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La preoccupazione: cosa fare?

La preoccupazione è un’afflizione che inquina la nostra mente, rendendola prigioniera di pensieri ed emozioni negative. Come affrontare le preoccupazioni inutili, da distinguere da quelle oggettive? la risposta è sempre la stessa, ricorrendo all’uso di quel potente strumento nel lavoro su se stessi rappresentato dall’auto osservazione. Scopriamo come…

Quando iniziamo a lavorare su noi stessi, l’auto osservazione è la pratica di base da cui partire in quanto capacità fondamentale per l’acquisizione della consapevolezza di sé. Una questione importante che deve essere sottolineata è su cosa debba essere focalizzata tale auto osservazione. La risposta a tale domanda è semplice: l’osservazione di sé deve avere come riferimento le tre parti che compongono la “macchina” umana, ossia i nostri tre centri di funzionamento, quello motorio, quello emozionale e quello intellettivo. Ognuna di queste tre parti è come se rappresentasse un nostro differente Io. Così l’osservazione va portata sul nostro Io motorio (cosa fa il nostro corpo), sull’Io emozionale (cosa sentiamo, in quale stato emotivo ci troviamo) e sull’Io intellettivo (cosa pensiamo e cosa immaginiamo).

L’osservazione di noi stessi ci permetterà di “prendere contatto” con quella parte di noi, invisibile agli altri e percepibile solo individualmente, chiamata “se stesso”; questo aspetto del nostro essere in genere tendiamo a darlo per scontato, incappando così nel comune errore di pensare di conoscerci, quando invece ciò che sappiamo di noi è spesso solo in frutto di idealizzazioni o immaginazione. Focalizzare l’osservazione di sé sul funzionamento di questi tre centri ci permette di comprendere prima di tutto che noi, in un dato momento, non siamo un solo Io, così come non siamo una sola persona nel corso del tempo dato che manifestiamo spesso, nostro malgrado, in situazioni diverse volontà addirittura in contrasto fra loro o che si contraddicono. Questi tre centri su cui portare la nostra attenzione nel corso dell’osservazione di noi stessi lavorano simultaneamente: infatti, abbiamo in ogni momento delle nostra esistenza pensieri, emozioni e movimenti, che altro non sono che la risultante del funzionamento del Centro Intellettuale, del Centro Emozionale e del Centro Motorio. Questi tre aspetti noi – questi tre Io – pur lavorando simultaneamente sono del tutto diversi tra loro. Dunque, nell’auto osservazione finalizzata nelle fasi avanzate del lavoro su se stessi all’auto controllo, dobbiamo ricordare sempre che in noi c’è sempre “qualcosa” che pensa, sente e si muove.

Facciamo un esempio prendendo un “banale” comportamento motorio come aggrottare le ciglia. In base alla tripartizione della “macchina” umana esso è il risultante del funzionamento del Centro Motorio. L’accigliarsi è, tuttavia, concomitante alla manifestazione da parte del Centro Emozionale di un sentimento quale l’inquietudine oppure di uno stato di pensosità. Al tempo stesso queste manifestazioni dei due Centri si accompagnano al funzionamento del Centro Intellettuale nella forma di una serie di pensieri o immagini che si affacciano alla nostra mente. Così, come si evince da questo esempio una piena osservazione di noi stessi deve abbracciare tutte e tre le manifestazioni dei nostri Centri, cogliendo non solo la meccanicità di certi schemi per via associativa ma anche la simultaneità del loro funzionamento. Ad esempio, se avvertiamo in noi uno stato di tristezza, passiamo ad osservare quali pensieri stiamo facendo e che la alimentano; così come spostiamo l’attenzione sul nostro corpo e facciamo caso a “come siamo” quando siamo tristi.

Avventuriamoci ora, avendo chiarito questo aspetto nell’osservazione di noi stessi, nel prendere in considerazione una delle maggiori afflizioni con cui un individuo “tortura” se stesso: la preoccupazione. Per prima cosa è doveroso riconoscere che essa, al pari di molti altri stati d’animo negativi, prende forma quando siamo identificati con tutta una serie di pensieri e immagini prodotte dalla nostra mente. Ricordiamo che il meccanismo dell’identificazione comporta che la persona che ne è “vittima” diventi un tutt’uno con la situazione interiore (ma può accadere anche con eventi esterni che ci “catturano”) che sta vivendo, incapace di prendere le distanze da se stessa e poter dire “io non sono questa cosa che sto provando”. Quando siamo in preda alla preoccupazione ci sentiamo lacerati, oppressi e psicologicamente ritorti su noi stessi. Spesso mentalmente rimuginiamo e “rimestiamo” continui pensieri negativi su possibili conseguenze sfavorevoli e avverse, tant’è che uno dei segnali esteriori della nostra preoccupazione è il “torcersi le mani” o comunque il loro sfregamento. Ricordiamo, infatti, che ogni stato psicologico ha la sua manifestazione anche attraverso il funzionamento del Centro Motorio che, nel caso degli stati d’animo, si concretizza in certi specifici movimenti o tipiche posture. Così è facile osservare che quando siamo preoccupati tormentiamo le mostre mani, oppure ci mordicchiamo le labbra, o ancora il nostro sguardo vaga senza guardare. In generale gli stati d’animo negativi come i timori, l’ansia o la depressione tendono a manifestarsi nel nostro comportamento con tensioni e contrazioni muscolari, flessione e ripiegamento del capo o delle spalle, talvolta anche con una debolezza dei muscoli. Al contrario gli stati d’animo positivi non si manifestano in questo modo: in genere il funzionamento del Centro Motorio si caratterizza per  espansione ed estensione delle membra, comportamenti erettivi, rilassamento muscolare e da una sensazione di forza.

