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indipendenza

Indipendenza ovvero la libertà nell’amore

Indipendenza e libertà nell’amore sono tematiche che aprono a paradossi e contraddizioni. La libertà di chi amiamo è così fortemente auspicata quando desideriamo sentirci amati per libera scelta e non per costrizione. Ma al tempo stesso essa è temuta perché potenzialmente rappresenta un fattore di rischio per la stabilità e la continuità del rapporto. È possibile, invece, pensare all’amore in termini di indipendenza? Amore e indipendenza sono due termini in contraddizione tra loro o rappresentano l’uno il presupposto dell’altro?

“L’amante vorrebbe che la fedeltà assoluta dell’amato non fosse l’effetto di una prigionia; vorrebbe che questa fedeltà fosse il risultato di una scelta libera che sapesse rinnovare costantemente la promessa. Il sogno di ogni amante è custodito in questo desiderio paradossale: possedere l’Altro, ma solo in quanto libero. Ma come si può impossessarsi dell’Altro senza porre fine alla sua libertà? Come può esistere qualcosa come una “libertà prigioniera”? Il punto è che proprio perché non può esistere qualcosa come una libertà prigioniera ogni amore è esposto al rischio della fine. (…)L’amante non domanda semplicemente il corpo sessuale dell’amata; l’amore non è infatti riducibile al desiderio feticistico del “pezzo” di corpo dell’Altro. L’erotismo dell’amore attraversa il corpo, ma non si esaurisce mai tutto nel corpo. Piuttosto inonda il mondo. L’amore apre sempre un nuovo mondo e questa apertura, in cui consiste la verità dell’amore, rifonda l’esistenza, la fa nascere, per così dire, un’altra volta. In questo senso la domanda d’amore implica sempre, e insieme trascende sempre, il godimento del corpo. Essa domanda il segno del desiderio dell’Altro-, l’amante non desidera “qualcosa” dell’Altro (…) ma desidera essere desiderato dall’Altro, desidera essere il desiderio desiderato dall’Altro, desidera il segno di essere la causa della mancanza dell’Altro. (…) Vuole che l’amata sia liberamente sua. Non vuole che l’amata sia una sua prigioniera – l’amore non è effetto di una costrizione -, non può sopportare di ridurre il soggetto amato a uno strumento del suo godimento. Il disegno dell’amante è più intricato e, come abbiamo visto, paradossale: vuole raggiungere il cuore dell’Altro, la sua libertà, vuole che questa libertà – la libertà dell’amato – sia totalmente sua. Vuole l’amata, allo stesso tempo, libera e prigioniera.”

COMMENTO – Tema scottante quello della libertà nell’amore perché apparentemente basato su un paradosso: quello tra possesso della persona amata e la libertà della medesima. U tema questo che diventa ancora più difficile alla luce dei numerosi episodi di violenza degli uomini verso le donne, consumati sempre all’interno di presunte relazioni d’amore. Il discorso di Recalcati trascende però tali questioni di attualità per delineare una riflessione più generale sulla struttura dell’amore valida per uomini e donne. L’amore nella sua forma più basilare viene vissuto come possesso della persona amata. Tuttavia, al tempo stesso, si desidera che la persona amata ci ami per sua libera scelta. Che amore sarebbe se questo fosse il frutto di una imposizione. Eppure noi vogliamo che il/la nostra/o partner ci ami. È qui che, come sottolinea Recalcati, si pone il paradosso: vogliamo (almeno negli intenti) che la persona amata sia libera ma desideriamo che questa libertà sia nostra, ossia che la scelta d’amare sia fatta su di noi. Il paradosso di ogni amore, la sua contraddizione intrinseca è in questa “libertà prigioniera” che si concretizza nel pensare ad una libertà di scegliere sempre e comunque noi. Ed è in questo aspetto che si cela il presupposto della violenza che può, in casi particolari, esplodere in azioni violente finanche l’uccisione della “persona amata” come estremo atto di possesso. Sicuramente a questa forma “primitiva” dell’amore se ne contrappone una matura in cui l’amore non è qualcosa che si attende dalla persona che amiamo ma un dono che facciamo all’altro. Un amore, come notava Erich Fromm, che si fonda sul dono verso l’altro con il desiderio non del possesso ma del bene dell’altro. L’amore diventa allora una scelta che richiede sacrificio e che si fonda sull’evoluzione del proprio Io. In particolare lo sviluppo di una sana indipendenza, capace di portarci fuori da meccanismi infantili di dipendenza dall’altro, fa sì che l’amore non si fondi sul bisogno del/della partner. Indipendenza allora come prerequisito, secondo Fromm, per sviluppare una vera arte d’amara in cui l’altro/a non rappresentano la “stampella” per la nostra individualità ma un’occasione di incontro e di crescita.

