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La libertà del partner nella coppia

La libertà del partner nella coppia è spesso una situazione vissuta con timore come se questa potesse mettere a rischio la relazione. In realtà, la rivendicazione di un proprio spazio individuale al di fuori della coppia è una fase che attraversano tutti i rapporti nel momento in cui è normale l’esigenza di non voler chiudere la propria vita solo all’interno della coppia stessa…

“«Ho bisogno dei miei spazi». Una frase che tutti, prima o poi, abbiamo detto o che ci siamo sentiti dire. Una frase che, in ogni modo, ha scatenato inevitabilmente liti furibonde o musi lunghi. La libertà dell’altro è vissuta perlopiù come un pericolo per la coppia. C’è il timore che “dare la corda lunga” porti l’altro lontano da noi, lo induca a trovare nuovi stimoli, quelli che noi non siamo in grado di dargli, o addirittura a incontrare nuovi partner, chiudendo così l’ultimo atto della storia. Ma non è così. L’esperienza insegna che negare la libertà dell’altro (compresi noi stessi) è il modo migliore per rendere invitante la trasgressione. A parte questo, rende la relazione chiusa, soffocante, noiosa e ripetitiva. Quando il partner ci dice che ha bisogno dei suoi spazi, è il nostro modo di vivere il rapporto che deve essere messo in discussione. La simbiosi dei primi tempi è una fase, di sicuro gratificante per certi versi, ma è solo una fase. Poi la storia si evolve, per fortuna, e ciascuno dei due partner deve ritrovare la propria identità personale per farne dono all’altro in maniera completa. Pensiamoci bene: una coppia non è un’anima in due corpi. E piuttosto l’armonica fusione di due individualità, che mettono in comune il piacere di stare insieme. Quindi, sentirsi abbandonati se l’altro decide di coltivare qualche interesse al di fuori della coppia è solo il sintomo di un approccio sbagliato: quello che fa del possesso e del controllo la ragione per cui continuiamo a stare dentro la storia.”

Commento – Molto spesso in terapia di coppia si osserva la paura che insorge quando uno dei due partner inizia a prendersi o a rivendicare degli spazi propri. La libertà del partner viene vissuta come una minaccia per l’unità della coppia, come un segnale che qualcosa non va, come un cambiamento che crea una diversità rispetto all’idea di simbiosi con cui si dovrebbe vivere la relazione. Prima di tutto c’è da dire che l’esigenza di spazi propri al di fuori del rapporto con il partner è una fase che interviene in tutte le coppie dopo l’intento fusionale che guida gli inizi della relazione. La libertà del partner nasce dall’esigenza di riappropriarsi anche di una dimensione personale che è qualcosa in più e oltre la vita di coppia. È un bisogno naturale di potersi vivere in situazioni che non necessariamente devono essere condivise con il partner. La libertà del partner così non nasconde nel suo estrinsecarsi qualcosa di losco ma rappresenta un arricchimento per l’identità dei membri della coppia, oltre che apportare linfa vitale nel rapporto stesso. Come ripetiamo spesso alle coppie in terapie non è che negando questi spazi di libertà che si esorcizzano o si eliminano i tradimenti. Questi ci sono sempre stati e continueranno ad esserci al di là della concessione o meno di liberta al partner. Il tempo per vedersi con l’amante, uomini e donne lo hanno sempre trovato se è questo ciò che vogliono. Casomai nel discorso sulla libertà del partner è vero il contrario: se il rapporto di coppia diventa asfittico e chiuso, esso stesso potrà creare le condizioni per provare qualcosa di più piacevole e liberatorio. Come sempre il miglior antidoto al tradimento non è impedire la libertà del partner ma creare una relazione che sia piacevole, accogliente e n grado di dare benessere mentre la si vive. L’amore non deve configurarsi come una prigione in cui una volta entrati le persone devono rinunciare a tutto. Se la copia deve essere una risorsa, allora deve essere un contesto in cui i partner reciprocamente dovrebbero darsi sostegno nel realizzare la propria individualità in maniera libera, oltre che cooperare per lo sviluppo della vita a due.