Apprendere a osservarsi ci metterà nella condizione di fare caso a queste manifestazioni comportamentali che segnalano uno stato di preoccupazione. In questo modo potremmo, prima di tutto, accorgerci di essere preoccupati quando magari non ci siamo ancora resi conto dei pensieri negativi che stiamo “ruminando”. Ma soprattutto essere coscienti di questi comportamenti del nostro Centro Motorio può far sì che noi iniziamo ad agire su di essi per contrastarli: smettere di aggrottare le sopracciglia e la fronte, decontrarre la bocca serrata, rilasciare i pugni chiusi e in generale smettere di trattenere il respiro e provare a rilasciare i muscoli. queste semplici operazioni opereranno uno spostamento della nostra attenzione e quindi un allentamento della nostra identificazione con le emozioni e i pensieri negativi.

Abbiamo detto poco più sopra che in ogni momento la nostra “macchina” contempla il funzionamento di tutti e tre i Centri che compongono la nostra persona. Di questi tre Centri il più difficile da controllare e gestire è quello emozionale specie per la sua rapidità di funzionamento. Nel lavoro su noi stessi esso viene paragonato ad un elefante “birbante” perché non addomesticato, ma affiancato ai lati da altri due elefanti addomesticati (il Centro Intellettuale e quello Motorio). Il primo passo, come sempre, è quello di avere coscienza, tramite l’osservazione di sé, della presenza in noi di uno degli stati emotivi negativi, ossia di quelle condizioni abituali ma non meno dannose come la preoccupazione, la noia, l’ansia, etc. Avere maturato l’abitudine ad osservarsi è fondamentale perché proprio questa dimestichezza con noi stessi ci dà quella sensibilità tale da farci rendere conto di tali stati di cui facciamo fatica a percepirne la presenza proprio perché sono per noi abituali. A questo punto possiamo utilizzare uno dei due elefanti addomesticati per “educare” quello birbante (Centro emozionale) data la difficoltà che le persone hanno ad affrontare direttamente le emozioni. Provare a usare il Centro Intellettuale, in questo caso, significa osservare il flusso dei pensieri e delle immagini che si susseguono nella nostra mente mentre siamo preoccupati. L’atto stesso di osservare questa produzione mentale ci fa prendere le distanze dalle preoccupazioni che stavamo ruminando e ci fa rendere conto come “giochiamo” con questi pensieri, usandoli come piccoli mattoncini con cui costruiamo il muro della preoccupazione. Osservare questa azione di volontaria manipolazione di tali pensieri ci aiuta a disidentificarci con la preoccupazione, riuscendo a cogliere l’oggettività della situazione (molte preoccupazioni sono il frutto di una immaginaria anticipazione di situazioni negative) e a valutarla con razionalità. Lentamente usando la nostra volontà possiamo arrivare a fermare la parte di noi che pensa la preoccupazione, compiendo un’operazione simile a quando abbiamo a che fare con un fuoco (la preoccupazione): questo si spegnerà se noi smettiamo di gettarci dentro della legna (i pensieri preoccupanti).

L’altro elefante addomesticato che possiamo utilizzare esercitando su di esso la nostra volontà è il Centro Motorio. Come detto in precedenza potremmo mettere in atto una serie di esercizi per rilassare e decontrarre i muscoli iniziando da quelli del viso, dell’espressione, degli occhi, della bocca, etc. Riprendiamo però per un attimo il tema della preoccupazione. È bene precisare che per quanto essa sia sempre uno stato emotivo negativo, bisogna fare una distinzione tra preoccupazioni oggettive e immaginarie. Oggettive sono quelle preoccupazioni  che possiamo provare quando siamo inquieti per la salute di una persona cara malata oppure perché dobbiamo affrontare una prova difficile e per noi significativa. Immaginarie sono quelle preoccupazioni costruite sull’immaginazione negativa e sui pensieri  avversi; un miscuglio di menzogne a cui dedichiamo tempo, basate su pochi fatti che ci raccontiamo.

