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L’ immaginazione come fuga da se stessi

L’ immaginazione è il primo degli ostacoli che si frappongono fra noi ed una piena consapevolezza di noi stessi. Essa agisce ogni volta che il nostro pensiero in modo automatico, anziché centrarsi sull’osservazione della realtà, slitta su fantasie, desideri e “invenzioni”. L’abitudine a questo tipo di stato mentale finisce per farci perdere il contatto con ciò che noi siamo realmente, contribuendo alla costruzione di una falsa personalità.

L’essere umano, come anche la psicologia scientifica ha dimostrato, funziona di fondo secondo uno schema meccanico stimolo-risposta, per cui ad ogni stimolo che riceve viene evocata in lui una certa risposta automatica. L’origine di queste risposte, diverse da individuo a individuo provengono da un accumulo di esperienze maturate nella vita. Dall’infanzia all’età adulta ognuno di noi accumula informazioni, matura atteggiamenti ed idee, elabora concetti che vengono registrati nella nostra mente. Stiamo parlando di risposte che attengono sia al nostro comportamento motorio, sia di tipo emotivo, sia riguardanti il nostro pensiero. Chiaramente tutto ciò che viene immagazzinato sotto forma di schema è collegato a certe situazioni e avvenimenti, per cui tali schemi di risposte vengono “riprodotti” nel momento in cui un determinato stimolo è uguale, simile o in relazione con l’evento in cui abbiamo appreso quella risposta. Dunque tutto funziona per catene associative. Facciamo un esempio: mentre siamo impegnati a guidare la nostra automobile, se vediamo una mamma con il suo bambino, attraverso una associazione di pensiero, potrebbe venirci di pensare a nostro figlio, oppure potremmo immergerci in considerazioni più ampie relative a come è stata bella per noi l’infanzia di nostro figlio. Dunque, ogni stimolo che ci giunge evoca in noi una risposta. Nel sistema psicologico della Quarta Via, l’insieme delle risposte, soprattutto emotive o di pensiero, prodotte da uno stimolo generano ciò che si chiama immaginazione. Essa è un fantasticare indotto da stimoli esterni o interni all’individuo, quindi meccanico perché basato su di un automatismo associativo dei pensieri, condotto senza.  Si tratta di un sognare ad occhi aperti, nel farsi un “film mentale”, senza che noi ne possiamo avere consapevolezza. Gran parte del nostro tempo lo trascorriamo in preda di questa condizione che è, comunque, ben diversa dall’azione creativa del nostro pensiero, che invece è il frutto dell’intenzionalità ed è rivolta ad un fine. Il pensiero associativo dell’immaginazione, invece, semplicemente accade.

Questa tendenza automatica all’immaginazione costituisce il primo ostacolo verso una piena consapevolezza di sé. Quando cominciamo ad osservarci, ben presto è possibile renderci conto che l’impedimento principale a tale osservazione è proprio l’immaginazione. Quando desideriamo osservare realmente qualcosa di noi, interviene l’immaginazione che si impadronisce del nostro sforzo mentale, lo dirotta verso un fantasticare, un figurarsi cose riguardo noi stessi e così facendo finiamo per dimenticarci di “guardare”. In questo contesto alla parola “ immaginazione” viene dato un senso artificioso e negativo, lontano dal significato di facoltà creatrice.  Ma quest’ultima è ben altra cosa, mentre l’immaginazione come automatismo che ci porta su un piano irreale rispetto alla conoscenza di noi stessi, è una facoltà distruttrice. Essa non può essere controllare proprio perché meccanica e ci allontana sistematicamente dal prendere decisioni più coscienti, portandoci verso direzioni dove non avevamo intenzione di andare. L’immaginazione meccanica è, quindi, paragonabile ad una menzogna verso se stessi. L’individuo comincia ad immaginare qualcosa su di sé per far piacere a se stesso e così finisce per credere a quanto immagina, perdendo contatto con il suo reale essere.  L’immaginazione si fonda sull’assenza di confronto reale con il mondo che ci circonda. Un’altra differenza rispetto al pensiero creativo sta nel fatto che l’immaginazione non lascia traccia dal momento che spesso difficilmente ricorderemo i pensieri che abbiamo avuto.