Massimo Recalcati, Niente è più come prima, Raffaello Cortina Editore

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il tradimento

Il tradimento e la sua necessità

Il tradimento è una esperienza apparentemente antitetica all’amore. Eppure l’amore e il tradimento sono situazioni che fanno parte dello stesso destino perché entrambi servono ad ogni individuo per crescere e conoscere se stesso, pur partendo da esigenze diverse.

“Tradire un amore, tradire un amico, tradire un’idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa svincolarsi da un’appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario. e quindi in un certo senso più autentica e vera. Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia. se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: “Non sono come tu mi vuoi”. C’è infatti in ogni amore, da quello dei genitori a quello dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti. una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all’interno di quel recinto che è l’amore che non dobbiamo tradire. Ma in ogni amore che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c’è troppa infanzia. troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d’ombra. Eppure senza profilo d’ombra, quella che puerilmente chiamiamo “amore”, c’è l’incapacità di abbandonare lidi protetti. di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero addio. E in ogni addio c’è lo stigma del tradimento e insieme dell’emancipazione. C’è il lato oscuro dell’amore. che però e anche ciò che gli conferisce il suo significato e che lo rende possibile.”

COMMENTO – Il tradimento è un viaggio fuori dal noi e in quanto tale (per sua natura) prescinde dal noi. Entrambi sia l’amore che il tradimento nascono da profonde esigenze dell’individuo che però al tempo stesso possono diventare vie di fuga rispetto al mettere in gioco se stessi in un processo di crescita. Infatti, tanto l’amore quanto il tradimento se agiti in maniera rigida e incondizionata finiscono per diventare spazi angusti e non di libertà, spazi in cui rifugiarsi per paura di sperimentare se stessi in maniera differente. Così la demonizzazione del tradimento (che non è solo nella sua versione sessuale) significa non vedere in esso la sua potenzialità di salvezza per individualità di ciascuno di noi, rispetto dall’abbraccio mortale dell’accoppiata amore/noi, quando questo binomio smette di essere emancipazione per i partner, non consentendo né crescita né arricchimento. La demonizzazione del tradimento, contrapposto in questo modo all’amore, si basa spesso sull’amore inteso come possesso; ma il possesso, paradossalmente rispetto all’intenzionalità dell’amore, non tende al bene del partner e neppure alla lealtà verso di lui. Il possesso nell’amore, vissuto come antidoto al tradimento (con la sua declinazione della gelosia), tende al mantenimento di una relazione tra i partner che non è in grado di garantire la loro felicità, visto che questa si nutre sempre della ricerca e della sperimentazione del nuovo dal momento che solo queste situazioni possono stimolare in noi una vera conoscenza di sé. Invece l’amore basato sul possesso, pensato come barriera al tradimento, baratta tutto questo in cambio di una sterile sicurezza. Come scrive Galimberti: “siamo in due, non sappiamo più chi siamo. ma siamo insieme ad affrontare il mondo”.

L’amore è un gioco interpersonale in cui la posta in gioco è duplice : giocare per la felicità che richiede sempre la realizzazione di se stessi, oppure giocare per la sicurezza che altrettanto spesso richiede come posta la negazione di sé. E allora come sintetizza Galimberti: “una cosa è certa: che nella relazione. nel “noi” non ci si può seppellire come in una tomba. Ogni tanto bisogna uscire. se non altro per sapere chi siamo senza di lei o di lui. Solo gli altri. infatti, ci raccontano le parti sconosciute di noi.” In traditore è allora colui che all’interno di un amore diventato prigione ha il coraggio di diventare diverso da ciò che credeva o si aspettava l’altro o di muoversi non più in sintonia con il partner. ma da solo. È questa la slealtà di cui si fa carico il traditore (ripetiamo, laddove il tradimento non è una professione nevrotica che simula solo una fuga che non si riesce a compiere o maschera altre paure) e allora il modo migliore per vivere un tradimento subito è quello di accettare il cambiamento proposta dall’altro, accogliendolo come una opportunità per ridefinire se stessi e la relazione. Tutto ciò è difficile: è complicato tradire così come lo è ridefinire se stessi e il rapporto accettando il cambiamento. Per tali motivi nella coppia è più semplice percorrere la strada della fedeltà o presunta tale e, nel caso di un tradimento, la via del risentimento e della vendetta.

