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Età adulta e conoscenza di sé

L’ età adulta è il tema che tocca Carl Gustav Jung rispondendo ad una domanda nel corso di una intervista sui valori della vita. La sua risposta è un invito, semplice e chiaro, a vivere una età adulta in maniera piena e significativa, cercando fino in fondo di essere noi stessi, e diventando consapevoli delle nostre più intime tendenze .

“Che cosa consiglia, dunque, (…), una volta oltrepassata la soglia fatale dei quarant’anni? Jung : Una conoscenza di sé sempre più approfondita è, temo, indispensabile per una vera continuazione della vita nella vecchiaia, per quanto impopolare possa essere la conoscenza di sé. Non c’è niente di più ridicolo o di stolto di un vecchio che finge di essere giovane: si perde anche la dignità, che è l’unica prerogativa della vecchiaia. Lo sguardo deve volgersi dall’esterno verso l’interno, dentro di noi. La scoperta di noi stessi ci mette a disposizione tutto ciò che siamo, ciò che era nostro compito diventare, le basi e lo scopo della nostra vita. La totalità del nostro essere è certamente un’entità irrazionale, ma è questo appunto ciò che siamo, ciò che è destinato a esistere come esperienza unica e irripetibile. Perciò, qualunque cosa scopriamo nel temperamento che ci è stato dato, è un fattore vitale a cui dobbiamo tutta la nostra considerazione. Se dovessimo scoprire in noi, per esempio, un’inestirpabile tendenza a credere in Dio o nell’immortalità, non lasciamoci turbare dalle chiacchiere dei cosiddetti liberi pensatori. E se scopriamo invece una tendenza, altrettanto radicata, a rifiutare ogni idea religiosa, ebbene non esitiamo: rifiutiamola e stiamo a vedere quali effetti ha questo sul nostro benessere generale e sul nostro stato di nutrizione mentale o spirituale. Ma attenti agli infantilismi: chiamare l’ignoto ultimo «Dio» o chiamarlo «Materia» è altrettanto futile, dal momento che non conosciamo né l’uno né l’altra, benché indubbiamente abbiamo esperienza di entrambi. Ma, al di là di questo, noi non sappiamo nulla, e non possiamo crearli noi, né l’uno né l’altra. (…)”

COMMENTO: La vita dell’essere umano si è oggi profondamente allungata e, soprattutto, le migliori condizioni di salute rendono l’ età adulta e la vecchiaia molto diverse da quelle di altre generazioni. Ci scordiamo, tuttavia, che la seconda metà della nostra vita ha una struttura del tutto diversa dalla prima metà. Questo aspetto rimane spesso fuori dalla nostra consapevolezza. Facciamo fatica ad avere presente che il flusso della vita trascina la persona nella sua giovinezza in avanti fino a certi livelli di sicurezza, di realizzazione di sé e di successo. Mentre si è in questa corrente, se la vita non ci riserva troppe durezze, possiamo anche ignorare le esperienze negative. Infatti al giovane la vita appare ancora tutta davanti, si nutre una certa speranza e c’è ancora spazio per pensare che le cose desiderate potranno essere raggiunte. Ma quando si entra nell’ età adulta e poi nella maturità le cose cambiano: si comincia a guardare indietro, al passato che ci siamo lasciati alle spalle e iniziamo a porci più o meno consapevolmente molte domande. “A che punto sono? Si sono avverati i miei sogni? Ho realizzato le aspettative di una vita felice e riuscita che nutrivo vent’anni fa? (…) E poi arriva la domanda ultima: Qual è la probabilità che io venga meno nel cercare di realizzare ciò che ovviamente non sono riuscito a fare nei primi quarant’anni di vita?” Anche le conquiste che abbiamo realizzato nel corso della vita non ci sembra più uguali a prima, quando ancora le desideravamo o le avevamo appena raggiunte. Hanno perso con il tempo un po’ del loro fascino e della loro attrazione. Come sottolinea Jung: “Ciò che un tempo era avventura, adesso è diventato routine. Guardare al passato a poco a poco diventa un’abitudine, per quanto lo detestiamo e cerchiamo di rimuoverlo.”