Dunque, non dobbiamo ritenere che la situazione opposta alla preoccupazione sia l’indifferenza. Come detto, è lecito sentirsi in ansia per una persona in stato di pericolo, sperimentando un insieme di speranza e timore. Ma la preoccupazione di cui stiamo parlando e che ci affligge per molto tempo della nostra giornata, è ben diversa perché con l’entrata in gioco dell’immaginazione, essa si trasforma in abitudine fino a far sì che le persone ritengano meritevoli preoccuparsi di tutto.

Nella preoccupazione frutto dell’immaginazione non esiste per i nostri pensieri che si affastellano nella nostra mente un centro di gravità: non c’è per essi né una direzione né un obiettivo chiaro. Pensieri ed emozioni si susseguono senza un ordine, fluttuando nella nostra mente. Non sempre è facile smettere di preoccuparsi, data l’esistenza di situazioni in cui non è quasi possibile farlo. Eppure esiste una condizione, una tendenza abituale che porta le persone ad essere preoccupate per ogni cosa, cogliendo ogni avvenimento come motivo di preoccupazione e occupando con questi timori molto tempo della propria giornata. Contrariamente a quello che si possa pensare, preoccuparsi non vuol dire pensare ma significa spingere la nostra mente in uno stato emozionale confuso e oscurare ulteriormente il nostro pensiero. La preoccupazione non ci porta a prestare attenzione a qualcosa, operazione questa che ci aiuterebbe in ogni caso, ma ci spinge sempre più ad identificarci con i pensieri e le emozioni che la sostengono.

Infine una ultima osservazione che possiamo far partire dalla seguente domanda: la preoccupazione serve a qualcosa? La risposta è no e sì. No, perché la preoccupazione in quanto esperienza in sé porta in basso il nostro Essere e fuori dal nostro controllo. Si, perché nell’imparare a vivere dal punto di vista del lavoro su di sé,  la preoccupazione è un’esperienza che se vissuta consapevolmente ci offre l’opportunità di comprendere il modo in cui funziona la nostra “macchina” e l’occasione di agire su di noi andando contro la natura degli automatismi di tale macchina, per sviluppare il nostro Essere. La vita, in generale, è una immensa opportunità di crescita a patto che tra noi e la vita ci sia lo sforzo del lavorare su di sé. Solo in questo modo la preoccupazione come esperienza vissuta ci può far vedere qualcosa di noi stessi.

Questo post è parte di un percorso per stimolare in chi legge un lavoro su di sé ispirato alle idee della Quarta Via riviste nell’ottica della psicologia attuale. Nel corso dei post verranno fornite anche le indicazioni per una serie di esercizi volti a focalizzate l’attenzione sull’osservazione di se stessi al fine di acquisire una consapevolezza maggiore. Ogni post è di per sé esaustivo, ma chi intendesse usare questa risorsa per cominciare a lavorare su di sé, è importante seguire la cronologia dei post come progressione logica degli argomenti.

Leggi la lezione n. 35: Le due linee dell’esistenza

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Pensare : istruzioni per l’uso

Pensare è un’attività per lo più automatica. Tutti diamo per scontato di saper pensare e, in questo modo, trascuriamo la possibilità di modificare, migliorare e potenziare questa nostra capacità. Edward De Bono, ci spiega altre modalità di pensare e come questa facoltà possa essere utilizzata in maniera più funzionale a risolvere i nostri problemi.
Edward De Bono, Sei cappelli per pensare. Biblioteca Universale Rizzoli

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Pensare è la massima risorsa dell’uomo. Tuttavia non siamo mai soddisfatti della nostra capacità fondamentale. Per quanto si diventi bravi, occorre sempre desiderare di essere migliori. Di solito le uniche persone soddisfatte del la loro capacità di pensiero sono quei poveretti che credo no che il pensieri serva a togliersi il gusto di dimostrare che hanno ragione. Solo una visione limitata di quel che il pensiero può fare, e nient’altro, può renderci soddisfatti della nostra bravura in questo campo. La maggiore difficoltà che si incontra nel pensare è la confusione. Cerchiamo di fare troppe cose alla volta. Emozioni, informazioni, logica, aspettative e creatività si affollano in noi ostringendoci a fare il giocoliere con troppe palle. (…)
Recitate la parte del pensatore: lo diventerete (…) Voglio che voi vi raffiguriate la tanto usata — e abusata — immagine del Pensatore di Rodin. Voglio che immaginiate la posa con la mano sul mento che si suppone debba assumere ogni pensatore non del tutto frivolo. In proposito, io sono convinto che pensare dovrebbe essere qualcosa di attivo e vivace, e non di malinconico e solenne. Ma per il momento l’immagine tradizionale ci è utile.
Mettetevi in quella posa — fisicamente, non mentalmente — e diventerete pensatori. Perché? Perché se recitate la parte del pensatore lo diventerete.

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