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La tristezza non patologica

“Tristezza” è uno stato d’animo spesso trascurato e considerato solo nella sua accezione negativa. Eugenio Borgna con la sua solita profondità esistenziale ne disvela aspetti inattesi… Eugenio Borgna, “Le parole che ci salvano”, Einaudi

La tristezza è un’esperienza di vita che conosce fino in fondo solo chi la viva negli abissi della propria anima, e che ci rende fragili e indifesi: immergendoci nelle speranze recise, nelle nostre e in quelle degli altri, e facendoci crudelmente soffrire. Quando essa, invisibile agli occhi che non siano bagnati di lacrime, vive nella nostra anima, ogni nostra sicurezza viene meno, e inutilmente andiamo alla ricerca degli abituali punti di riferimento, che si frantumano. Come ogni forma di vita incrinata dalla fragilità, la tristezza è facilmente ferita dalla solitudine e dall’abbandono, dalla noncuranza e dall’indifferenza, e le ferite che ne sgorgano, non sempre si cicatrizzano: lasciando dietro di sé scie inestinguibili di un dolore che si trasforma talora in sventura, quella che è stata mirabilmente descritta da Simone Weil. Non sto parlando ora della tristezza-malattia, della tristezza patologica, della tristezza che diviene depressione, ma della tristezza che fa parte della vita, della tristezza leopardiana, della tristezza creatrice, così fragile e così delicata, così vulnerabile e così friabile, così esposta alle ferite che nascono dall’interno, certo, ma anche, e soprattutto, dall’esterno della vita. (…) Certo, tristezza e malinconia si sovrappongono, e in fondo si identificano, nella loro parabola semantica; e vorrei servirmi ora di tristezza ora di malinconia: l’una e l’altra indicando una condizione umana incrinata da una stremata fragilità, da una debolezza dell’anima che, come ogni emozione fragile, scorre palpabile, o impalpabile, lungo il corso di una vita. (La depressione ha invece una dimensione semantica francamente clinica, e psicopatologica, indicando la tristezza-malattia, e non la tristezza – stato d’animo).

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Depressione uno sguardo oltre la malattia

La depressione non è solo una malattia e chi è depresso non è solo un malato. Eugenio Borgna ci porta al di là della semplice diagnosi, verso una comprensione esistenziale del suo vissuto.
Eugenio Borgna e Aldo Bonomi, Elogio della depressione. Einaudi

Nell’area ambigua e indistinta delle depressioni non possono non essere isolate, in particolare, lo si accennava in apertura, tre diverse forme depressive che sono la depressione esistenziale, la depressione motivata, che nasce sulla scia di avvenimenti dolorosi e conflittuali, e la depressione psicotica, la depressione-malattia, che ha fondazioni biologiche alle quali non sono estranee, del resto, concause psicologiche ed esistenziali. Ogni volta che si abbia a parlare di depressione in psichiatria, è necessario indicare a quale delle tre aree ci si intende riferire. Un discorso generalizzante sulle depressioni non ha senso, ed è fonte di fraintendimenti e di sbandamenti senza fine: in ordine alle prospettive terapeutiche in particolare che non sono mai, e non possono essere, univoche e omogenee. (…)

La depressione esistenziale.
Ci sono stagioni, e ci sono momenti, in cui (al di fuori di ogni avvertibile motivazione) la tristezza, che è la parola tematicamente più vicina a quella di depressione, galleggia improvvisamente (nasce, o rinasce, fulminea) nella nostra anima, e dilaga nella nostra interiorità.
Questa è la depressione, che chiamiamo esistenziale, nel corso della quale ci sentiamo svuotati di interesse e di iniziativa, e soprattutto non riusciamo piú a ri-trovare un senso nella vita. Si fa fatica a pensare: risucchiati da uno stato d’animo che si nutre di tristezza e di smarrimento, e che ci oscura l’orizzonte, inaridendo gioie e speranze. Il tempo soggettivo, il tempo vissuto, che non ha nulla a che fare con il tempo dell’orologio, con il tempo misurabile, non fluisce piú spontaneamente e limpidamente: come avviene quando la tristezza non è nella nostra anima; ma tende a rallentare e a disgiungersi nelle tre dimensioni (agostiniane) che lo compongono: la dimensione del presente, quella del passato e quella del futuro. Quest’ultima, in particolare, tende ad arrestarsi (e con essa la speranza che vive solo del futuro e nel futuro) e viene, così, risucchiata dal passato che cresce nella nostra immaginazione e nei nostri pensieri.

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