L’abitudine di guardare al passato ci porterà a farci considerare aspetti di noi che avevamo dimenticato, così come ci porterà a rivalutare altri possibili modi di vivere che non avevamo considerato. Tuttavia, più la nostra vita in età adulta si farà rigida e abitudinaria, tanto meno sarà fonte di soddisfazione. E allora accadrà che prenderanno sempre di più corpo le fantasie inconsce con le quali cominceremo a trastullarci perdendo il contatto con la realtà dei fatti. Non accorgersi di queste fantasie significa trascurare un fattore di turbamento per il nostro equilibrio mentale, fino ad assumere atteggiamenti sintomo di una regressione all’infanzia, “che non ci aiuta certo ad affrontare il difficile compito di costruirci un nuovo scopo per la vecchiaia.” Senza un sano realismo in età adulta ci si troverà ad aspettarsi solo cose abituali dalla vita e questo non permetterà alla nostra esistenza di rinnovarsi; condannandola ad essere stantia e pietrificata. La soluzione che prospetta Jung è quella di “vivere al passo con i tempi, nella consapevolezza che il tempo fornirà tutte le novità necessarie. Ma è un consiglio troppo semplicistico, dà per scontato che una persona anziana sia capace di percepire e di trovarsi in consonanza con le cose nuove, con le nuove abitudini e i nuovi strumenti. Invece è proprio questo il problema: nuove finalità richiedono occhi nuovi capaci di vederle e un cuore nuovo capace di desiderarle.”

Carl Gustav Jung, Jung parla. Interviste e incontri. Adelphi

Leggi altro pensiero di Carl Gustav Jung: La trasformazione di se stessi

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Le due linee dell’esistenza

Le due linee dell’esistenza di ogni essere umano sono i piani sui quali può svilupparsi la vita. Da una parte abbiamo il piano della vita ordinaria che scorre da quando nasciamo a quando moriamo. Dall’altra c’è il piano del nostro Essere, delle forme e dei livelli che questo può raggiungere. In una esistenza che mira alla pienezza dell’esperienza di noi stessi, le due linee dell’esistenza dovrebbero entrambe vederci impegnati in un lavoro fatto di consapevolezza. Tuttavia di questo secondo piano (quello dello sviluppo del proprio Essere), in genere, pochi ne sono consapevoli, eccetto rari sprazzi di consapevolezza subito spenti dal ritorno alla vita ordinaria… Vediamo insieme cosa accade in ognuna di queste due linee di sviluppo…

Quando pensiamo all’esistenza di un individuo potremmo raffigurarla graficamente utilizzando una croce e con essa visualizzare quelli che sono le due linee dell’esistenza umana. La linea orizzontale AB rappresenta quella che nell’accezione comune viene indicata come la vita di una persona; ne coglie la dimensione temporale dello svolgimento orizzontale, il fatto che ci sia un prima e un dopo. Esiste in questa vita una progressione, ma è di tipo orizzontale, ossia per quanti cambiamenti in essa possono verificarsi, comunque, l’individuo permarrà sullo stesso piano della propria condizione. Il fatto di essere più giovane o più vecchio, più ricco o più povero non cambia lo stato dell’Essere della persona che in questa condizione ordinaria continuerà a non essere consapevole di sé, ad non percepire la moltitudine dei propri Io rimanendo dell’idea di essere unico, a credere di avere una propria volontà e a non accorgersi della sua mutevolezza. Lungo questo asse orizzontale la vita avviene, si svolge in maniera meccanica e, in genere, le persone per tutta la durata della loro vita sono prigioniere di schemi ripetuti senza la coscienza di tale ripetitività. In questo piano, lungo questa linea orizzontale vivono la maggior parte delle persone, ignare della presenza nella vita anche di una linea di sviluppo verticale. Se gran parte dell’evoluzione lungo la dimensione orizzontale avviene anche senza che l’individuo faccia nulla, lo sviluppo lungo la linea verticale è possibile solo lavorando su se stessi.