Umberto Galimberti, Le cose dell’amore, Feltrinelli

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Robin Norwood

Robin Norwood: gli amori troppo…

Robin Norwood ci dice che si può amare troppo, quando l’amore nasconde in realtà una dipendenza affettiva. Questo tipo di distorsione dell’amore è riscontrabile soprattutto tra le donne, anche se gli uomini possono essere affettivamente dipendenti, specie in quelle che hanno vissuto la propria infanzia in famiglie disturbate nelle quali hanno dovuto costantemente adattarsi agli altri…

“Droga è una parola che fa paura. Evoca immagini di persone dedite all’eroina che si conficcano aghi nelle braccia e che stanno avviandosi verso l’autodistruzione. È una parola che non ci piace e non vogliamo applicarla al nostro modo di rapportarci agli uomini: ma molte di noi sono state “drogate” da un uomo e, come tutti gli altri drogati, hanno bisogno di capire e ammettere la gravità del problema prima di poter cominciare a curarsi e a liberarsene. (…) Se mai vi è capitato di essere ossessionate da un uomo, forse vi è venuto il sospetto che alla radice della vostra ossessione non ci fosse l’amore ma la paura; noi che amiamo in modo ossessivo siamo piene di paura: paura di restare sole, paura di non essere degne di amore e di considerazione, paura di essere ignorate, o abbandonate, o annichilite. Offriamo il nostro amore con la speranza assurda che l’uomo della nostra ossessione ci proteggerà dalle nostre paure; invece le paure e le ossessioni si approfondiscono, finché offrire amore con la speranza di essere ricambiate diventa la costante di tutta la nostra vita. E poiché la nostra strategia non funziona, riproviamo, amiamo ancora di più. Amiamo troppo.”

COMMENTO: Robin Norwood nel suo oramai classico “Donne che amano troppo” ci parla di quegli amori che hanno smesso – se mai lo sono stati – di essere rapporti che fanno crescere e che sono diventati per le donne delle pericolose trappole fatti di sofferenza e sacrifici, fino a rappresentare un reale pericolo anche per la loro vita. Quali sono i segnali che ci dicono che un amore è diventato oramai “tossico”? Robin Norwood porta alcuni esempi estremamente pratici: quando ci si è convinte che essere innamorate voglia dire necessariamente soffrire; quando parlando con le proprie amiche o amici la conversazione verte solo su di “lui” (cosa pensa, cosa sente) e sui suoi problemi e i suoi malumori che finiamo per giustificare sempre insieme al suo brutto carattere e a tutte le sue mancanze e insensibilità nei nostri confronti; quando ci si auto investe del ruolo di terapeuta del proprio “lui”; quando pur soffrendo nella relazione ci si adatta a quel rapporto pensando di non essere abbastanza attraenti per desiderare altro o che sicuramente lui cambierà i suoi modi di fare perché ci ama. Dunque, “amare troppo” non vuol dire amare molti uomini (o donne) o innamorarsi troppo spesso, o amare il proprio partner in maniera troppo intenso e profondo; piuttosto significa aver sviluppato un attaccamento ossessivo a un uomo e avere la pretesa di pensare che questo sia  amore.

Secondo Robin Norwood questi segnali sono la chiara spia che c’è qualcosa che non va il cui nome è dipendenza affettiva. Questo problema è soprattutto diffuso tra la popolazione femminile, in donne che cresciute in famiglie disturbate nelle quali hanno subito situazioni di stress e di sofferenza; si erano sentite poco amate pur desiderandolo molto e soprattutto in cui hanno appreso a !barattare” l’affetto con l’adattamento. Così nelle storie di queste donne – nota Robin Norwood – si osserva un bisogno di superiorità e, al tempo stesso, di sofferenza che riescono soddisfare assumendo un ruolo salvifico e di dedizione verso il partner. Ma perché un numero inferiore di uomini rispetto alle donne soffre di dipendenze affettive?