L’immaginazione non conduce a nessun risultato reale, invece consuma molta energia mentale e tempo, nutrendo per di più un uso errato del pensiero. Infatti, spesso l’immaginazione si fonda su pensieri illusori o totalmente irreali che, tuttavia, finiscono per essere considerati reali. Facciamo un esempio: spesso quando abbiamo una difficoltà o un problema con una persona ci capita di costruire fantasie e pensieri in cui immaginiamo l’assenza del problema o in cui risolviamo “magicamente” la questione; talvolta inventiamo situazioni in cui “costruiamo” addirittura discorsi immaginari con gli interlocutori in questione. Tutte queste immaginazioni sono una fuga dalla realtà anche se momentaneamente ricompensatrici e purtroppo una volta che il loro effetto svanisce si ripiomba nella “vera” realtà dei fatti più stanchi e più fiacchi, più inclini alla delusione vista la discrepanza che questa ha rispetto alla fantasia. Talvolta, se l’immaginazione è così potente può comportare anche come risultato una distorsione della realtà, portandoci a maturare delle convinzioni poco utili ad affrontare le vere questioni. L’uso dell’immaginazione può arrivare ad essere così pervasivo da far sì che le persone scambino i suoi prodotti come reali. Basti pensare al caso del disturbo psichico della paranoia in cui chi ne è afflitto finisce per vedere nemici a causa di continue fantasie in cui si immaginano irrazionalmente pericoli dovunque a causa dell’assenza di confronto con la realtà esterna. Un altro esempio di un a tipologia di immaginazione molto diffusa è quella caratterizzata da contenuti negativi: in questo caso i pensieri e le fantasie indugiano su disgrazie e sciagure, mettendoci nella condizione emotiva di vivere nell’attesa che esse accadano.

Preoccuparsi per qualcosa non equivale a pensare. In questo caso la mente è mossa verso la preoccupazione sulla spinta dello stato emozionale, con la conseguenza di offuscare se stessa. Prestare attenzione a qualcosa è sempre di aiuto, perché l’attenzione ci conduce ad essere più coscienti di noi. Al contrario, preoccuparsi equivale a pensare ad altro. In ogni caso, non si deve pensare che lo stato d’animo opposto alla preoccupazione sia l’indifferenza. È giusto e ci si deve  sentirsi in ansia per una persona che non sta bene  –  un miscuglio di speranza e timore – ma la preoccupazione è molto diversa, perché in essa entra in gioco l’immaginazione. Così strutturato e così vissuto questo stato d’animo si trasforma in abitudine, come accade con molti altri stati emotivi negativi, e le persone finiscono con il credere che, sotto questa forma,  sia una cosa meritevole preoccuparsi per gli altri. La gente arriva a ritenere che in questa modalità sia giusto preoccuparsi di tutto, nel passato e nel futuro, per se stessi e per gli altri. E così facendo l’immaginazione prende sempre più piede nei nostri processi mentali.

Nella società in cui viviamo gran parte dei processi che avvengono sono uno stimolo al ricorso all’immaginazione. Spesso le persone sognano per sé una moglie o un uomo ideale. Oggigiorno sono molti gli stimoli esterni che stimolano e intensificano tale esigenze tipiche delle persone “addormentate”: il cinema, le telenovele, ecc. Tuttavia queste fantasie formate da una immaginazione errata, finiscono poi per essere alimentate delle nostre energie, dato che hanno bisogno di queste per continuare a mantenersi vive. Tutte queste forme d’immaginazioni prendono la loro forza da noi stessi. Tutto questo succede nella maggior parte delle persone, durando a volte per tutta la loro vita ed esaurendole così  in molti modi diversi, fino a renderle incapaci di instaurare vere relazioni con gli altri o un corretto contatto con la gente vera. Del resto l’immaginazione è una delle disposizioni dell’uomo a cui fa riferimento il lavoro su di sé affermando che è fondamentale lottare e combattere con determinazione.