Il punto C in cui la linea verticale interseca quella orizzontale rappresenta  il livello dell’Essere di una persona in un determinato momento della propria esistenza; dunque, la linea verticale sta a significare i differenti livelli dell’Essere in cui può posizionarsi una persona e, al tempo stesso, rappresenta la direzione dello sforzo cosciente che si compie quando si lavora su se stessi. Anche lo spostamento lungo l’asse orizzontale, quello della vita ordinaria, comporta uno sforzo, ma si tratta di uno sforzo meccanico: alzarsi la mattina dal letto, andare al lavoro, studiare, allevare i figli, etc. sono tutti sforzi dovuti per vivere e che è importante compiere per mandare avanti le cose. Ma per l’appunto si tratta degli sforzi richiesti dalla vita, necessari e non volontari e coscienti come quelli, invece, a cui ci si sottopone quando ci impegniamo nel lavoro su noi stessi. Gli sforzi della vita ci fanno muovere lungo l’asse orizzontale, quelli coscienti e volontari (non richiesti dalla vita) ci portano a posizionare il nostro Essere lungo la linea verticale. Lo sforzo del lavoro eleva l’Essere della persona. Ma cosa è il nostro Essere? Potremmo dire che l’Essere è dato dalla consapevolezza di sé e della realtà intorno che ha un individuo, e quindi dal livello del suo comprendere quanto accade a se stesso e agli altri; inoltre l’Essere di una persona si struttura intorno alla padronanza di sé ed equilibrio che è in grado di raggiungere. Come si può ben capire esistono diversi livelli che il nostro Essere può raggiungere e questa “salita” non è data automaticamente o spontaneamente, così come non avviene inconsapevolmente, ma solo tramite un lavoro su se stessi.

Tornando alla croce, possiamo dire che ogni istante dell’esistenza di un individuo può essere rappresentato in questo modo e il punto di incrocio della linea verticale con quella della vita indica l’ora, l’adesso. Questa è una visione oggettiva dell’esistenza di una persona, ma bisogna considerare che per la maggior parte degli individui che vivono solo lungo la linea orizzontale della vita, ignorando l’esistenza della dimensione verticale del vivere, può non esistere l’ora e l’adesso. Se viviamo totalmente identificati con la vita, se la nostra consapevolezza è addormentata, se siamo affannati solo dal passato e dal futuro, non c’è un’ora e un adesso nella nostra vita. In una siffatta esistenza si è oggettivamente trasportati dalla corrente della vita, illusi di essere noi stessi a nuotare e a scegliere la direzione, e quando si giunge a qualcosa che si desiderava questa è già diventata “acqua passata”. Così facendo, allora, non è possibile cogliere nessun punto di intersezione tra le due dimensioni dell’esistenza e il punto dell’ora e dell’adesso rimane privo di significato.

In realtà bisogna osservare che intuitivamente tutti noi sappiamo dell’esistenza di questa linea verticale, ossia dell’esistenza di stati del nostro Essere più alti o più bassi, perché tutti prima o poi abbiamo sperimentato momenti in cui rispetto a noi stessi ci siamo sentiti migliori o peggiori. Ed è per questo che, in potenza, la possibilità di accedere a questo piano verticale dell’esistenza è dato a tutti noi. Ma a parte questi sprazzi in cui abbiamo intravisto qualcosa, poi ritorniamo a dimenticarci di essi, rituffandoci nel flusso della vita e scordandoci di noi. Quando, invece, si inizia a lavorare su se stessi immediatamente si ha di nuovo la chiara percezione sia del proprio Essere sia del fatto che lo si può far sviluppare portandolo a livelli più elevati rispetto a quello ordinario. Se sulla linea orizzontale la posizione occupata da un individuo è una funzione del Tempo, sulla linea verticale la temporalità scompare, così il posto in cui si situa una persona è dato dal livello o qualità del suo Essere.

