Anima mundi: oltre la terapia individuale

L’  anima mundi è forse il nuovo focus dell’intervento psicoterapeutico quando non si può più ignorare il fatto che la realtà esterna proietta sull’individuo tutta la sua problematicità e sgradevolezza. Ancora una volta James Hillman “rimescola” le carte del senso comune per aprire nuovi orizzonti densi di significato.
Da: James Hillman, L’ anima del mondo e il pensiero del cuore. Garzanti.

anima mundi 1

Mi sembra che oggi i pazienti siano molto più fini e sensibili dei mondi in cui vivono: non è che non sappiano sentire e adattarsi “in modo realistico”, è piuttosto la realtà dei fenomeni del mondo che sembra incapace di adattarsi alla sensibilità dei pazienti. La loro vitalità e la loro bellezza mi colpiscono, in contrasto con il mondo morto e sgradevole in cui abitano. L’accresciuta consapevolezza delle realtà soggettive, quell’affinamento dell’ anima risultato di cento anni di psicoanalisi, è diventata inadeguata all’arretratezza della realtà esterna, che durante gli stessi cento anni si è mossa piuttosto verso una uniformità disumana e verso la degradazione della qualità.
Quando dico che i disturbi dei pazienti sono reali, voglio dire che sono realistici, conformi al mondo esterno. Voglio dire che le distorsioni della comunicazione, il senso di angoscia e di alienazione, la mancanza di intimità con l’ambiente circostante, il sentimento di falsi valori e di futilità interiore, che di continuo proviamo nel mondo in cui di solito ci troviamo a vivere, sono autentiche valutazioni realistiche e non soltanto appercezioni dei nostri sé intra-soggettivi. La mia professione mi insegna che non posso più fare una distinzione netta tra nevrosi del sé e nevrosi del mondo, fra psicopatologia del sé e psicopatologia del mondo. Mi insegna, inoltre, che situare nevrosi e psicopatologie esclusivamente in una realtà personale è una rimozione delirante di quello che veramente, realisticamente, stiamo sperimentando. Ma ciò vuol dire anche che le mie teorie della nevrosi e le categorie della psicopatologia dovranno essere radicalmente ampliate, perché non vadano ad accentuare proprio quelle patologie che è mio mestiere curare. (…)
E proprio questa visione del mondo come esterno, non soggettivo, che ora deve essere rielaborata. Prima di andare oltre, è però necessario ricordare l’idea di realtà che generalmente agisce in tutta la psicologia del profondo. I dizionari di psicologia e le scuole di tutte le tendenze si trovano d’accordo nell’affermare che la realtà è di due tipi. In primo luogo, il termine indica la totalità degli oggetti materiali esistenti, oppure la somma delle condizioni del mondo esterno. La realtà è pubblica, oggettiva, sociale e generalmente fisica. In secondo luogo, esiste una realtà psichica, che non è estesa nello spazio, ed è la sfera dell’esperienza privata che è interiore, carica di desiderio, immaginativa. Avendo separato la realtà psichica dalla realtà concreta o esterna, la psicologia elabora varie teorie per collegare i due ordini, dal momento che la loro separazione è davvero inquietante. Ciò significa che la realtà psichica è considerata come non pubblica, non oggettiva o fisica, mentre la realtà esterna, la somma degli oggetti e delle condizioni materiali esistenti, è considerata completamente sprovvista di anima: come l’ anima è priva del mondo, così il inondo è privo dell’ anima. (…)
Ma questo modo di vedere non è forse da parte della psicologia un negare le cose così come sono, al fine di conservare la propria visione del mondo? La psicologia stessa non sarà per caso inconscia delle proprie “difese dell’io”? Se la psicologia del profondo sbaglia su questo punto, allora andrà rovesciato il suo concetto di proiezione, una di quelle difese. Non è soltanto la mia patologia che si proietta sul mondo, ma è anche il mondo che mi inonda con la sua sofferenza inascoltata. Dopo i cent’anni di solitudine della psicoanalisi, sono molto più consapevole di ciò che proietto all’esterno che non di ciò che su di me è proiettato dall’inconscio del mondo.

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