Tra i fattori che giocano un ruolo nel limitare o voler impedire la libertà del partner troviamo: la fragilità personale; la gelosia; il pregiudizio che la vita di coppia richieda la rinuncia a se stessi. La fragilità interviene ogni volta che uno dei due partner finisce per appoggiarsi all’altro o a trovare nel vivere per l’altro la propria ragione di vita. È chiaro che in tali situazioni la libertà del partner è una minaccia a un simile rapporto, perché ostacola quella dipendenza che invece è rassicurante. La gelosia stessa ha come radice una propria fragilità e debolezza portando a vivere la vita che il partner può avere al di là della coppia come situazione potenziale per l’incontro con altre persone con cui intrecciare relazioni pericolose. La libertà del partner in una coppia va concepita come la possibilità che le persone hanno di perseguire i propri obiettivi, di coltivare le proprie passioni e interessi, pur mantenendo un legame di lealtà e progettualità con il partner. Questo significa che deve essere possibile trascorrere del tempo da soli o coltivando relazioni e hobby al di fuori della relazione senza che questo comporti un disimpegno o una distanza, ma gestendo la propria indipendenza secondo un sano equilibrio tra spazi individuali e spazi di coppia.

Raffaele Morelli, “Come amare ed essere amati”, Mondadori

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amore felice

L’ amore felice, come riconoscerlo…

È importante saper riconoscere un amore felice da un amore infelice. Sembrerebbe facile fare questa distinzione ma in realtà vista la grande quantità di relazioni dolorose che le persone portano avanti, la cosa non si rivela così scontata. Ecco allora un metodo molto semplice che nella sua apparente banalità nasconde un grande verità: per poter fare questa distinzione e saper riconoscere l’amore felice dobbiamo per prima cosa imparare ad essere sinceri con noi stessi…

“C’è un modo per capire se questi amori sono giusti o sbagliati? Se vai la pena di viverli oppure no? E fino a che punto mettersi in gioco?  Voglio suggerire un metodo che si basa proprio sulla provocazione della mia vecchia zia. L’ho chiamato “il termometro della felicità” e l’idea è molto semplice: un amore è giusto se da felicità mentre è sbagliato quando da infelicità. Troppo facile? Proviamo a pensare. Non sto consigliando di usare questo metro di misura per la prima fase di un rapporto, quando la passione, la novità dell’innamoramento colorano tutto di rosa. Propongo invece di intingere la cartina di tornasole dei sentimenti in quel sedimento che si forma nella relazione amorosa dopo un certo periodo di tempo. Allora ci si può chiedere in tutta franchezza: «Ma a me questa persona, non nelle parentesi alle Maldive, nei momenti di festa, ma nella sua quotidianità – perché gli amori vanno giudicati nella quotidianità, nella più banale declinazione della nostra vita – mi fa felice oppure no?». Laddove felicità non vuoi dire necessariamente camminare a mezzo metro da terra, non vuoi dire continua euforia, non vuoi dire toccare il cielo con un dito 24 ore su 24, il che sarebbe impossibile. Ma significa star bene, sentirsi rispettati, tranquilli, sereni e, anche se siamo persone di natura inquieta, essere felici nella propria inquietudine, perché un vero rapporto d’amore ci fa essere noi stessi. E se si soffre? É ovvio che l’amore non da solo felicità, ci sono per tutti dei momenti bui. Però a volte si chiamano amori anche quelle cose che fanno stare bene un giorno e male gli altri 364, un momento di paradiso che si paga con settimane di inferno. E addirittura quasi viene da pensare che gli amori che fanno soffrire servano per arrivare a quell’istante di felicità, come in una specie di gioco sadomasochista in cui a un certo punto non si sa più cosa si stia davvero cercando. La prima cosa che voglio dire dunque è che questi non sono amori felici, di conseguenza non sono un amori giusti.”