Sicuramente anche tra gli uomini ci sono individui che mostrano questa ossessione nei confronti della propria partner o che hanno vissuto lo stesso tipo di esperienze infantili. Tuttavia, grazie soprattutto a fattori culturali gli uomini, solitamente, riescono a proteggersi e ad “alleviare le proprie pene” ponendosi mete per lo più esterne: tendono a dedicarsi al lavoro o agli hobby; mentre le donne tendono di più a risolvere la propria “incompletezza” all’interno di relazioni.Robin Norwood nota che non è facile riconoscere la propria dipendenza affettiva, utilizzando il meccanismo della negazione rispetto a ciò che penoso da accettare rispetto a se stesse. Si tratta di un modo naturale, automatico e spontaneo per proteggersi. Purtroppo per risolvere un amore tossico fatto di dipendenza affettiva non ci sono scorciatoie per liberarsi dalla propria inclinazione ad “amare troppo”: bisogna abbandonare il partner anche se questa operazione sarà una dolorosa esperienza che costerà paure e angoscia. Quando certi schemi fanno parte di noi fin dall’infanzia e per il resto della vita li si è praticati automaticamente, non ci sono altre vie d’uscita. Robin Norwood ci ricorda che, in ogni caso, se non si decide per una soluzione così netta e si resta aggrappati al proprio amore tossico, sicuramente non ci aspetta una fatica minore: si dovranno affrontare rispetto al partner molte lotte per resistere all’infelicità, con la differenza che questi sforzi non saranno rivolti alla crescita ma solo alla sopravvivenza. Sta a voi la scelta. Forse, il momento di riconoscere tutto questo non è ancora giunto, l’importante è però sapere che verrà un giorno in cui ci si sentirà pronte a lasciarsi alle spalle una relazione tossica e quel giorno si sarà in grado di affrontare le proprie paure di stare da sole e di guardare fino in fondo le proprie esperienze passate e i sentimenti più profondi.

Robin Norwood, Donne che amano troppo. Feltrinelli

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Massimo Recalcati

Massimo Recalcati: legami d’amore

Massimo Recalcati propone una idea dell’amore che non teme la dimensione del “per sempre” contro l’amore che si consuma veloce nel bisogno di rinnovare il desiderio con un nuovo oggetto. Massimo Recalcati conduce una serrata critica al paradigma del moderno desiderio “mordi e fuggi”, proponendo una visione dell’amore nella stabilità.

“È un dato di fatto: le coppie si separano, i matrimoni falliscono, la durata dei legami si abbrevia. In particolare la nascita di un bambino coincide spesso con una crisi del legame da ambo i lati; l’uomo fatica a ritrovare nella donna, divenuta madre, la donna che lo aveva fatto innamorare; la donna identificando l’uomo come padre della sua famiglia resta sessualmente insoddisfatta e ricerca in un altro l’oggetto capace di rianimare il suo desiderio erotico. La pratica psicoanalitica può offrire infiniti ritratti di questa tendenza. Ma il suo fondamento si trova in quella menzogna che nel nostro tempo sancisce l’equivalenza tra il Nuovo e la felicità. Questa menzogna ci costringe a vivere alla ricerca affannosa del Nuovo con il presupposto (falso) che nel Nuovo si troverebbe la piena realizzazione di se stessi. La ridicolizzazione del pathos amoroso verso l’assoluto, della promessa degli amanti che sia “per sempre”, non scaturisce solo dal disincanto cinico, ma anche e soprattutto dall’imperativo sociale del Nuovo e della sua miscela esplosiva con una versione riduttivamente macchinica dell’uomo (…). Il punto è che nel nostro tempo la difficoltà a unire il godimento sessuale all’amore, che, come abbiamo visto, per Freud definiva la nevrosi più comune della vita amorosa, è diventata l’emblema di una verità che pare inconfutabile: il desiderio è destinato a morire se non rinnova costantemente il suo oggetto, se non cambia partner, se si richiude per troppo tempo nella camera angusta dello stesso legame. (…) L’esigenza che sia “per sempre”, che accompagna ogni vero amore, resiste alla tendenza nichilistica del nostro tempo. Essa afferma in modo inattuale che il legame d’amore non è affatto destinato a dissolversi nel tempo, ma che in esso fa la sua apparizione la sospensione del tempo come figura irruente dell’eterno. L’amore che dura resiste alla spinta corrosiva del godimento fine a se stesso e rifiuta l’illusione che la felicità sia nel Nuovo, in ciò che ancora non si possiede.”

