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La fine di un amore

La fine di un amore è un evento spesso doloroso quando si percepisce come uno strappo imposto dall’altro. Esso mostra tutta la fragilità dell’essere umano che, in questa situazione, non riesce a percepire altro che il proprio smarrimento e la perdita di significato per ogni cosa della vita…

“La morte di un amore può accadere per estinzione o strappo. L’estinzione sarebbe la fine naturale (ma esiste?) dell’amore tra i Due: qualcosa si è esaurito, non funziona più, si è spento. L’amore ha finito di bruciare, non può più durare. Lo strappo implica invece il taglio della separazione che ricade su chi dei Due ama ancora, su chi tra i Due avrebbe voluto continuare nell’amore, su chi ancora brucia per amore. In questo caso la fine di un amore non è solo la morte del proprio Io che perde un suo sostegno fondamentale, che si trova spogliato di senso, del senso che l’amore gli assicurava, ma la morte del mondo intero, di quel mondo dei Due che quell’amore aveva fatto sorgere miracolosamente per una seconda volta. Quando finisce un amore non finisce mai, dunque, solo un amore, ma finisce anche e soprattutto il mondo che i Due hanno generato. Nella morte di un amore muore l’intero mondo dei Due, dei loro oggetti, dei loro rituali, della loro memoria, dei loro viaggi, dei loro ristoranti, dei loro libri, delle loro case, dell’unione dei loro corpi, della loro stessa vita perché l’esistenza dell’amore era ciò che dava senso a quel mondo che ora non c’è più.”

COMMENTO – Il rischio che un amore finisca è sempre presente nella vita degli amanti. La fine di un amore è una presenza che accompagna una relazione fin dal giorno del suo inizio dal momento che anche quando un amore somiglia a un destino, non c’è mai la certezza del “per sempre”. Come ammonisce Massimo Recalcati: “l’imprevisto pieno di gioia e di estasi dell’incontro amoroso può ribaltarsi nell’imprevisto cupo e drammatico del distacco e della fine.” In questa situazione una relazione amorosa da condizione in grado di generare benessere e gioia, rischia di trasformarsi in una tortura. La fine di un amore fa emergere il fatto che ciò che appariva come un rimedio rispetto alle difficoltà dell’esistenza, in realtà finisce per generare dolore; ciò che doveva dare senso alla vita glielo sottrae; ciò che doveva completarci facendoci diventare un tutt’uno con l’altro finisce invece per dividere e spezzare quell’unità, oltre che mandare in frantumi noi stessi. Così l’amore non unisce come vorrebbe il mito platonico ma separa dal momento che esso evidenzia la nostra vulnerabilità, che si costituisce intorno al fatto che l’intera esperienza umana si struttura su una mancanza. Come nota ancora Recalcati: “è la verità che emerge in modi anche traumatici nel tempo della fine di un amore, nel tempo della separazione degli amanti. È questo il tempo in cui quello che prima era in lei o in lui desiderabile e irresistibile diviene insopportabile o indifferente.” La fine di un amore così trasforma anche l’altro che se prima era idealizzato e desiderato, adesso invece ci appare lontano.

Cosa vuol dire separarsi? Per comprendere bene l’aspetto “drammatico” che connota la fine di un amore dobbiamo considerare che essa non contempla solo un distacco o un allontanamento. Questi aspetti della fine di un amore sono solo la parte esteriore del processo: quando un rapporto si rompe non è solo un mettere una distanza tra noi e l’atro, ma come suggerisce Recalcati riprendendo un’espressione lacaniana, abbiamo a che fare con una “separtizione”. Questo concetto “significa che, quando ci separiamo, ci separiamo innanzitutto da una parte di noi stessi; quella parte che colui che abbiamo perduto sosteneva. Se perdo chi amo perdo tutto, mi sento perso io stesso. È come staccare la mano da un metallo ghiacciato; qualcosa di noi, un frammento della nostra pelle, resta sempre attaccato all’oggetto perduto, a chi non c’è più. Separarsi è, dunque, separtirsi, cioè perdere non solo l’Altro che non c’è più, ma anche, insieme all’Altro, un pezzo di noi stessi.” Ecco spiegato il perché la fine di un amore, ossia ogni separazione sia così dolorosa: essa strappa una parte di noi che l’Altro andando via porta con sé. Ci sentiamo allora divisi, spaccati in due, lacerati con il conseguente vissuto depressivo che accompagna ogni separazione. Un lutto che viene sperimentato perché non perdiamo solo l’altro ma anche una parte di noi. La conseguenza di ciò è che il mondo perde la sua ragione d’essere, il suo senso; non solo il mondo ma anche chi vive la fine di un amore si sente deprivato e impoverito di qualcosa. Così allora come nota Recalcati si verifica il fenomeno della regressione: “è la regressione della vita alla condizione del grido che – come quello di Munch – non trova più nessuno ad accoglierne l’invocazione, non trova più nessuno capace di rispondergli. È una sensazione che spesso accompagna chi vive un’esperienza di abbandono: la vita appare in tutta la sua inermità originaria, povera cosa, insignificante, di troppo, persa nel mondo.”