COMMENTO – Esiste l’ amore felice se sappiamo riconoscerlo e apprezzarlo nella sua semplicità e spesso nella sua pacatezza. I criteri sono sicuramente quelli indicati da Paolo Crepet e che al loro interno parlano di una profonda verità:  l’ amore felice non è quello che lascia senza respiro, che inebria, che ci sconvolge, quello passionale in ogni istante. Non che tutto questo non sia piacevole ma l’esperienza insegna che tutto questo è solo un aspetto dell’amore connesso alla prime fasi dell’innamoramento e che è giusto che ci sia. Ma se queste relazioni sono amore lo scopriamo dopo, quando il rapporto entra nella quotidianità e le persone diventano più vere nel rapportarsi l’una all’altra. L’ amore felice è un incastro che proprio nel rispetto della nostra diversità da quella del/della partner, ci permette di sentirci nel posto giusto accanto alla persona che abbiamo scelto. Esso produce quel senso di benessere derivante dal fatto di poter essere noi stessi fino in fondo nel rispetto dell’altro e sentendoci rispettati dall’altro. Poi c’è l’amore infelice ma credo che questo sia facile da riconoscere perché chi vi si trova invischiato lo sperimenta sulla propria pelle, vivendo tutto il malessere che ne deriva. La vera difficoltà, in questi casi, non sta dunque nel fatto di non accorgersi di vivere una relazione sbagliata, ma nel non saper ammetterlo a se stessi traendone poi le giuste conseguenze. Ciò accade per tanti motivi: dipendenza affettiva, fragilità interiore, paura del cambiamento. Altre volte subentrano situazioni oggettive a non permettere l’interruzione di questi rapporti: disagio economico, figli, mutui contratti, etc. Anche queste condizioni a volte impediscono di mettere fine agli amori infelici. In ogni caso il primo passo da fare quando si vivono amori sbagliati è quello di ammettere a se stessi questa situazione e cominciare a lavorare interiormente per imparare a non dipendere più da essi, recuperando il proprio benessere al di là di tali rapporti. Arrivare poi, nei tempi e nei modi possibili per ognuno, a mettere fine ad essi per recuperare la possibilità di vivere in altre condizioni il proprio amore felice.

Paolo Crepet, “Gli incontri sbagliati. I volti dell’amore”, Mondadori

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divorzio 2

Divorzio : una difficile transizione

Il divorzio non segna solo la fine di un rapporto di coppia, ma è una fase che richiede alla coppia stessa, a tutti gli attori intorno ad essa, lo sforzo portare a compimento questa fase salvaguardando l’idea del legame.
Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli, Il famigliare. Legami, simboli e transizioni. Raffaello Cortina Editore

Come si è detto, la natura incerta e fragile della coppia sempre più autocentrata e sempre meno sostenuta dalla ·dimensione sociale del patto che la lega, rende oggi il divorzio una prova possibile, un evento che può accadere nella storia coniugale.
Dire che “può accadere” e rilevare la frequenza con cui di fatto accade, non significa, tuttavia, ritenere che la transizione del divorzio debba essere considerata alla stregua di qualsiasi transizione del ciclo di vita famigliare. Per quanto la visione del trauma del divorzio condivisa da parecchi ricercatori sia quella di una crisi prevedibile e normale nel ciclo della vita famigliare (…), occorre comprendere tale visione come una difesa dall’angoscia. I ricercatori sembrano infatti tesi a “normalizzare” ciò che è fonte di dolore e di pericolo per la persona e per la relazione tra le generazioni. In realtà il divorzio rappresenta l’esito possibile di una crisi del patto coniugale che, sferrando un attacco traumatico al legame, sfocia nella violazione e nella rottura del patto stesso, segnandone la fine-fallimento. Ogni transizione, soprattutto se innescata da una perdita, porta con sé disorganizzazione e sofferenza, coinvolgendo tutta la rete di relazioni in cui un individuo è inserito. Separazione e divorzio, in particolare, sono la conseguenza di una frattura che si inserisce entro un contesto di perdita che non di rado degenera in odio e discordia e che mette profondamente alla prova la famiglia lasciando tracce profonde nella vita dei suoi membri.
Particolarmente faticoso, di conseguenza, sarà il processo di coping che se da una parte apre alla possibilità di un superamento della crisi e può, in taluni casi, essere un’occasione maturativa e trasformativa della persona e delle relazioni, dall’atra parte porta con sé il rischio della ripetizione coatta e della risposta regressiva.  (…) La crisi provocata dalla separazione, e che la provoca, va ben al di là del momento puntuale in cui si verifica la frattura, occorre pertanto parlare ancora una volta di processo di transizione. Negli ultimi due decenni si è fatta via via strada una concezione della separazione come processo a più fasi (…) all’interno delle quali è possibile distinguere sentimenti dominanti, bisogni, obiettivi, compiti di sviluppo specifici e interventi differenziati.

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