COMMENTO: Massimo Recalcati osserva come la società di oggi tenda a demolire cinicamente l’amore. E davanti a questo attacco le opzioni che restano sembrerebbero essere sole due. Da una parte c’è l’accettazione dell’inevitabile disgregarsi nel tempo del legame amoroso, per cui appare normale il ciclico cambiamento di partner per ridare vigore alle proprie passioni. Dall’altra, per chi non accetta la prima soluzione, – dice Massimo Recalcati – c’è la rassegnazione a trascorrere un’esistenza senza desiderio, all’interno di un quotidiano ménage familiare in cui in cambio della sicurezza affettiva ci si trova a vivere l’essiccamento della passione. Eppure, sostiene Massimo Recalcati le cose non debbono andare necessariamente così, esiste una terza via. Questa alternativa parte dal riconoscere che la nostra società, per ciò che attiene al discorso amoroso e non solo, si nutre di due menzogne fondamentali. La prima riguarda l’idea di un individuo indipendente, libero e autonomo rispetto a tutto; è la menzogna narcisistica che è alla base del culto individualistico di sé, per cui “io prima di tutto”, anche prima dell’oggetto amato.

La seconda menzogna riguarda l’esaltazione di ciò che è Nuovo, per cui solo la continua sua ricerca orienta e nutre desiderio. Ciò che gratifica e soddisfa è solo ciò che non si possiede ancora: nuovi oggetti di consumo, nuovi partner perché solo così si alimentano le nuove sensazione. Come osserva Massimo Recalcati in questa maniera si crea una versione nichilistica del desiderio, condannato per esistere a rincorrere ciò che, di per sé, è destinato a mancare sempre.

Le persone così facendo restano prigioniere di una scriteriata corsa del desiderio da un oggetto all’altro, in quella che sembra essere un’allucinazione collettiva. Una corsa che ci dovrebbe portare incessantemente verso nuovi oggetti, incontri, amori. In questo modo si finisce per non valorizzare mai ciò che si ha perché il “bene” è sempre il nuovo da raggiungere e che non si possiede. La noia, sottile e spesso inavvertito male del nostro tempo, logora i rapporti in essere spingendoci verso quello che non si ha. Quale è allora questa terza via, in grado di smascherare queste menzogne e di portarci fuori da questo desiderio impazzito. Massimo Recalcati riprende una delle tesi più profonde di Sant’Agostino, per cui il vero amore non si fonda sulla cupidigia e sul avido consumo del partner. L’amore mostra la sua vera natura nel suo essere un dono di noi stessi all’altro, attraverso cui non si perde o ci si indebolisce, bensì accresciamo noi stessi. Come diceva la Giulietta di Shakespeare rivolta al suo Romeo: “Più io ti do, più io ho”.

Massimo Recalcati, Non è più come prima. Raffaello Cortina Editore

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Erich Fromm

Erich Fromm e l’arte d’amare

Cosa vuol dire amare? Erich Fromm psicoanalista e con la sua profonda analisi del fenomeno amoroso, ci fa comprendere con le sue argomentazioni che la capacità di amare non è innata negli individui ma la sua maturazione richiede prima di tutto una crescita personale

“È l’amore un’arte? Allora richiede sforzo e saggezza. Oppure l’amore è una piacevole sensazione, qualcosa in cui imbattersi è questione di fortuna? Questo volumetto contempla la prima ipotesi, mentre è fuor di dubbio che oggi si crede alla seconda. La gente non pensa che l’amore non conti. Anzi, ne ha bisogno; corre a vedere serie interminabili di film d’amore, felice o infelice, ascolta canzoni d’amore; eppure nessuno crede che ci sia qualcosa da imparare in materia d’amore. Questo atteggiamento si basa su parecchie premesse: la maggior parte della gente ritiene che amore significhi “essere amati”, anziché amare; di conseguenza, per loro il problema è come farsi amare, come rendersi amabili, e per raggiungere questo scopo seguono parecchie strade. (…) Il primo passo è di convincersi che l’amore è un’arte così come la vita è un’arte: se vogliamo sapere come amare dobbiamo procedere allo stesso modo come se volessimo imparare qualsiasi altra arte, come la musica, la pittura, oppure la medicina o l’ingegneria.”