Massimo Recalcati, Mantieni il bacio, Feltrinelli

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Separazione : destino dell’amore?

La separazione è il destino di ogni amore anche se promesso come eterno. Perché l’amore è quanto di più fragile ci possa essere nell’esperienza umana… Massimo Recalcati, Mantieni il bacio, Feltrinelli

Ogni promessa, compresa la promessa d’amore, contiene un’ambiguità; ogni giuramento, come ricorda Derrida, porta con sé l’ombra spessa dello spergiuro. Non per malafede, ma per l’inesorabilità delle cose. Colui che oggi promette che l’amore che lo lega all’Altro sarà per sempre, anche solo fra qualche mese non sarà più lo stesso di quando ha formulato il suo giuramento. Dunque il patto tra gli amanti – al di là delle stelle e dei contratti matrimoniali – esige che la fedeltà al “per sempre”, alla promessa, sia rinnovata giorno dopo giorno. Sicché ogni amore che vuole essere per sempre può conoscere sempre, in ogni istante, la sua fine. Ogni amore, pur volendo essere eterno, cammina sempre sul filo teso e sottile dell’apparizione e della sparizione, della vita e della morte. Perché allora, si chiede giustamente Barthes, durare sarebbe meglio di bruciare? Non sarebbe meglio bruciare senza rincorrere inutilmente l’illusione di durare? Ma non è questa forse la lusinga del nostro tempo? Il desiderio brucia o dura senza vita. Non c’è possibilità che l’amore duri bruciando. Durare e bruciare si escludono: se si brucia non si dura e se si dura non si brucia. Ogni rapporto d’amore vive sempre in bilico. Non è affatto, come ritiene il senso comune, fare ed essere Uno con l’Altro; l’amore non è mai un “tutto”. Io amo tutto dell’Altro, ma l’amore è sempre un non-tutto, esclude la coincidenza, la fusione, la compenetrazione.

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Divorzio : una difficile transizione

Il divorzio non segna solo la fine di un rapporto di coppia, ma è una fase che richiede alla coppia stessa, a tutti gli attori intorno ad essa, lo sforzo portare a compimento questa fase salvaguardando l’idea del legame.
Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli, Il famigliare. Legami, simboli e transizioni. Raffaello Cortina Editore

Come si è detto, la natura incerta e fragile della coppia sempre più autocentrata e sempre meno sostenuta dalla ·dimensione sociale del patto che la lega, rende oggi il divorzio una prova possibile, un evento che può accadere nella storia coniugale.
Dire che “può accadere” e rilevare la frequenza con cui di fatto accade, non significa, tuttavia, ritenere che la transizione del divorzio debba essere considerata alla stregua di qualsiasi transizione del ciclo di vita famigliare. Per quanto la visione del trauma del divorzio condivisa da parecchi ricercatori sia quella di una crisi prevedibile e normale nel ciclo della vita famigliare (…), occorre comprendere tale visione come una difesa dall’angoscia. I ricercatori sembrano infatti tesi a “normalizzare” ciò che è fonte di dolore e di pericolo per la persona e per la relazione tra le generazioni. In realtà il divorzio rappresenta l’esito possibile di una crisi del patto coniugale che, sferrando un attacco traumatico al legame, sfocia nella violazione e nella rottura del patto stesso, segnandone la fine-fallimento. Ogni transizione, soprattutto se innescata da una perdita, porta con sé disorganizzazione e sofferenza, coinvolgendo tutta la rete di relazioni in cui un individuo è inserito. Separazione e divorzio, in particolare, sono la conseguenza di una frattura che si inserisce entro un contesto di perdita che non di rado degenera in odio e discordia e che mette profondamente alla prova la famiglia lasciando tracce profonde nella vita dei suoi membri.
Particolarmente faticoso, di conseguenza, sarà il processo di coping che se da una parte apre alla possibilità di un superamento della crisi e può, in taluni casi, essere un’occasione maturativa e trasformativa della persona e delle relazioni, dall’atra parte porta con sé il rischio della ripetizione coatta e della risposta regressiva.  (…) La crisi provocata dalla separazione, e che la provoca, va ben al di là del momento puntuale in cui si verifica la frattura, occorre pertanto parlare ancora una volta di processo di transizione. Negli ultimi due decenni si è fatta via via strada una concezione della separazione come processo a più fasi (…) all’interno delle quali è possibile distinguere sentimenti dominanti, bisogni, obiettivi, compiti di sviluppo specifici e interventi differenziati.

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