Considerando le due linee dell’esistenza, è possibile individuare due differenti tipologie di influenze che possono giungerci e che condizionano la nostra esistenza. Quelle che ci arrivano sulla linea orizzontale provengono dal passato (il fardello delle questioni irrisolte, che non sono state “chiuse” o metabolizzate), dal futuro (le mete e gli obiettivi che ci riproponiamo, le attese, le ansie e le preoccupazioni per ciò che potrebbe accadere) e dal presente (il contesto intorno a noi, i rapporti che viviamo). Quelle che ci giungono sul piano verticale sono meno meccaniche di quelle che ci arrivano dalla vita. Sono influenze che vanno cercate a partire dall’intuizione che esiste un altro piano dell’esistenza oltre quello della vita e che c’è in noi un Essere che può è possibile sviluppare ed elevare. Sono le influenze che sotto forma di conoscenze e insegnamenti ci arrivano da persone che hanno già raggiunto un proprio sviluppo interiore e da insegnamenti trasmessi. Sono influenze che, a lavoro iniziato, ci arrivano dal ricordo di sé non solo nella forma della “presenza a noi stessi” ma anche come memoria di questi stati più elevati del nostro Essere che abbiamo sperimentato strada facendo.

Tutta la conoscenza che appartiene alla psicologia presente nell’insegnamento della Quarta Via si riferisce alla possibilità che l’individuo ha di sperimentare e portare avanti una trasformazione interiore in grado di elevarlo nella scala dell’Essere. Dunque lo scopo del lavoro su di sé, così come viene impostato in questo sistema psicologico, riguarda la linea verticale dell’esistenza; lo scopo della vita con tutti i suoi sforzi, invece, ha a che fare con il piano orizzontale. Così la linea verticale rappresenta la strada della trasformazione, quella orizzontale è invece la linea del cambiamento, in cui il Tempo non trasforma le persone perché ciò richiederebbe consapevolezza di sé, ma si limita a cambiarle. In ogni caso, nessuna di queste due linee è più importante dell’altra e l’individuo deve perseguire il proprio sviluppo in entrambi i piani dell’esistenza. Ogni esistenza condotta solo su una delle due linee sarebbe, comunque, una vita incompleta.

Questo post è parte di un percorso per stimolare in chi legge un lavoro su di sé ispirato alle idee della Quarta Via riviste nell’ottica della psicologia attuale. Nel corso dei post verranno fornite anche le indicazioni per una serie di esercizi volti a focalizzate l’attenzione sull’osservazione di se stessi al fine di acquisire una consapevolezza maggiore. Ogni post è di per sé esaustivo, ma chi intendesse usare questa risorsa per cominciare a lavorare su di sé, è importante seguire la cronologia dei post come progressione logica degli argomenti.

Leggi la lezione n. 34: Le condizioni per lavorare su di sé

Leggi: Come essere consapevole

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L’ opinione personale e il senso della vita

L’ opinione personale che il singolo ha del senso della vita è una questione tutt’altro che oziosa. Perché è l’opinione che guida i suoi pensieri, i suoi sentimenti e le sue azioni. Alfred Adler, “Il senso della vita”, Newton Compton