COMMENTO: Secondo Erich Fromm la costante ricerca d’amore da parte dell’individuo è un bisogno che nasce dalla consapevolezza della propria solitudine esistenziale, dalla percezione della nostra separatezza da tutti gli altri esseri umani. Da qui nasce la motivazione a ricercare quell’unione con l’altro di cui abbiamo bisogno per annullare quel vissuto congenito della distanza tra noi e il mondo. Tuttavia, in virtù della natura di tale bisogno, l’interpretazione che ne viene data ci porta ad una concezione e ad una pratica dell’amore in termini egoistici ed egocentrici. Così accade che le persone, per lo più, pensano inconsapevolmente all’amore declinandolo come personale bisogno di essere amato? Infatti, quando cerchiamo l’amore siamo portati a compensare il nostro bisogno di essere amati e non di amare qualcuno. Di conseguenza una siffatta interpretazione egoistica dell’amore, secondo Erich Fromm, ci porta a contaminare l’amore stesso e il nostro porci in rapporto con l’altra persona con gli aspetti della possessività e del controllo. L’altro è, dunque, percepito in termini di possesso e solo in relazione a ciò di cui noi abbiamo bisogno.

Secondo Erich Fromm esistono fondamentalmente due possibilità di vivere l’amore e il rapporto con l’altro. Il primo modo è rappresentato dell’amore simbiotico: nonostante la coppia sia formata da due persone con due corpi separati e due diverse individualità, la relazione che viene creata è di profonda interdipendenza. Nessuno dei due partner si sente mai solo dal momento che nessuno dei due è in grado di esserlo, dal momento che non sono dotati di una propria autonomia. Viene così a crearsi secondo Erich Fromm un rapporto di dannosa dipendenza. Il contrario della simbiosi sta nell’amore maturo che sa costruire una relazione in cui nonostante l’unione i due partner mantengono la propria individualità. Questo è possibile solo se entrambi i membri della coppia hanno raggiunto una vera indipendenza individuale, ossia quando i due partner sono capaci di camminare nel mondo da soli senza l’aiuto di altri e senza avere il bisogno di dominarli.

Erich Fromm, L’arte di amare. Mondadori

Leggi altre riflessioni di Erich Fromm: I diversi tipi d’amore

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Perdono e tradimento

Il perdono, dopo un tradimento, è una difficile via ma al tempo stesso è, forse, il gesto più alto di un amore. Ma anche il non perdonare è una decisione di uguale valore che evita di rifugiarsi nel perdono per paura della solitudine. Massimo Recalcati, “Non è più come prima”, Raffaello Cortina Editore

Il tradimento della promessa da parte dell’Altro distrugge il rapporto di fiducia che sostiene l’amore. A chi è stato tradito e non vuole venire meno alla promessa non restano che due opzioni egualmente degne: perdonare l’impossibile da perdonare o sperimentare l’impossibilità di perdonare. Restare nel legame grazie al perdono dell’imperdonabile, oppure constatare l’impossibilità di perdonare e vivere la fine del legame? Né il perdonare, né l’impossibilità del perdon0 possono però essere il frutto di un calcolo della coscienza. Questo vuol dire che nel suo significato più radicale sia il gesto del perdono sia quello dell’impossibilità di perdonare non dipendono mai dai comportamenti dell’altro, ma da un raccoglimento e da una decisione del soggetto. Il gesto del perdono esorbita da ogni calcolo sull’oggetto. Non può dipendere dalla preoccupazione di non disperdere al vento una storia fatta di memoria e di desideri, né può dipendere dall’atto del pentimento di chi ha tradito. Diciamolo chiaramente: non sarà mai quello che farà l’Altro a rendere possibile il nostro perdono. Allo stesso modo si potrà dire che l’impossibilità del perdono non dipende tanto da un giudizio negativo su colui che ha tradito, ma dal rapporto di chi è stato tradito con la sua possibilità (impossibile) di tornare ad amare. Quando il gesto del perdono diventa davvero possibile è perché vi è stato un passaggio interno alla vita più intima del soggetto che perdona. Allora ogni simmetria immaginaria con l’offesa subita si rompe.