Come già detto, l’immaginazione non è assoggettata al nostro controllo, come il pensiero creativo, per cui essa non è utile al lavoro su noi stessi, dal momento che spesso ci porta a immaginare ciò che non siamo e quindi a costruirci una immagine irreale di noi stessi.  In generale, comunque, l’ immaginazione è ben distinta dal pensiero e la ragione di ciò sta ancora una volta nel controllo: quando pensiamo noi lo esercitiamo e i contenuti che si susseguono non accadono semplicemente. Per  lavorare al fine di neutralizzare l’ostacolo rappresentato dall’immaginazione dobbiamo per prima cosa saperla riconoscerla nel ostro agire quotidiano. Quindi dobbiamo imparare a fermarla, riportando il pensiero sulle cose reali e interrompendo il flusso di associazioni incontrollate alla base dell’immaginazione. Tutto ciò è difficile a farsi perché quando siamo catturati dall’immaginazione, come in un incantesimo, vediamo solo ciò che vogliamo, e spesso i fatti sono presi in maniera superficiale ed incompleta. Dunque per riuscire ad arrestare l’immaginazione dobbiamo sforzarci di essere più oggettivi e realistici, di avere il coraggio di considerare quanti più elementi possibile della situazione, sia interiore che esteriore. Questo ci porterà ad ancorarci maggiormente alla realtà intorno a noi,  togliendo così terreno all’immaginazione. Per fare questo, come accade nel lavoro di smantellamento degli ostacoli, dobbiamo avere degli scopi (essere consapevoli e coscienti di noi stessi )e la conoscenza di come funziona l’essere umano, in grado di sostenerci nelle sperimentazioni nella nostra vita quotidiana.

Questo post è parte di un percorso per stimolare in chi legge un lavoro su di sé ispirato alle idee della Quarta Via riviste nell’ottica della psicologia attuale. Nel corso dei post verranno fornite anche le indicazioni per una serie di esercizi volti a focalizzate l’attenzione sull’osservazione di se stessi al fine di acquisire una consapevolezza maggiore. Ogni post è di per sé esaustivo, ma chi intendesse usare questa risorsa per cominciare a lavorare su di sé, è importante seguire la cronologia dei post come progressione logica degli argomenti.

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Immaginazione e empatia

L’ immaginazione è una potente facoltà della nostra mente che non solo serve a “inventare” altri mondi e realtà ma anche ad uscire dall’esperienza del nostro “vivere” ed aprirci a quella degli altri. Ecco perché l’ immaginazione è così importante nel meccanismo dell’empatia… Laura Boella, “Sentire l’altro”, Raffaello Cortina Editore

Per sintonizzarci con altri mondi e altre esperienze dobbiamo esercitare l’ immaginazione. A che cosa attinge l’ immaginazione? Come vive in noi? È forse soltanto una facoltà che ci allontana dalla realtà e ci trasporta nel mondo dei sogni e delle congetture senza consistenza? L’ immaginazione libera lo spazio del puro possibile come spazio di gioco affrancato da ogni vincolo reale? Sappiamo che nel bambino è una dote spontanea molto sviluppata, che lo aiuta ad aprirsi al mondo, ad affrontarne senza troppi traumi le infinite avventure. Nell’adulto spesso è come se si spegnesse, a volte soffocata dagli imperativi della vita reale. Ma è sempre possibile riattivarla, per esempio, attraverso la frequentazione dei testi poetico- letterari. Essi rappresentano infatti una delle vie per approfondire la sensibilità per l’altro e, in particolare, per uscire dai canoni convenzionali dell’interpretazione dei comportamenti. Le storie narrate rendono plausibili le trame emotive degli avvenimenti, danno ragione dell’imprevedibilità dei caratteri e delle azioni umane, invitano a seguire le logiche del cuore e non quelle dell’interesse economico o della legge impersonale. C’è però una trama più profonda dell’ immaginazione, che sicuramente dà ragione della capacità della letteratura, della poesia, della musica di insegnarci ad aprire la nostra mente, ma che deve essere riconosciuta all’opera in ogni nostro atto.