A mio avviso è fuor di dubbio che ognuno nella vita si comporta come se avesse un’opinione molto precisa sulla propria forza e sulle proprie capacità, come se già all’inizio delle proprie azioni avesse chiara o meno la difficoltà di un caso che deve affrontare; in una parola, sono convinto che il suo comportamento scaturisce dalla sua opinione. Ciò non può meravigliare in quanto noi coi nostri sensi non possiamo recepire dei fatti, ma soltanto un’immagine soggettiva, un riflesso del mondo esterno. «Omnia ad opinionem suspensa sunt». Nelle ricerche psicologiche non bisogna mai dimenticare queste parole di Seneca. La nostra opinione sui fatti importanti della vita dipende dal nostro stile di vita. Siamo disposti a correggere la nostra opinione nei piccoli dettagli solo quando ci scontriamo direttamente con fatti che si pongono in contrasto con la nostra opinione. Però lasciamo agire su di noi la legge della causalità senza cambiare l’opinione che abbiamo della vita. Infatti, un serpente che si avvicina al nostro piede esercita su di noi lo stesso effetto tanto se è velenoso quanto se lo riteniamo tale. Il bambino viziato, allevato in modo sbagliato, si comporta nello stesso modo quando, appena la madre si allontana, ha paura che entrino in casa dei ladri, provando la stessa paura che proverebbe se essi fossero già nella casa. In ogni caso resta della propria opinione: è convinto di non poter sopravvivere senza sua madre, nonostante la sua idea si dimostri infondata. Chi soffre di agorafobia ed evita la strada, perché ha la sensazione e l’idea che il terreno ceda sotto i suoi piedi, si comporta esattamente come se il terreno sotto i suoi piedi sprofondasse davvero. Il ladro rifugge da un lavoro utile perché, impreparato com’è alla cooperazione, prova per il lavoro la stessa repulsione che proverebbe se esso fosse realmente più gravoso della sua attività di scassinatore. Il suicida che reputa la morte preferibile a una vita secondo lui senza speranza, agisce come se la sua vita fosse realmente senza speranza. (…) Tutti questi soggetti partono da un’opinione, che se corrispondesse alla realtà farebbe apparire oggettivamente corretto il loro comportamento. (…)

Continua a leggere su: Alfred Adler, “Il senso della vita”, Newton Compton

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Vita : il suo senso in termini psicologici

Qual è il senso della vita? Donald Winnicott ci parla, in termini psicologici, dei tre livelli della via di un essere umano e del ruolo fondamentale che il gioco e la creatività hanno nel creare quel complesso sistema che è la cultura.
Donald Winnicott, Dal luogo delle origini. Raffaello Cortina editore

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(…) Voglio prendere in considerazione il tipo di vita che una persona sana è in grado di condurre. Cos’è la vita? Non so dare una risposta precisa, ma penso che possiamo essere d’accordo nell’affermare che la vita è più una questione di “essere” che di sesso. Lorelei ha detto: «I baci sono molto piacevoli, ma un bracciale di brillanti rimane per sempre». Essere e sentirsi reali sono caratteristiche specifiche della salute mentale, e solo quando l’essere è un fatto acquisito possiamo procedere verso cose più positive. Ritengo che non si tratti soltanto di un giudizio di valore, ma che vi sia un legame tra la salute emozionale dell’individuo e il senso di sentirsi reali. Senza alcun dubbio la maggior parte della gente dà per scontato il fatto di sentirsi reali, ma a quale prezzo? In quale misura essi negano la verità che di fatto esiste il pericolo di sentirsi non reali, posseduti, di non essere se stessi, di precipitare all’infinito, di non avere una direzione, di essere separati dal proprio corpo, annientati, di essere un nulla, di non avere un luogo in cui stare? La salute non è compatibile con la “negazione” di alcunché.

Le tre vite
Concludo parlando dei tre tipi di vita che le persone sane possono condurre:

La vita nel mondo, con le relazioni interpersonali che costituiscono una chiave anche per l’utilizzazione dell’ambiente non umano

La vita della realtà psichica personale (a volte detta interna). É questo l’ambito in cui una persona creativa si dimostra più ricca di un’altra, più profonda e più interessante. A questa vita appartengono i sogni (o ciò da cui scaturisce il materiale del sogno). (…)

L’area dell’esperienza culturale. L’esperienza culturale ha inizio con il gioco e conduce a tutto ciò che costituisce il mondo umano, dalle arti ai miti della storia, alla lenta marcia del pensiero filosofico e ai misteri della matematica, fino alle istituzioni sociali e alla religione.

Conrinua a leggere su: Donald Winnicott, Dal luogo delle origini. Raffaello Cortina editore

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