La menzogna è realmente connaturata al genere umano? E se così fosse perché è così difficile saperla riconoscere. I mentitori sono tutti uguali fra loro? Luigi Anolli, “Fondamenti di psicologia della comunicazione”, Il Mulino
Un aspetto fondamentale della menzogna riguarda le ragioni che ci inducono a dire menzogne. Esse non sono azioni gratuite, né sono l’effetto di un attacco di follia. Sono il risultato di una valutazione della situazione contingente per ottimizzare le possibilità e per ottenere uno stato di cose desiderabile, in termini di rapporto fra costi e benefici. La comunicazione menzognera è realizzata da persone che si ritengono razionali, dotate, tuttavia, non di una «razionalità olimpica» (perfetta), bensì di una razionalità limitata, in grado di raggiungere non lo scopo e la soluzione ideale ma il cosiddetto ottimo locale. Vale a dire la soluzione che massimizza le opportunità e minimizza i rischi. Sotto questo aspetto nella mente dell’ingannatore la menzogna costituisce – in generale – un dispositivo comunicativo per ottenere un vantaggio in più rispetto alla comunicazione veritiera. È lecita questa strategia? Al riguardo, senza entrare in merito alla questione morale della menzogna, esistono diverse posizioni, due delle quali dominanti. La prima di esse sostiene che, a qualche titolo e per qualche ragione, il ricorso alla menzogna sia ammissibile in determinate circostanze. Per primo, Platone ha sostenuto nella Repubblica (III, 389b) che la menzogna è proibita per i cittadini che devono essere sempre sinceri, mentre essa è riservata ai politici. Si tratta di una «nobile menzogna» da essere impiegata come phàrmacon per il bene della città.
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