Psicologia del profondo

Psicologia del profondo dovrebbe essere, secondo James Hillman, il vero senso della psicologia nella sua incessante opera di comprendere l’anima e i suoi processi. L’obiettivo della psicologia sarebbe, dunque, di recuperare la dimensione profonda della propria ricerca, per andare al di là di spiegazioni naturalistiche del comportamento umano. Da: James Hillman, Il sogno e il mondo infero. Adelphi

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La mitologia è una psicologia dell’antichità. La psicologia è una mitologia dell’epoca moderna. Gli antichi non avevano una psicologia, in senso stretto, ma avevano i miti, racconti congetturali sugli esseri umani nella loro relazione con forze e immagini più che umane. Noi moderni non abbiamo alcuna mitologia, in senso proprio, ma abbiamo sistemi psicologici, teorie congetturali sugli esseri umani nella loro relazione con forze e immagini più che umane, oggi dette campi, istinti, pulsioni, complessi. Questo principio della psicologia archetipica, forse la cifra che la distingue da altre psicologie, è anche una prassi. Consente di riflettere ciascuna posizione psicologica come fantasia o mitologema. Usa i miti per criticare dall’interno i positivismi e opera anche sui racconti mitologici e sulle figure dei miti, sottraendoli alla sfera del puro racconto e riportandoli sulla terra e dentro di noi, mostrando come esattamente un mito agisce nella psiche, nelle abitudini della sua mente e del suo cuore. Il nostro intento è di passare continuamente dal mito alla psiche e dalla psiche al mito, riflettendoli entrambi, usando l’uno per offrire intuizioni all’altra e viceversa, impedendo che ciascuno dei due sia preso esclusivamente per quello che dice di sé.
Le relazioni tra mitologia e psicologia risultano singolarmente evidenti nell’espressione «psicologia del profondo»(Tiefenpsychologie), proposta all’inizio del secolo dallo psichiatra zurighese Eugen Bleuler come la denominazione più appropriata per la nuova scienza della psicoanalisi. Questa mossa terminologica spostava l’attenzione dall’azione alla visione, dal dissezionare le cose al guardarle in profondità. Il nuovo campo di studio poggiava ora su un terreno diverso, meno scientifico in senso fisico, perché meno orientato alla riduzione analitica in parti, e più filosofico in senso metafisico, perché ora la riduzione era indirizzata a una comprensione più profonda. Un terreno diverso, ma non nuovo. Anzi, molto vecchio, giacché nella scelta e nell’adozione di questa espressione riemerge un’immagine antica, dove psicologia e profondità sono connesse.
Eraclito è il primo a collegare psyche, logos e bathun («profondo»): «I confini dell’anima non li potrai trovare, neppure se percorressi tutte le strade: così profondo è il suo logos». Come scrive Bruno Snell, in Eraclito «l’immagine della profondità serve a illuminare la caratteristica precipua dell’anima e della sua sfera, che è quella di avere una dimensione sua propria, di non possedere estensione spaziale». A partire da Eraclito, la profondità diventò la direzione, la qualità e la dimensione della psiche. L’espressione, ormai di uso comune, «psicologia del profondo» afferma esplicitamente: per studiare l’anima, dobbiamo scendere in profondità, e ogni volta che scendiamo in profondità, viene coinvolta l’anima. Il logos dell’anima, la psicologia, implica l’atto di percorrere il labirinto dell’anima, nel quale non si può mai andare abbastanza in profondità. (…)

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