconico, proprio come fanno gli impresari di pompe funebri quando trattano con i familiari in lutto. Nel settore del commercio al dettaglio e dei servizi, l’esortazione ad essere amichevoli con i clienti è virtualmente universale.
Una scuola di pensiero sostiene che, quando per conservarsi il posto chi lavora deve manifestare una data emozione, si vede imporre un faticoso «lavoro emozionale». Quando le emozioni che una persona deve esprimere sono determinate dalle istruzioni di un superiore, il risultato è un’estraniazione dai propri sentimenti. Commesse, hostess e personale alberghiero appartengono ad alcune delle categorie di lavoratori soggette a questo tentativo di controllo del cuore, che Arlie Hochschild, sociologo dell’Università della California di Berkeley, definisce «commercializzazione dei sentimenti umani», equivalente a una forma di tirannia emotiva.
Un esame più attento rivela come questa prospettiva sia solo parziale. Un fattore critico nel determinare se il lavoro emozionale sia o meno gravoso è la misura in cui la persona coinvolta si identifica nel proprio ruolo. Per un’infermiera che si consideri interessata agli altri e compassionevole, impiegare qualche istante a consolare un paziente che soffre non rappresenta un peso ma è proprio ciò che rende più significativo il suo lavoro.

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autoconsapevolezza

Autoconsapevolezza delle emozioni

L’ autoconsapevolezza delle proprie emozioni ci permette non solo una più profonda conoscenza di noi stessi ma apre la strada anche alla possibilità di avere un controllo su di esse. L’ autoconsapevolezza è un importante strumento di monitoraggio della nostra vita psicologica, in grado di farci sfruttare al meglio la nostra vita emotiva.
Daniel Golemn, Intelligenza emotiva. Rizzoli

In un’antica leggenda giapponese si narra di un samurai bellicoso che un giorno sfidò un maestro Zen chiedendogli di spiegare i concetti di paradiso e inferno. Il monaco, però, replicò con disprezzo: “Non sei che un rozzo villano; non posso perdere il mio tempo con gente come te!”. Sentendosi attaccato nel suo stesso onore, il samurai si infuriò e sguainata la spada gridò: “Potrei ucciderti per la tua impertinenza”.
“Ecco” replicò con calma il monaco “questo è l’inferno.” Riconoscendo che il maestro diceva la verità sulla collera che lo aveva invaso, il samurai, colpito, si calmò, ringuainò la spada e si inchinò, ringraziando il monaco per la lezione. “Ecco” disse allora il maestro Zen “questo è il paradiso.”
L’improvviso risveglio del samurai e il suo aprire gli occhi sul proprio stato di agitazione ci mostra quanto sia fondamentale la differenza fra l’essere schiavi di un’emozione e il divenire consapevoli del fatto che essa ci sta travolgendo. Il consiglio di Socrate, “conosci te stesso”, fa proprio riferimento a questa chiave di volta dell’intelligenza emotiva: la consapevolezza dei propri sentimenti nel momento stesso in cui essi si presentano.

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Partner : i comportamenti di coppia sbagliati

Partner  : quali sono i modi sbagliati di esprimere una critica all’altro? Cosa nascondono gli atteggiamenti di disprezzo e collera verso il/la partner? Daniel Goleman analizza le conseguenze di questi comportamenti distruttivi per una sana vita di coppia
Daniel Goleman, Intelligenza emotiva. BUR

Fred: Hai ritirato la mia roba in tintoria?
Ingrid: (Con tono di scherno) “Hai ritirato la mia roba in tintoria?” Vattela a prendere da te la tua maledetta roba. Che cosa sono, la tua serva?
Fred: Magari. Se lo fossi, almeno sapresti fare il bucato.

Se si trattasse di uno scambio di battute in una “sitcom”, potrebbe essere anche divertente. Ma questo dialogo dolorosamente caustico ebbe luogo in una coppia che (fatto non molto sorprendente) divorziò nel giro di pochi anni.161 Teatro del loro scontro fu il laboratorio diretto da John Gottman, uno psicologo della Chicago University che ha compiuto l’analisi più dettagliata forse mai condotta sulle emozioni che cementano le unioni e sui sentimenti corrosivi che possono invece distruggerle.162 Nel suo laboratorio, la conversazione dei due partner viene videoregistrata e poi sottoposta a ore e ore di microanalisi per rivelare eventuali correnti emozionali sotterranee. Questa mappatura dei comportamenti distruttivi che possono portare una coppia al divorzio dimostra l’importanza cruciale dell’intelligenza emotiva nella sopravvivenza di un matrimonio.

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Empatia : il nostro radar sociale

Cosa è l’ empatia e come funziona? Ce lo spiega Daniel Goleman, lo psicologo americano che per primo ha sottolineato l’importanza dell’intelligenza emotiva.
Daniel Goleman, Lavorare con l’intelligenza emotiva. BUR

Come osservava Freud, «i mortali non sanno mantenere segreti. Se le loro labbra sono silenziose, spettegolano con la punta delle dita; il tradimento si fa strada attraverso ogni poro della pelle». Il nervoso e inquieto agitarsi di un negoziatore smentisce la sua espressione impassibile; lo studiato disinteresse di un cliente che mercanteggia sui prezzi da un concessionario di automobili è contraddetto dall’eccitazione con cui gravita intorno alla convertibile che desidera con tutto se stesso. Saper cogliere queste spie emotive è particolarmente importante in situazioni in cui le persone hanno ragione di nascondere le loro vere emozioni – una cosa comune nell’ambiente degli affari e del lavoro.
L’essenza dell’empatia sta pertanto nel cogliere quello che gli altri provano senza bisogno che lo esprimano verbalmente. In effetti, è raro che gli altri ci dicano esplicitamente che cosa provano; piuttosto, ce lo comunicano con il tono di voce, l’espressione del volto, o in altri modi non verbali. L’abilità di captare queste comunicazioni impercettibili si fonda su competenze più fondamentali, soprattutto sulla consapevolezza di sé e sull’autocontrollo. Come vedremo, se non siamo capaci di percepire i nostri sentimenti o di impedire che essi ci sommergano, non avremo alcuna speranza di entrare in contatto con gli stati d’animo degli altri.
L’empatia è il nostro radar sociale. Un’amica mi racconta di essersi accorta molto presto dell’infelicità di una collega. «Andai dal mio capo e dissi, “C’è qualcosa che non va con Kathleen – non è felice qui”. Non mi guardava più negli occhi, aveva smesso di mandarmi i suoi soliti messaggi spiritosi via e-mail. Dopo un po’ annunciò che se ne andava a lavorare da un’altra parte.»
Quando mancano di questa sensibilità, le persone sono «fuori». Essere sordi emotivamente si traduce nella goffaggine sociale, che può derivare da un’errata interpretazione dei sentimenti, da una ottusità meccanica e desintonizzata, o dall’indifferenza che può distruggere un rapporto.

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