Continua a leggere su: Massimo Recalcati, “Non è più come prima”, Raffaello Cortina Editore

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Libertà dell’amato : paradosso dell’amore

La libertà dell’amato è così inconciliabile con l’amore? Perché l’amore richiede sempre il sacrificio della libertà dell’amato? Ciò che più profondamente desidera chi ama è appunto la libertà dell’amato che si desidera sacrificata liberamente… Massimo Recalcati, Niente è più come prima, Raffaello Cortina Editore

Ogni amante porta con sé un progetto di claustrazione dell’amato. Ma questo progetto ha una peculiarità rispetto a tutti gli altri progetti di semplice soppressione possessiva della libertà. Quando c’è l’amore non si ama l’amato come un prigioniero, ma per la forza e la libertà che la sua immagine e la sua presenza suscitano in noi. Quello che amiamo davvero dell’Altro è sempre la sua indipendenza, la sua alterità, il suo essere eteros. In questo senso la libertà dell’amato sembra non conoscere padroni. Eppure l’amante, nonostante tutto il suo amore per la libertà di chi ama, vorrebbe esserne anche il custode, l’unico detentore di quella libertà. Non dobbiamo scandalizzarci: il desiderio amoroso è trapassato da questa ambiguità interna che Sartre ha isolato, non a caso, come il paradosso più profondo dell’amore. Esiste una spinta a possedere l’oggetto amato e questa spinta appartiene all’amore, ma l’amante vorrebbe poter possedere non semplicemente qualcosa dell’Altro, ma la sua stessa libertà. E a questo punto che si apre il paradosso: come è possibile possedere l’Altro come una libertà assoluta e, insieme, prigioniera? Come può esistere una libertà prigioniera? L’amante vorrebbe che la fedeltà assoluta dell’amato non fosse l’effetto di una prigionia; vorrebbe che questa fedeltà fosse il risultato di una scelta libera che sapesse rinnovare costantemente la promessa. Il sogno di ogni amante è custodito in questo desiderio paradossale: possedere l’Altro, ma solo in quanto libero. Ma come si può impossessarsi dell’Altro senza porre fine alla sua libertà? Come può esistere qualcosa come una “libertà prigioniera”?

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Concentrazione, come fare per sostenerla

La concentrazione è un requisito fondamentale per apprendere l’arte di vivere con consapevolezza e l’arte di amare. Non esistono regole che possano insegnarci a vivere bene se non applichiamo il semplice principio della concentrazione. Il primo prerequisito per lavorare sulla propria concentrazione è quello della disciplina… Erich Fromm, L’arte di amare, Mondadori

La concentrazione è assai più difficile a praticarsi nella nostra civiltà in cui tutto sembra agire contro di essa. Il passo più importante per imparare a concentrarsi è imparare a star soli senza leggere, ascoltare la radio, fumare o bere. Infatti, esser capaci di concentrarsi significa essere capaci di stare soli con se stessi, e questa capacità è una condizione precisa per l’arte d’amare. Se io sono attaccato ad un’altra persona perché non sono capace di reggermi in piedi, lui o lei può essere un “salvagente”, ma il rapporto non è un rapporto d’amore. Paradossalmente, la capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità d’amare. Chiunque tenti di stare solo con se stesso scoprirà quanto difficile sia. Comincerà a sentirsi irrequieto, nervoso, a provare un’ansia incontenibile. Si accorgerà di non poter andare avanti in questa pratica, convinto di non valer niente, di essere sciocco, che ci vuole troppo tempo, e così via. Si accorgerà pure che ogni sorta di pensieri gli verrà in mente, cercando d’impadronirsi di lui. Si scoprirà a fare piani per il resto della giornata, oppure a riflettere su certe difficoltà incontrate nel lavoro intrapreso, oppure a domandarsi dove andrà a trascorrere la serata, e a pensare qualsiasi cosa che gli occuperà la mente, piuttosto che permetterle di svuotarsi. Sarebbe utile praticare pochi semplici esercizi, come ad esempio, sedere in una posizione di relax (né molle, né rigida), chiudere gli occhi e cercare di vedere uno schermo bianco davanti a sé respingendone figure e pensieri che possano oscurarlo; quindi cercare di seguire il proprio respiro; non pensarci né sforzarsi di farlo, ma seguirlo, e così facendo, sentirlo; inoltre, cercare di aver un senso dell’“io”; io, me stesso, come il centro dei miei poteri, come il creatore del mio mondo. Si dovrebbe, perlomeno, fare un simile esercizio di concentrazione ogni mattina per venti minuti (se possibile di più) e ogni sera, prima di coricarsi.(…)