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Educazione : il ruolo dell’immaginazione

Educazione : ancora una volta Hillman rovescia la questione parlando non solo del ruolo che l’immaginazione ha in questo processo, ma soprattutto ponendo l’accento sul ripensare a cosa dovrebbe fare l’educatore e soprattutto sul ruolo che il nostro ambiente  – il modo in cui esso è pensato e organizzato – riveste nel plasmare i processi educativi
James Hillman, I fuochi blu. Adelphi

Come disse Jung nella conferenza su questo argomento tenuta nel 1924, l’educazione del bambino ha inizio con l’educazione dei genitori e degli insegnanti, e con l’istruzione elementare, non con quella superiore; con i bambini ritardati anziché con quelli precoci; con l’abbassare il nostro sguardo e le loro norme, giù, carponi; con i dipinti eseguiti con le dita, con i tamburi, con i piedi nudi; con giorni più lenti anziché con ore più lunghe; con l’assaggiare anziché con il saggiare; con i nonsense anziché con i gerghi. Vi sembra che faccia troppo Rousseau ed educazione sentimentale? Troppo Rudolf Steiner, libere scuole, e giocondi e giocosi giardini d’infanzia? Non fraintendetemi: sto parlando di noi, gli adulti, non di quello che dovrebbero fare i bambini.
Se le filastrocche senza senso e la pittura con le dita sembrano troppo infantili, guardiamo un poco a quello che oggi stiamo facendo con il Bambino: musi lunghi, cibi in scatola, violenza sportiva passiva/aggressiva davanti alla TV, cartocci di popcorn, secchi di birra. Il focolare domestico degli adulti con i suoi balocchi fasulli, la casa come baracca per contenere la radio, isola di fantasia o sgabuzzino delle cianfrusaglie, le sue stanze dei giochi, i suoi attrezzi per il culturismo, man mano che l’immaginazione s’immeschinisce e si dissecca. La Barbie e le edizioni economiche da supermercato. E nel frattempo, la crescita, l’originalità e l’iniziativa, le forze primordiali del Bambino, vengono corrose da quella fantasia iperattiva di onnipotenza che va sotto il nome di «sviluppo»: sviluppo personale, mistico o finanziario; proiezione di sé nello spazio.

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Anima e la psicologia del profondo

Anima è un concetto desueto nella psicologia “scientifica”. James Hillman, nella sua originale e stimolante prospettiva, ne fa invece il cardine per ri-vedere tutta la psicologia moderna, recuperando il vero senso profondo dell’esistenza e dello studio dell’uomo.
James Hillman, Re-visione della psicologia. Adelphi

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Questo libro parla del fare anima. Esso e un tentativo di elaborare una psicologia dell’anima, un saggio di re-visione della psicologia dal punto di vista dell’anima. E perciò un libro all’antica e radicalmente nuovo, perché riprende bensì le nozioni classiche dell’anima, ma avanza idee che la psicologia attuale non ha neppure cominciato a prendere in considerazione.
Poiché non e possibile comprendere l’anima per mezzo della sola psicologia, la nostra visione abbandona addirittura il campo della psicologia come comunemente inteso, e spazia con liberta attraverso la storia, la filosofia e la religione. Pur mirando questo libro a un nuovo modo di pensare e di sentire psicologici, le sue radici affondano sempre nella zona centrale della nostra cultura psicologica; suo nutrimento sono le intuizioni accumulatesi nella tradizione occidentale a cominciare dai greci, attraverso il Rinascimento e i romantici, fino a Freud e Jung. L ’espressione fare anima viene dai poeti romantici. L ’idea, già contenuta nel Vaia di William Blake, e chiarita da John Keats in una lettera al fratello: “Chiamate, vi prego, il mondo la valle del fare anima Allora scoprirete a che serve il m ondo…”. Osservata da questa prospettiva, l’avventura umana è un vagabondare per la valle del mondo col fine di fare anima. La nostra vita e psicologica, e lo scopo della vita e quello di far di essa psiche, di trovare nessi tra vita e anima.

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Leggi sul “fare anima” estratti da James Hillman
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