il sentimento di colpa 2

Il sentimento di colpa dove nasce?

Il sentimento di colpa è un vissuto che fa parte della nostra organizzazione mentale e che, nella sua genesi, serve a regolare il vivere sociale. Sigmund Freud spiega come nasce il sentimento di colpa e come si struttura nella nostra mente. Sigmund Freud, “Il disagio della civiltà”, In Opere, Bollati Boringhieri

Che mezzi usa la civiltà per frenare la spinta aggressiva che le si oppone, per renderla innocua, magari per abolirla? (…) Che cosa avviene nell’individuo a rendere innocuo il suo desiderio di aggressione? Qualcosa di assai curioso, che non avremmo indovinato e che pure è assai semplice. L’aggressività viene introiettata, interiorizzata, propriamente viene rimandata là donde è venuta, ossia è volta contro il proprio Io. Qui viene assunta da una parte dell’Io, che si contrappone come SuperIo al rimanente, e ora come “coscienza” è pronto a dimostrare contro l’Io la stessa inesorabile aggressività che l’Io avrebbe volentieri soddisfatto contro altri individui estranei. Chiamiamo coscienza della propria colpa la tensione tra il rigido Super-io e l’Io ad esso soggetto; essa si manifesta come bisogno di punizione. La civiltà domina dunque il pericoloso desiderio di aggressione dell’individuo infiacchendolo, disarmandolo e facendolo sorvegliare da una istanza nel suo interno, come da una guarnigione nella città conquistata. (…) Innanzitutto, quando si chiede come uno giunga ad avere un sentimento di colpa, si riceve una risposta inconfutabile: uno si sente colpevole (i devoti dicono: in peccato) quando ha fatto qualcosa che riconosce come un “male”. Ma poi si vede quanto poco ci dica questa risposta. Forse dopo qualche esitazione si aggiungerà che anche chi non ha commesso questo male, ma semplicemente riconosce in sé stesso l’intenzione di commetterlo, può ritenersi colpevole, e allora sorge la domanda sul perché in questo caso l’intenzione venga considerata equivalente all’attuazione. Ambedue i casi presuppongono che il male sia stato già riconosciuto come riprovevole, come qualcosa da non fare. Come si giunge a questo giudizio? Va scartata l’ipotesi d’una originaria, per così dire naturale capacità discriminatoria tra bene e male. Il male spesso non è quel che danneggia o mette in pericolo l’Io, anzi può essere anche qualcosa che l’Io desidera, da cui trae diletto. Qui agisce dunque un influsso estraneo, il quale decide che cosa debba chiamarsi bene o male.

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