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Erich Fromm : i diversi tipi d’amore

Fromm psicoanalista tedesco descrive i diversi tipi d’amore e cosa li contraddistingue. “L’arte di amare” è forse il libro di Erich From più conosciuto e quello che più profondamente muove una attenta critica alla società capitalistica. Solo capendo che la capacità di amare – sostiene Erich Fromm – non è legata a un oggetto ma all’apprendimento di un’arte raffinata, l’uomo potrà garantirsi una crescita sana in una società sana. Per Fromm la nostra società è composta da individui per lo più infelici che credono di saper amare e incapaci di farlo. Erich Fromm, L’arte d’amare, Mondadori

L’amore non è soltanto una relazione con una particolare persona: è un’attitudine, un orientamento di carattere che determina i rapporti di una persona col mondo, non verso un “oggetto” d’amore. (…) Poiché non si vede che l’amore è un’attività, un potere dell’anima, si ritiene che basti trovare l’oggetto necessario e che, dopo ciò, tutto vada da sé. (…) Dicendo che l’amore è un orientamento che si riferisce a tutto e non a uno, non voglio dire che non ci siano differenze tra le varie forme d’amore, legate all’oggetto amato. 

Amore fraterno. La forma più fondamentale d’amore, è l’amore fraterno. Con questo intendo senso di responsabilità, premure, rispetto, comprensione per il prossimo; esso è caratterizzato dall’assenza di esclusività. Se io ho sviluppato la capacità d’amare non posso fare a meno di voler bene ai miei fratelli. Nell’amore fraterno c’è il desiderio di fusione con tutti gli uomini, c’è il bisogno di solidarietà umana. (…)

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Separazione : destino dell’amore?

La separazione è il destino di ogni amore anche se promesso come eterno. Perché l’amore è quanto di più fragile ci possa essere nell’esperienza umana… Massimo Recalcati, Mantieni il bacio, Feltrinelli

Ogni promessa, compresa la promessa d’amore, contiene un’ambiguità; ogni giuramento, come ricorda Derrida, porta con sé l’ombra spessa dello spergiuro. Non per malafede, ma per l’inesorabilità delle cose. Colui che oggi promette che l’amore che lo lega all’Altro sarà per sempre, anche solo fra qualche mese non sarà più lo stesso di quando ha formulato il suo giuramento. Dunque il patto tra gli amanti – al di là delle stelle e dei contratti matrimoniali – esige che la fedeltà al “per sempre”, alla promessa, sia rinnovata giorno dopo giorno. Sicché ogni amore che vuole essere per sempre può conoscere sempre, in ogni istante, la sua fine. Ogni amore, pur volendo essere eterno, cammina sempre sul filo teso e sottile dell’apparizione e della sparizione, della vita e della morte. Perché allora, si chiede giustamente Barthes, durare sarebbe meglio di bruciare? Non sarebbe meglio bruciare senza rincorrere inutilmente l’illusione di durare? Ma non è questa forse la lusinga del nostro tempo? Il desiderio brucia o dura senza vita. Non c’è possibilità che l’amore duri bruciando. Durare e bruciare si escludono: se si brucia non si dura e se si dura non si brucia. Ogni rapporto d’amore vive sempre in bilico. Non è affatto, come ritiene il senso comune, fare ed essere Uno con l’Altro; l’amore non è mai un “tutto”. Io amo tutto dell’Altro, ma l’amore è sempre un non-tutto, esclude la coincidenza, la fusione, la compenetrazione.

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