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Il sogno secondo Jung

Il sogno è per Jung uno dei cardini del processo analitico. Jolande Jacobi, con chiarezza e estrema sintesi, ci spiega il pensiero dell’analista svizzero in merito al materiale onirico. Jolande Jacobi, La psicologia di Carl Gustav Jung, Bollati Boringhieri

Accanto alla discussione e all’elaborazione del materiale mediante il contesto e le associazioni, fornite dall’analista oltreché dal paziente, occupa una posizione di primo piano nel processo dialettico del metodo analitico l’interpretazione dei sogni, delle visioni e di ogni sorta di immagini psichiche. Ma sull’interpretazione definitiva da darsi al materiale apportato dal paziente la decisione spetta al paziente stesso, e non ad altri. La sua individualità è qui la sola che conti. Bisogna che il suo consenso sia indubbio, vissuto e sentito, e non soltanto razionale, perché l’interpretazione possa considerarsi accettabile. “Chi vuole evitare una suggestione cosciente, deve perciò considerare errata l’interpretazione di un sogno se la sua formula non ottiene il consenso del paziente.” Altrimenti un sogno successivo o una successiva visione riportano inevitabilmente in discussione il medesimo problema. E lo riportano finché l’individuo, in conseguenza di ciò che ha “vissuto”, si sia diversamente orientato. L’obiezione, sovente ripetuta, che con l’interpretazione l’analista possa suggestionare il paziente, può esser mossa solo da chi non conosce la natura dell’inconscio; intatti “la possibilità e il pericolo di una posizione pregiudiziale vengono molto sopravvalutati. L’esperienza ci insegna che l’obiettivamente psichico è sommamente indipendente. Se così non fosse, non potrebbe nemmeno esercitare la sua caratteristica funzione, la compensazione della coscienza. La coscienza si lascia ammaestrare come un pappagallo, ma l’inconscio no”. Se il medico e il paziente sbagliano nella loro interpretazione, verranno poi inesorabilmente corretti dall’inconscio, che continua a funzionare autonomo e a sostenere il processo. Dice Jung: “Il sogno non si può spiegare con una psicologia fondata sulla coscienza. È una funzione che non dipende da volontà o desideri, da intenzioni o finalità coscienti dell’Io. È un fatto non intenzionale, come tutto ciò che avviene in natura… Probabilmente noi sogniamo sempre, ma quando siamo svegli la coscienza fa tanto chiasso che non ce ne accorgiamo più. Se riuscissimo a fare una registrazione senza lacune, potremmo vedere che l’insieme descrive una linea determinata.”

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Sogni : il linguaggio dell’anima

Sogni e le loro immagini sono, per Hillman, la modalità con cui si manifesta la nostra anima. Le immagini dei sogni più che interpretate andrebbero osservate. I sogni sono per Hillman il modello della realtà psichica, pensata come un paesaggio interiore popolato di immagini. La psiche presenta le proprio dimensioni immaginali (specie nei sogni) operando liberamente, senza bisogno di parole. I sogni sono, dunque, la materia principale per conoscere la psiche umana.
James Hillman, I fuochi blu. Adelphi

La psiche non è inconscia. Noi lo siamo: noi pazienti, noi analisti. La psiche produce di continuo dichiarazioni intelligibili: produce sogni e sintomi, fantasie e umori; ha intenzionalità e progettualità. Ma il sistema della terapia ha proiettato «l’inconscio» sulla psiche del  paziente, il che comporta, per la  teoria degli opposti, che l’analista debba essere conscio. E sia il paziente sia l’analista tendono a credere a questo sistema. Ma la cosa che conta è che la coscienza fluttua; è un fluido psichico, come avrebbe detto Mesmer, che avvolge e compenetra tutta la seduta di analisi senza essere prerogativa di uno dei due partecipanti a esclusione dell’altro. A volte il paziente ha un’intuizione, altre volte invece è l’analista a essere conscio e lo mostra con la sua reticenza, oppure la coscienza è tutta nell’immagine.
Per esempio, in un sogno compare un enorme serpente nero: si può passare un’ora in sua compagnia parlando della madre divorante, dell’angoscia, della sessualità rimossa, della mente naturale, facendo tutte le mosse interpretative che di solito si fanno. Ma quello che viene tralasciato, ed è invece di importanza vitale, è l’attività del serpente, l’enorme serpente nero che striscia nella nostra vita…e nel momento in cui lo si definisce, lo si interpreta, lo si è perduto, lo abbiamo bloccato, e allora il paziente se ne va dalla seduta con un concetto: la mia sessualità rimossa, le mie passioni oscure, mia madre, quel che si vuole, ma il serpente è perduto. Il compito dell’analisi è di trattenere il serpente, quel serpente lì, e i modi per farlo sono vari … ma come viene interpretato, il serpente nero perde la sua necessità, e noi non abbiamo più bisogno dei nostri sogni perché sono stati interpretati. Invece secondo me ne abbiamo bisogno sempre, abbiamo bisogno proprio di quell’immagine che ci è venuta durante la notte.

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